La sfida della (auto)coscienza: intelligenza artificiale e produzione di senso

L'intelligenza artificiale contemporanea ci pone di fronte a interrogativi fondamentali sulla natura della mente e della coscienza. Dagli anni Ottanta, programmi come BACON di Langley, sviluppato per simulare la scoperta scientifica attraverso l'analisi di dati numerici, e SME (Structure-Mapping Engine) di Gentner, progettato per modellare il ragionamento analogico umano, hanno tentato di riprodurre computazionalmente funzioni cognitive complesse. Tuttavia, questi sistemi operano su rappresentazioni già strutturate, eludendo il problema cruciale di come la mente costruisca significato a partire dall'esperienza grezza. Questo articolo esplora l'ipotesi che l'autentica agenzia cognitiva richieda una funzione sintetica capace di unificare percezione e concettualizzazione sotto un'identità soggettiva. Attraverso l'analisi critica dei modelli computazionali attuali e il confronto con dispositivi meramente reattivi, argomento che il problema della coscienza artificiale non può essere risolto solo mediante l'incremento della sofisticazione algoritmica, ma necessita di un ripensamento radicale della natura stessa della soggettività e dell'esperienza cosciente.

On The Epistemological Barrier to a Science of (Artificial) Intelligence

Artificial intelligence is nonsense, so let us begin with a word on nonsense. In what follows, nonsense per se is not meant as equivalent to stupid, or silly. Rather, nonsense is a string of words that make no sense. What is said contains no meaning. An example of nonsense (by philosopher Peter Hacker): the number 3 married number 2 on planet number 2. What would lead to stupidity or silliness, however, was if someone were now to insist that it is intelligible that numbers can actually marry, and that they were engaged in scientific research that might prove this.

Rendere invisibile un genocidio

Non è il silenzio che colpisce, ma la retorica che si sostituisce alla verità. Gaza viene distrutta, centimetro per centimetro, ma nei giornali, nei telegiornali, e nei comunicati delle cancellerie di stato si parla d’altro. Si parla di “conflitto”, come se ci fosse simmetria tra chi bombarda e chi fugge. Si parla di “reazione”, come se la distruzione sistematica di una popolazione potesse essere iscritta nel diritto alla difesa. Nessuno parla di genocidio. Non è un termine vietato, ma è come se lo fosse: troppo preciso, troppo compromettente. È questa la forma più moderna della menzogna: non negare i fatti, ma sbriciolarli. Isolarli. Disinnescarli. Una bomba su un ospedale diventa “un episodio”; cento bambini morti, “una tragedia”; la fame imposta, “una crisi umanitaria”. Le parole diventano prudenti, sfumate, come se avessero paura. O come se sapessero troppo.

Le competenze di lettura ravvicinata si trasferiscono all'intelligenza artificiale?

C'è stata, di recente, una raffica di proclami ben intenzionati sulle virtù inaspettate dell'educazione letteraria nell'era degli interlocutori algoritmici. Un eccellente pezzo di Nick Potkalitsky, PhD offre quello che potrebbe essere definito un riavvicinamento pedagogico tra le testualità disordinate della narrativa e la peculiare fluidità dell'IA generativa.

Noi siamo vivi, voi siete tutti morti

Leggendo i numerosi post di Otti Vogt, autore della Stultiferanavis e attivista globale per una "leaderships for good", condividendo molte delle cose che scrive e come le scrive, mi è venuto da pensare che ciò che serve oggi è un racconto diverso della realtà.

L’Anatomia del “Lampo di Genio”: quando la scienza svela i segreti dell’Intuizione

C’è qualcosa di profondamente magico nel momento in cui una soluzione emerge dal nulla, cristallina e improvvisa come un fulmine a ciel sereno. Quel “lampo di genio” che attraversa e illumina la mente sembra appartenere a una dimensione quasi mistica del pensiero umano, sfuggendo a ogni tentativo di catalogazione scientifica. Per secoli, filosofi, psicologi e neuroscienziati si sono interrogati su questi momenti di illuminazione: da dove arrivano? Seguono leggi riconoscibili o sono davvero eventi casuali che balenano nell’oscurità della mente?

Tecnoconsapevolezza e libertà di scelta: L’illusione della concentrazione nel mondo digitale

L’attenzione costantemente regalata a un display e alle intermittenti ma persistenti interazioni tecnologiche ha reso impossibile l’arte della concentrazione. Non è un caso che anche Hollywood e la televisione stiano realizzando telenovele brevi, da 10-15 minuti. Un tempo ritenuto ormai associato al massimo di attenzione possibile che l’utente, modificato cognitivamente dalla frequentazione di YouTube è disposto a concedere. Anche per contenuti di qualità!

Restiamo Umani

Occorre tanta attenzione per rimanere umani, per onorare il valore delle connessioni umane, per “praticare l’umanità” anche nelle relazioni digitali.

Che ne è della pubblica opinione?

