Uno sconforto che mi porta spesso a chiedermi a cosa possa servire questo scrivere articoli, libri, tenere conferenze, convegni, summit; finendo per trovare poi sempre uno stimolo che mi suggerisce di continuare a trasmettere la mia esperienza. Agendo nella speranza che da qualche parte quello che dico e faccio andrà a prendere magari posto in quello che Thich Nhat Han chiama “Il deposito della coscienza”, producendo prima o poi i suoi frutti.
Tutti i miei scritti hanno trattato queste tre dimensioni: gentilezza, generosità, gratuità. Una di queste in particolare, la generosità, figura anche nel testo scritto proprio con Carlo, La gentilezza che cambia le relazioni digitali. Vorrei quindi accogliere la sua proposta, intendendola come una provocazione, una “spinta gentile” ad approfondire questi temi, a declinare meglio queste tre dimensioni. Lo stimolo non vuole essere quello di muoversi nella filosofia del pensiero ma nella filosofia di vita, che per me significa mettere in atto buone pratiche di gentilezza, di generosità e di gratuità. Mi piacerebbe dunque partire da quest’ultima dimensione, quella che più caratterizza il mio momento di vita e sulla base di cui sono nati non pochi fraintendimenti relazionali.
Quando qualcuno mi chiede come vada con il mio lavoro rispondo: “bene”. Poi però sento mio marito che mi sussurra all’orecchio: “Dovresti cambiare parola, perché il termine lavoro contiene in sé il concetto del compenso, che mi pare ultimamente non sia troppo spesso contemplato”. In effetti è così: molta della mia attività - fatta di convegni, incontri, webinar, laboratori, presentazioni - ha una connotazione gratuita. Questo accade sebbene da qualche parte io senta di voler aspirare ad un compenso. Quest’ultimo però si fa complesso da richiedere, poiché si concretizzerebbe nel ricevere attenzione, ascolto, ricevere la gentilezza con cui vengono accolti i messaggi, con cui vengono letti gli articoli. Compenso potrebbe essere ricevere un piccolo segnale di riscontro. Un compenso ancor più significativo che ambirei a ricevere è il riconoscimento formale, un’eco sulla stampa, magari. Non però con l’obiettivo egocentrico di voler apparire, ma con il solo intento profondo di realizzare una divulgazione, implicando che le iniziative vengano condivise, supportate, diffuse…
In questo devo e voglio esprimere riconoscenza a Carlo anche per l’ultimo progetto, quello della Stultifera Navis, dove le tre dimensioni che stiamo considerando affondano significative radici e hanno il potenziale di diventare antenne che emettono frequenze in risonanza. Proprio in questo progetto gentilezza, generosità e gratuità accomunano menti pensanti che si riuniscono per contribuire a creare una cultura del senso del possibile, per alimentare la consapevolezza di poter essere differenti, di poter fare qualcosa di diverso. Sono questi progetti che mettono la persona al centro, ma in un’ottica che riporta ad una nota che ho adorato nel libro Intelligenza sensibile. Costruire relazioni per generare energia (Egea edizioni) di Carlo Rinaldi - nuova conoscenza ma già inserita nella cerchia di individui che hanno una buona familiarità con i concetti alla base di questo testo. Una nota che cito a più riprese e che riporto ancora una volta qui:
“Essere al centro è una condizione neutrale: anche un palo in mezzo alla strada occupa un centro. Ma che cosa significa davvero? Puoi schivarlo, girarci intorno, ignorarlo, lasciarlo lì fermo e immobile.
Il palo c’è, ma non è, non agisce.
Essere protagonisti, invece, significa trasformare la propria presenza in essenza, azione. È il salto dal semplice «esistere» all’«essere».
Un protagonista non si limita a occupare uno spazio, ma lo modella, lo plasma, crea qualcosa di nuovo con ogni sua scelta, ogni sua interazione.
