La tecnologia non è mai stata neutrale. Ha sempre modificato la nostra relazione col mondo

𝐔𝐧𝐚 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐯𝐢𝐬𝐭𝐚 𝐝𝐢𝐚𝐥𝐨𝐠𝐚𝐧𝐭𝐞 𝐜𝐨𝐧 𝐀𝐥𝐛𝐞𝐫𝐭𝐨 𝐑𝐨𝐦𝐞𝐥𝐞. - Un cambio di prospettiva non si farà con una rivoluzione né con un gesto esemplare (in qualche maniera Snowden non è la critica ma la realizzazione del panottismo liquido contemporaneo). Si farà solamente con una lunga negoziazione e presa di coscienza collettiva. Le buone pratiche devono essere reiterate. Ancora una volta è la vecchia filosofia ad avere ragione, perché è Aristotele ad averci insegnato il valore del fare e avere esperienza. Non vivremo in armonia con le macchine o con le nostre estensioni digitali (ci saranno nuove pratiche e nuove forme di digital labor) ma certo, nel lungo termine, avremmo sviluppato una migliore praxis digitale (e forse avremo imparato a far valere i nostri diritti). 𝑼𝒏𝒂 𝒊𝒏𝒕𝒆𝒓𝒗𝒊𝒔𝒕𝒂 𝒅𝒂𝒕𝒂𝒕𝒂 (𝒑𝒖𝒃𝒃𝒍𝒊𝒄𝒂𝒕𝒂 𝒔𝒖 𝑺𝒐𝒍𝒐𝑻𝒂𝒃𝒍𝒆𝒕 𝒏𝒆𝒍 2017) 𝒎𝒂 𝒔𝒆𝒏𝒛𝒂 𝒕𝒆𝒎𝒑𝒐.

La sfida della (auto)coscienza: intelligenza artificiale e produzione di senso

L'intelligenza artificiale contemporanea ci pone di fronte a interrogativi fondamentali sulla natura della mente e della coscienza. Dagli anni Ottanta, programmi come BACON di Langley, sviluppato per simulare la scoperta scientifica attraverso l'analisi di dati numerici, e SME (Structure-Mapping Engine) di Gentner, progettato per modellare il ragionamento analogico umano, hanno tentato di riprodurre computazionalmente funzioni cognitive complesse. Tuttavia, questi sistemi operano su rappresentazioni già strutturate, eludendo il problema cruciale di come la mente costruisca significato a partire dall'esperienza grezza. Questo articolo esplora l'ipotesi che l'autentica agenzia cognitiva richieda una funzione sintetica capace di unificare percezione e concettualizzazione sotto un'identità soggettiva. Attraverso l'analisi critica dei modelli computazionali attuali e il confronto con dispositivi meramente reattivi, argomento che il problema della coscienza artificiale non può essere risolto solo mediante l'incremento della sofisticazione algoritmica, ma necessita di un ripensamento radicale della natura stessa della soggettività e dell'esperienza cosciente.

On The Epistemological Barrier to a Science of (Artificial) Intelligence

Artificial intelligence is nonsense, so let us begin with a word on nonsense. In what follows, nonsense per se is not meant as equivalent to stupid, or silly. Rather, nonsense is a string of words that make no sense. What is said contains no meaning. An example of nonsense (by philosopher Peter Hacker): the number 3 married number 2 on planet number 2. What would lead to stupidity or silliness, however, was if someone were now to insist that it is intelligible that numbers can actually marry, and that they were engaged in scientific research that might prove this.

Le competenze di lettura ravvicinata si trasferiscono all'intelligenza artificiale?

C'è stata, di recente, una raffica di proclami ben intenzionati sulle virtù inaspettate dell'educazione letteraria nell'era degli interlocutori algoritmici. Un eccellente pezzo di Nick Potkalitsky, PhD offre quello che potrebbe essere definito un riavvicinamento pedagogico tra le testualità disordinate della narrativa e la peculiare fluidità dell'IA generativa.

Genealogia dell’ecointelligenza: una ricerca tra cognizione, sistemi e potere

Questo articolo nasce da un percorso di ricerca personale sul concetto di ecointelligenza, intesa non come attitudine soggettiva ma come campo sistemico in trasformazione. Dalla psicologia cognitiva di Gardner alla pedagogia ecologica di Bowers, fino alla critica geopolitica dell’intelligenza artificiale in chiave postdigitale, il testo ripercorre le tappe di una riflessione che oggi trova nuovi campi di applicazione: IA ambientale, sorveglianza urbana, modelli cognitivi estrattivi. In questa prospettiva, l’ecointelligenza si configura come capacità di leggere ambienti ibridi, accettarne le contraddizioni e agire senza scorciatoie. In chiusura, si suggerisce la lettura di Le tre ecologie di Guattari, testo chiave per ripensare il rapporto tra ecologia, soggettività e potere.

