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Oltre l’ideologia dell’ordine. Nel mondo del business contemporaneo, la ricerca ossessiva di ordine, efficienza e replicabilità sta progressivamente minando la capacità delle organizzazioni di abitare la complessità. Ci siamo abituati a pensare che ogni problema abbia una soluzione standardizzata, preferibilmente scalabile, immediata, e accompagnata da un framework certificato. Tuttavia, è proprio nei momenti di transizione e trasformazione che i modelli prefabbricati mostrano i loro limiti. In questo scenario, concetti come "confine", "contesto" e "paradosso" diventano chiavi di lettura imprescindibili per chi vuole progettare, decidere e guidare con consapevolezza.


Tra dogmatismo Agile, architetture semantiche e paradossi umani: un nuovo sguardo sulla complessità nei contesti business

Il mito Agile e l’illusione dell’universalismo

Nel settore bancario, l’adozione del paradigma Agile è spesso stata dettata più da mode manageriali che da una reale analisi di contesto. Sull’onda del successo ottenuto da alcune aziende tecnologiche, molte banche hanno intrapreso percorsi di trasformazione Agile guidati da consulenti generalisti, scarsamente attrezzati per comprendere le specificità regolatorie, culturali e operative del mondo finanziario.

Il risultato? In molti casi, fallimenti silenziosi: team disallineati, inefficienze crescenti, costi sommersi e una profonda disillusione sul potere trasformativo dell’approccio. Il problema non risiede tanto nel framework, quanto nell’ideologia che lo accompagna: l’idea che esista una metodologia universale, pronta all’uso, valida per ogni contesto.

Il vero rischio è l’applicazione acritica di soluzioni prefabbricate a sistemi complessi, senza la dovuta attenzione al contesto semantico e operativo. Serve invece una postura epistemica più umile, capace di interrogare il contesto prima di imporre uno schema.

Confini semantici e progettazione distribuita

Nel mondo dell’architettura software, il concetto di bounded context, proveniente dal Domain-Driven Design, offre una lezione preziosa anche per il business: non è il codice a dover essere segmentato, ma il significato. Ogni bounded context è uno spazio semantico chiuso, dove il linguaggio ha coerenza e le regole sono condivise.

Pensare un’organizzazione come una federazione di contesti coerenti, piuttosto che come un monolite adattivo, consente di costruire interfacce robuste tra unità operative, facilitare l’evoluzione autonoma dei team, ridurre i conflitti tra dipartimenti e, soprattutto, evitare che concetti ambigui viaggino senza controllo da un contesto all’altro.

In termini di governance e strategia, questa visione implica il superamento dell'illusione dell'unicità semantica a favore di un pluralismo coordinato. Le interfacce tra contesti diventano membrane computazionali, non canali di confusione. La progettazione organizzativa, come quella tecnica, richiede dunque confini chiari, linguaggi condivisi e mediazioni esplicite.

Paradossi dell’identità e del pensiero organizzativo

Il bisogno di ordine si riflette anche nei modi in cui le organizzazioni pensano, comunicano e si raccontano. La narrativa aziendale si è spesso trasformata in storytelling vuoto, incapace di produrre senso. L’uomo, stretto tra performance e identità, tra efficienza e vulnerabilità, mostra i segni di un disagio crescente: burnout, disconnessione, comportamenti autodistruttivi.

Nel contesto professionale come in quello personale, la vera sfida è bilanciare efficienza e umanità, razionalità analitica e intuito strategico, controllo operativo e apertura all’incertezza. Paul Feyerabend ci insegna che un pensiero troppo rigido ostacola l’innovazione: affrontare la complessità richiede flessibilità mentale, pluralismo metodologico e capacità di valorizzare anche le tensioni apparenti.

Per i leader di oggi, la posta in gioco è doppia: costruire ambienti in cui le decisioni nascano dalla coerenza con il contesto e, al tempo stesso, mantenere viva la capacità di adattarsi e trasformarsi proprio grazie alla gestione consapevole dei paradossi.

Progettare con l’intelligenza della complessità

Il futuro delle organizzazioni non appartiene a chi rincorre metodologie assolute, ma a chi sa pensare in termini di contesto, confine e contraddizione. Serve una nuova intelligenza sistemica, capace di unire teoria e prassi, filosofia e architettura, strategia e semantica.

L’Agile genera valore solo quando è calibrato sul linguaggio e sulle dinamiche reali del business. Le architetture distribuite portano benefici se costruite nel rispetto delle specificità operative e culturali dei diversi contesti aziendali. Anche la narrazione d’impresa diventa leva strategica solo se radicata in esperienze autentiche. In un mercato sempre più complesso, non si tratta di eliminare l’incertezza, ma di saperla gestire con visione, intelligenza situazionale e capacità di adattamento.


Pubblicato il 21 maggio 2025

Calogero (Kàlos) Bonasia

Calogero (Kàlos) Bonasia / omnia mea mecum porto