È questa differenza a fare la magia delle relazioni: il protagonismo generativo,
che nasce dall’intelligenza sensibile delle interazioni umane.
L'Intelligenza Sensibile è un modo per andare oltre la superficie per creare un dialogo autentico con il mondo e gli altri, fatto di empatia, percezione e consapevolezza.”
È a questo tipo di intelligenza, che va oltre quella emotiva di Goleman (forse integrandola o espandendola), che sto dedicando la mia intenzione. Essa contempla un campo energetico fatto di risonanze, di vibrazioni, di sottili e profonde connessioni. Un campo che va oltre la superficie perché ha radici profonde che niente hanno a che fare con metodi, tecniche o strategie comportamentali. Questo è un aspetto condiviso dalle tre dimensioni al centro di questo testo; è di questa gentilezza che parlo, quella che supera di gran lunga tutte le modalità di educazione che ci augureremmo dovute, o quelle di galateo che potrebbero essere acquisite.
La gentilezza include in sé la generosità e la gratuità, che troviamo insieme in una gamma di sentimenti descritti con parole diverse: solidarietà, altruismo, disponibilità, benevolenza, umanità, compassione, pietà, empatia. Adam Philips suggerisce che in passato questi sentimenti erano conosciuti con altri nomi: philantropia (amore per l’umanità) e caritas (amore per il prossimo).
Le parole indicate non esistono solo sul palcoscenico, non possono rappresentare un belletto. Devono invece avere una risonanza interiore, andare in onda anche in assenza di pubblico, nel dietro le quinte. Sono parole che hanno un concentro: la relazione umana. Un centro di cui non è possibile prendersi cura solo funzionalmente o esteriormente. La cura più significativa, infatti, avviene dentro noi stessi, e trova sempre parole di rispetto, di riconoscimento e di gratitudine. Questo deve accadere anche quando si presentano elementi di dissenso, di disarmonia o di non allineamento. È in questa situazione che dovremmo focalizzarci sul pensiero di contrastare, argomentare, criticare e discutere l’idea, anziché la persona: lo scambio non deve manomettere la relazione. Magari potrà rivederla, o collocarla in uno spazio diverso della propria vita, ma mai condannarla né emarginarla. Escludo dalla riflessione le patologie o le follie; il pensiero si rivolge piuttosto al tempo e alle energie che impieghiamo nel contestare, criticare, offendere - talvolta con un dispendio di energie extra nel tentativo di recuperare, anziché nello sviluppare la possibilità di trasformare, integrare, evolvere dimenticando due qualità trasversali, purtroppo spesso connotate con una accezione negativa: l’umiltà e la mitezza. Queste nutrono la generosità, che potenzia la gentilezza a cui faccio riferimento.
La generosità, che include in sé la gratuità, richiede implicitamente l'attuazione di altre potenzialità. Tra queste, la capacità di ascoltare i bisogni dell'altro e di sintonizzarsi sui suoi desideri per poterli soddisfare appieno. Questa qualità, che Dede Riva considera archetipica del mese di marzo, richiede una grande sicurezza e fiducia in se stessi. Chi sa donare infatti è anche capace di privarsi di cose per sé, anche delle più piccole. La generosità inoltre è immediata e tempestiva: chi dà sa valutare la qualità del momento in cui dare; dà sull'impulso di un moto spontaneo proveniente dal cuore e prontamente ascoltato. Allo stesso modo, questa qualità non è selettiva – do a te perché mi sei simile, o perché mi servi, ma non a te perché diverso – riconoscendo di ogni essere vivente la stessa matrice divina; né è meritocratica (ti do solo quando ti sei guadagnato la mia liberalità). Non è invasiva – la persona generosa non impone i suoi doni a chi non li desidera – né compensativa, poiché non è mai spinta dal senso di colpa. L'unica pulsione che la sottende è un nobile, disinteressato amore, un impulso a condividere, senza diaframmi di sorta. Una componente che accompagna indissolubilmente la generosità è senza dubbio la gioia; dare agli altri, fare un regalo, colma di felicità. Ciò succede nella fase di preparazione, quando si cerca il giusto dono; e succede anche nella fase finale, quando chi dona scorge negli occhi del destinatario scintille di gioiosa sorpresa. La generosità, infine, non si muove solo sul piano concreto, ma su tutte le dimensioni che compongono la realtà.