La tecnoconsapevolezza che ci manca

La tecnologia è elemento paradigmatico di tante tendenze emergenti che sembrano indicare grandi cambiamenti all’orizzonte, molti impensabili e dei quali non siamo in grado di percepire la profondità e la carica dirompente. Veri e propri Tsunami futuri emergenti in via di formazione, come la crisi del sistema capitalista neoliberista attuale e quella ambientale. Nonostante la globalizzazione tecnologica renda tutti interconnessi e tutto correlabile, comprendere il mondo che si sta profilando all’orizzonte è diventata una missione complicata, forse impossibile, ma anche una nuova urgenza, una necessità.

Benedetta la benevola AGI: La favola del Re programmatore

𝐈𝐦𝐦𝐚𝐠𝐢𝐧𝐚𝐭𝐞 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨. Ti svegli e il mondo è finalmente cresciuto. Niente politici, niente corruzione, niente guerre. Un'intelligenza artificiale serena e onnisciente governa il nostro pianeta con incorruttibile chiarezza. L'assistenza sanitaria è impeccabile, l'allocazione delle risorse istantanea, il crimine previsto fuori dall'esistenza. Ogni obiettivo climatico è stato raggiunto prima del previsto. Le città ronzano in perfetto equilibrio; Il traffico scorre come la poesia, i bisogni dei cittadini vengono soddisfatti prima ancora che espressi.

Francesco Varanini vs Copilot

Francesco Varanini ci invita a leggere Debenedetti per ritrovare l’autore. Ma forse oggi dobbiamo leggere Barthes e Derrida per andare oltre. L’autore non è morto: si è trasformato. È diventato rete, algoritmo, collettivo. E il lettore non perde nulla: anzi, guadagna libertà, pluralità, nuove forme di dialogo. Un testo senza autore umano può essere valido, profondo, trasformativo. Perché il significato non nasce dalla penna, ma dall’incontro.”

Vite infinite, morti sospese: il lato oscuro della memoria digitale

La morte non è più soltanto un evento biologico o un fatto intimo da elaborare nel silenzio del lutto. Nell’era digitale, le tracce che lasciamo online sopravvivono a noi stessi: profili social, chat, immagini, archivi che continuano a parlare anche quando la vita si interrompe. Tecnologie emergenti trasformano questa eredità immateriale in presenza attiva, attraverso avatar, chatbot e piattaforme che promettono di mantenere vivo il legame con chi non c’è più. È un cambiamento che solleva domande profonde: fino a che punto siamo disposti ad affidare la memoria e la nostra identità a una macchina? E cosa accade quando il confine tra ricordo e simulacro diventa sempre più sottile, confondendo vita, morte e persistenza digitale?

Leggete Giacomo Debenedetti. L'autore non e' morto, non c'e' testo senza autore

Nel 1967 Barthes pubblica 'La mort de l'auteur' (“l'autore è morto”; “La nascita del lettore deve essere pagata con la morte dell'autore”. E Derrida pubblica 'De la grammatologie' (“non c'è niente al di fuori del testo”) . In quello stesso anno moriva Giacomo Debenedetti. Da quarant'anni -a partire dal saggio che, ventiquattrenne, nel 1925, dedicò a Proust- aveva indagato sul romanzo. Nel 1965 il suo pensiero trova sintesi nella sua “commemorazione provvisoria del personaggio-uomo”. Debenedetti mostra come l'autore non è per nulla morto: scrive faticosamente per conoscere sé stesso; scrive in qualche modo sempre la propria autobiografia: attraverso la scrittura, scrive per conoscere la propria malattia, la scrittura è la cura. L'autore non è per nulla morto: scrive faticosamente per conoscere sé stesso; scrive in qualche modo sempre la propria autobiografia: attraverso la scrittura, scrive per conoscere la propria malattia, la scrittura è la cura. Proprio da questa autoanalisi nasce la proposta rivolta al lettore, il patto tra autore e lettore. Debenedetti ci invita ad osservare come in ogni pagina, in ogni parola di Proust, Joyce, Kafka, l'autore è sempre presente. Ed in ogni pagina in ogni parola, aggiunge Debenedetti, l'autore ci dice: “si tratta anche di te”.

Furti di VIP e salvezza artificiale: chi ci crede davvero?