Ci sono libri che non invecchiano mai, anzi si rigenerano. Il libro “Public Opinion” di Walter Lippmann è uno di questi. L’assunto del testo è limpido: come avviene quel complesso ed apparente processo attraverso cui le nostre opinioni diventano opinione pubblica, volontà nazionale, mente collettiva, fine sociale? Lippmann indaga e descrive i meccanismi attraverso cui le immagini “interne” elaborate nelle nostre teste ci condizionano nei rapporti con la società. L'attenzione del lettore viene richiamata sugli ostacoli che limitano le nostre capacità d’accesso ai fatti, interessante richiamo visto che oggi tutti i dati sembrano accessibili a tutti. Il richiamo va però in particolare alle distorsioni delle informazioni provocate dalla necessità di sintesi e di manipolazione volontaria della stampa e dei governi. Infine, la paura stessa dei fatti che potrebbero minacciare l’ordine dello Stato e della società. Il libro di Lippmann sembra datato ma in reltà non lo è!

Genealogia dell’ecointelligenza: una ricerca tra cognizione, sistemi e potere

Questo articolo nasce da un percorso di ricerca personale sul concetto di ecointelligenza, intesa non come attitudine soggettiva ma come campo sistemico in trasformazione. Dalla psicologia cognitiva di Gardner alla pedagogia ecologica di Bowers, fino alla critica geopolitica dell’intelligenza artificiale in chiave postdigitale, il testo ripercorre le tappe di una riflessione che oggi trova nuovi campi di applicazione: IA ambientale, sorveglianza urbana, modelli cognitivi estrattivi. In questa prospettiva, l’ecointelligenza si configura come capacità di leggere ambienti ibridi, accettarne le contraddizioni e agire senza scorciatoie. In chiusura, si suggerisce la lettura di Le tre ecologie di Guattari, testo chiave per ripensare il rapporto tra ecologia, soggettività e potere.

La tecnoconsapevolezza che ci manca

La tecnologia è elemento paradigmatico di tante tendenze emergenti che sembrano indicare grandi cambiamenti all’orizzonte, molti impensabili e dei quali non siamo in grado di percepire la profondità e la carica dirompente. Veri e propri Tsunami futuri emergenti in via di formazione, come la crisi del sistema capitalista neoliberista attuale e quella ambientale. Nonostante la globalizzazione tecnologica renda tutti interconnessi e tutto correlabile, comprendere il mondo che si sta profilando all’orizzonte è diventata una missione complicata, forse impossibile, ma anche una nuova urgenza, una necessità.

Benedetta la benevola AGI: La favola del Re programmatore

𝐈𝐦𝐦𝐚𝐠𝐢𝐧𝐚𝐭𝐞 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨. Ti svegli e il mondo è finalmente cresciuto. Niente politici, niente corruzione, niente guerre. Un'intelligenza artificiale serena e onnisciente governa il nostro pianeta con incorruttibile chiarezza. L'assistenza sanitaria è impeccabile, l'allocazione delle risorse istantanea, il crimine previsto fuori dall'esistenza. Ogni obiettivo climatico è stato raggiunto prima del previsto. Le città ronzano in perfetto equilibrio; Il traffico scorre come la poesia, i bisogni dei cittadini vengono soddisfatti prima ancora che espressi.

Ritmi di sviluppo software: una prospettiva cinese per il management dei progetti IT

Chi lavora nella gestione di progetti software ha spesso come riferimento le metodologie agili nate in ambienti angloamericani. Questi approcci hanno portato valore, ma tendono a trasformarsi in schemi rigidi e poco adattabili alle reali dinamiche dei team. In Software Development Rhythms, il prof. Kim Man Lui e Wing Lam Chan propongono una prospettiva diversa, radicata nella cultura professionale cinese e basata sul concetto di ritmo organizzativo. L’idea centrale è che il ritmo emerga dalla sinergia tra pratiche diverse, armonizzate per diventare più efficaci insieme che separatamente. Il libro è strutturato in due parti: la prima introduce il concetto di ritmo e ne esplora le basi teoriche, la seconda mostra come combinarlo con approcci come Scrum, Lean, CMMI o TDD per risolvere problemi concreti. Il risultato è un testo accessibile, ricco di esempi e casi reali, che invita a riconsiderare lo sviluppo software come un processo da orchestrare, non solo da eseguire.

Dal Giappone un approccio integrato al Project Management: P2M

Viviamo immersi in un ecosistema manageriale dominato da modelli anglosassoni, spesso più attenti alla forma che alla sostanza. Manuali, slogan e metodologie “chiavi in mano” promettono risultati rapidi, ma trascurano la complessità e la profondità necessarie per trasformare davvero un’organizzazione. In questo contesto, ho scelto di esplorare prospettive non anglosassoni sul project management e sulla gestione della conoscenza. Il primo passo mi porta in Giappone, dove la Project Management Association of Japan ha sviluppato il P2M, un approccio che integra gestione dei programmi, innovazione strategica e capitalizzazione della conoscenza aziendale. Dopo aver consultato le risorse gratuite online, ho scoperto un modello che privilegia il valore sostenibile e la continuità operativa.

Francesco Varanini vs Copilot

Francesco Varanini ci invita a leggere Debenedetti per ritrovare l’autore. Ma forse oggi dobbiamo leggere Barthes e Derrida per andare oltre. L’autore non è morto: si è trasformato. È diventato rete, algoritmo, collettivo. E il lettore non perde nulla: anzi, guadagna libertà, pluralità, nuove forme di dialogo. Un testo senza autore umano può essere valido, profondo, trasformativo. Perché il significato non nasce dalla penna, ma dall’incontro.”