Ultimamente sentiamo parlare di caffè sospeso, pranzo sospeso. Il muro della gentilezza dove troviamo abiti e quanto altro che viene donato, regalato senza conoscere i destinatari (quindi, se vogliamo, senza attese di ringraziamenti). Ma c’è una generosità, una gratuità ancora più significativa: si può regalare il proprio tempo a chi ha bisogno d'attenzione, un po’ della propria energia a chi non sta bene, un pensiero positivo a chi si trova in una situazione difficile. Si possono donare “vitamine d'amore” a chi è depresso o annoiato; un po’ di luce a chi, consciamente o meno, la sta cercando. Si può essere generosi anche quando si valuta una persona, regalando gratitudine e apprezzamento. Generosità è non sottolineare necessariamente un errore, generosità è non mettere in evidenza una dimenticanza.
Una delle trappole che spesso siamo impegnati a evitare nelle relazioni (che siano quelle più vicine e importanti o quelle che la quotidianità rende inevitabili) è rappresentata dalle nostre aspettative. Queste possono sorgere quando desideriamo che qualcosa avvenga o perché lo riteniamo un nostro diritto - basti pensare alla gentilezza del commesso, del funzionario o del medico, per fare alcuni esempi. Si manifestano però anche quando abbiamo stabilito un accordo, sia sul piano lavorativo che su quello personale o affettivo, da cui ci aspettiamo derivi un risultato desiderato. L’eventuale delusione che ci coglie in conseguenza può essere cattiva consigliera e quindi spingerci su posizioni che consideriamo poco gentili, come il rimprovero, l’accusa, la rabbia. Ma anche il silenzio, che precede un raffreddamento della relazione. O in alternativa il desiderio di punire, così come l’attitudine a “ridurre gli altri”, a evidenziare, seppur indirettamente, l’inutilità delle loro azioni, l’ovvietà di certe loro intuizioni, rischiando di arrivare ad atteggiamenti che ironizzano continuamente o che ridicolizzano gli stessi.
In questo senso, è come se la delusione ci spingesse a rimettere in discussione la nostra identità gentile. Magari troviamo buoni argomenti e persino giustificazioni per affermare che in quella situazione non potevamo comportarci diversamente. Preferiamo pensare che a volte la scelta del nostro agire non dipenda dalle nostre convinzioni profonde, ma dal comportamento scortese dell’altro, mettendo in atto una sorta di de-responsabilizzazione. Quando questo accade assumiamo atteggiamenti sgradevoli, che ritenevamo non ci appartenessero, delegando la colpa della nostra scortesia alla persona che con il suo comportamento ci ha delusi - semplicemente, diventiamo lo specchio dell’altro.
Essere gentili, e non rinunciare ad esserlo, dipende dall’impegno interiore che abbiamo preso una volta capito che non sempre possiamo scegliere quello che ci accade, ma vogliamo e possiamo sempre scegliere come affrontarlo.
Ho l’impressione che in questa dinamica possa giocare un ruolo anche la questione del potere, dell’asimmetria che esso instaura nelle relazioni. Constato spessissimo che l’ascolto, l’attenzione, lo spazio, il riconoscimento, vengono applicati con più facilità verso le persone che hanno un potere, un ruolo riconosciuto. Dalla politica alla scuola passando per la sanità, la disparità di ruolo mette dovunque in evidenza che alcune persone di potere si sentono in diritto di ignorare, manifestare disinteresse, mortificare. Individui per cui il celebre “I care” di Don Milani cade rovinosamente. A tal proposito, il poeta Arminio inizia così una sua poesia: “Pensa che si muore e che prima di morire tutti hanno diritto a un attimo di bene”.