Un parallelo tra i furti improbabili ai danni di VIP in cerca di visibilità — come bagagli di lusso con gioielli e diamanti spariti sul treno oppure orologi da 200.000 euro persi dopo le vacanze — e le narrazioni utopistiche sull’intelligenza artificiale “benevola” che distribuirà ricchezza in modo equo. Entrambi i casi condividono lo stesso difetto: la sospensione del senso critico e l’accettazione di storie troppo perfette per essere vere. Con riferimenti ai lavori di Cathy O’Neil, Kate Crawford e Shoshana Zuboff, il testo invita a verificare, chiedere prove e diffidare delle narrazioni che promettono equità senza fornire basi concrete.

Macchine pensanti e pensiero umano: rileggere Louis Couffignal nell'era dell'intelligenza artificiale

Nel 1952, il matematico e ingegnere francese Louis Couffignal pubblicò un volume di dimensioni modeste ma dal titolo provocatorio: Les machines à penser. Un'espressione che, a distanza di oltre settant'anni, continua a interrogarci con rinnovata urgenza. Viviamo immersi in dispositivi che definiamo "intelligenti", eppure raramente ci soffermiamo a riflettere sul significato profondo del "pensare", né su quali aspetti di questa facoltà una macchina possa effettivamente replicare – o simulare.

Il recupero di una coscienza critica è auspicabile ma impossibile da produrre

𝐔𝐧𝐚 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐯𝐢𝐬𝐭𝐚 𝐝𝐢𝐚𝐥𝐨𝐠𝐚𝐧𝐭𝐞 𝐜𝐨𝐧 𝐑𝐨𝐜𝐜𝐨 𝐁𝐫𝐮𝐧𝐨. - Viviamo tempi di alienazione ed estraniamento ulteriore dalla realtà. Per quanto artificiale e artefatta a causa delle convinzioni o credenze su cui si basa, con l’avvento dell’era digitale ci pone di fronte all’attacco più importante mosso alle nostre capacità cognitive. Le persone non sono preparate, ripiene di cumuli di sciocchezze e ridotti a meri consumatori, all’impatto della tecnologia sulla loro psiche. È come avere un televisore personale che ci portiamo sempre appresso e con quale crediamo di avere una relazione col mondo, ma non è così. Le APP di messaggistica sono lo strumento più importante di questo isolamento che porta le persone a credere di avere una relazione con qualcuno solo perché gli ha mandato un emoticon. - 𝑼𝒏𝒂 𝒊𝒏𝒕𝒆𝒓𝒗𝒊𝒔𝒕𝒂 𝒅𝒂𝒕𝒂𝒕𝒂 (𝒑𝒖𝒃𝒃𝒍𝒊𝒄𝒂𝒕𝒂 𝒔𝒖 𝑺𝒐𝒍𝒐𝑻𝒂𝒃𝒍𝒆𝒕 𝒏𝒆𝒍 2021) 𝒎𝒂 𝒔𝒆𝒏𝒛𝒂 𝒕𝒆𝒎𝒑𝒐.

Online siamo tutti diventati degli algoritmi

Da perfetti sconosciuti e presenze occulte sono diventati rapidamente oggetto di racconti, narrazioni, riflessioni e preoccupazioni. Chi è preoccupato pensa che possano, già oggi, condizionare e orientare le loro vite. Chi non se ne cura guarda con soggezione e simpatia la loro capacità di rendere le loro esperienze online piacevoli, convenienti e confortevoli.

Writing, Not This Way, But That Way: Writing against AI's Syntactic Simulations of Dialectical Movement

I don’t write to express what I already know. If I did, I’d have nothing to say by the end of the first clause, and the sentence would be left dragging its tail behind it like a dog with nowhere to go. Writing, for me, begins in a state of productive error—less revelation than fumbling, a kind of intellectual squinting in the direction of something not yet visible, let alone nameable. ---- Non scrivo per esprimere ciò che già so. Se lo facessi, non avrei più nulla da dire alla fine della prima frase, e la frase si trascinerebbe dietro come un cane senza un posto dove andare. La scrittura, per me, inizia in uno stato di errore produttivo – più che rivelazione che tentennamento, una sorta di sguardo intellettuale socchiuso verso qualcosa di non ancora visibile, figuriamoci nominabile.

Meticciamento di razze e di culture: il senso delle Humanities

Il termine inglese 'Humanities' ha un ampio ventaglio di senso. Potremmo tradurre 'discipline umanistiche', 'studi umanistici', ma anche 'umanità'. Ed è doveroso poi considerare le 'Digital Humanities' rivisitazione delle Humanities tramite mezzi digitali e computazionali. Secondo alcuni non si può oggi più parlare di Humanities senza chiamare in causa l'intelligenza artificiale. Nell'articolo si sostiene invece che il senso delle 'Humanities' sta nel narrare ed ascoltare storie, generare e condividere conoscenze, senza bisogno di nessuna nuova macchina. E si narra quindi una storia che ha luogo all'Avana.