La cura e l’allenamento a coltivare gentilezza, generosità e gratuità potrebbero semplicemente essere colti nell’ accorgersi del valore degli altri, anche nelle più piccole manifestazioni della loro esistenza, senza legarle necessariamente alla soddisfazione delle proprie aspettative o al potere che essi possono avere. Amare per il bisogno di amare, e non amare per il bisogno degli altri. Apprezzare la generosità di un sorriso, o nella comprensione degli errori, anche quella rivolta a sé quando si deludono le proprie aspettative. La generosità del non arrabbiarsi, la gratuità di certi aiuti ricevuti, a volte neanche richiesti, la generosità di un saluto non aspettato, la gratuità di parole di apprezzamento che leggo, rivolte a me o ad altri. L’obiettivo primario resta quello di facilitare l’esistenza agli altri, per quanto nelle mie possibilità, mantenendo l’importanza del servizio senza essere servizievoli, la dignità e il valore dell’esistenza umana senza condizioni, al di là di ogni ruolo, oltre ogni gerarchia, a partire dal basso per estendersi poi ad ogni essere vivente.
Tutto questo fa parte di quanto coltivo nel mio animo, per il solo mio senso di etica e di coerenza, nel retrobottega della mia coscienza. Quello che mi permette di trattare bene le persone a cui dico di volere bene, a partire dalle relazioni di prossimità, senza aspirare necessariamente alla pace nel mondo (pur coltivandola intimamente) ma gettando semi di gentilezza, di generosità e di gratuità. E con la sensazione profonda di non poter distinguere nemmeno tra queste tre dimensioni poiché ciascuna è connessa, collegata, in risonanza con le altre.
E alla fine, dopo avere investito con un impegno che si rinnova di momento in momento in una vita di buone pratiche, prima di farsi fare prigionieri dall’amarezza per quanto accade intorno a noi e di avvertire un senso di schiacciante impotenza rispetto al tutto, è opportuno riuscire anche a prendere le distanze da “questa umanità che si aggroviglia su se stessa” e imparare, come conclude Arminio “a cedere la strada agli alberi”. Nel tentativo, così, di preservare più possibile quella piccola parte di mondo che ci riguarda, evitando conflitti e inutili e sterili provocazioni di dolore.
Gentilezza, generosità e gratuità, nel rispetto di ogni differenza e di ogni preferenza, mettono radici in quell’intenzione che diventa linfa vitale che muove la mia esistenza, scandita da un continuo e irrinunciabile percorso di consapevolezza e responsabilità, e impegnata ad aderire a queste parole attribuite ad un allievo di Confucio:
“Nell'antichità, per far risplendere la luce della virtù per tutto l'universo, si iniziava riordinando il proprio paese.
Per riordinare il proprio paese, si iniziava riordinando la propria famiglia.
Per riordinare la propria famiglia, si iniziava perfezionando se stessi.
Per perfezionare se stessi, si iniziava rendendo diritto al proprio cuore.
Per rendere diritto il proprio cuore, si iniziava rendendo autentica la propria intenzione (trasformandola in fatti, n.d.r.).
Per rendere autentica la propria intenzione, si iniziava sviluppando la propria conoscenza, e si sviluppava la propria conoscenza esaminando le cose.”
Anna Maria Palma
Professional Counselor, coach di intelligenza emotiva, senior consultant
La gentilezza che cambia le relazioni. L. Canuti, A.M. Palma, FrancoAngeli editore
La gentilezza che cambia le relazioni digitali C. Mazzucchelli, A.M. Palma, Delos editori
Intelligenza sensibile. Costruire relazioni per generare energia. C. Rinaldi Egea edizioni
Meditazioni Quotidiane, Dede Riva, Edizioni Mediterranee
Le espressioni della gentilezza, Autori Vari, Tassinari Edizioni