Il mio viaggio a Lampedusa non è stato un viaggio verso una vita nuova, pieno di paure, speranze e sogni come accade a molte donne, uomini e bambini che migrano da condizioni di vita difficili dal continente africano. Non fuggivo dalla povertà, né dalla guerra, né da un campo profughi, come le 199.400 persone arrivate via mare in Italia, Grecia, Spagna, Cipro e Malta nel 2024[1].
Non ero neanche tra i 3.530[2] che hanno perso la vita o che risultano dispersi nel Mediterraneo o nelle rotte marittime del Nord-Est dell’Africa.
Ero tra i 349.449 passeggeri[3] che annualmente arrivano all’aeroporto di Lampedusa per trascorre piacevoli giornate di vacanze.
Lampedusa è una piccola isola di 20km2, ha poco di 6.500 abitanti, ma ha una attività umana e non incredibile:
- il sistema ricettivo offre oltre 17.800 posti letto (quasi tre volte il numero degli abitanti!)
- ci sono oltre quaranta imbarcazioni a noleggio per fare tour dell’isola e circa dieci operatori che gestiscono le escursioni
- sono presenti oltre cento tra ristoranti, pizzerie, pescherie‑ristoranti e bar
- quattordici tra spiagge attrezzate e cale libere
- e la Riserva Naturale Orientata[4] istituita nel 1995 che si estende per circa 3,67km2 lungo la fascia meridionale dell’isola, gestita da Legambiente Sicilia per tutelare la biodiversità e le dinamiche costiere e marine, al cui interno si trova una delle spiagge più belle del mondo e d’Italia, la Spiaggia dei Conigli[5], dove le tartarughe Carretta Carretta hanno depositato negli ultimi 25 anni da 1 a 7 nidi l’anno con più di 100 uova a nido.
la Porta d’Europa, realizzata da Mimmo Paladino nel 2008, è un portale alto cinque metri, largo tre, che guarda dritto verso il mare aperto
E poi sulla punta sud di Lampedusa, tra Cala Spugne e il Porto Vecchio, c’è una scultura che non si può ignorare. È la Porta d’Europa, realizzata da Mimmo Paladino nel 2008, un portale alto cinque metri, largo tre, che guarda dritto verso il mare aperto. Il mare da cui arrivano, o non riescono ad arrivare, le persone in fuga da guerre, fame, ingiustizie.
Non è un’opera retorica, non è colpisce per la sua bellezza o bruttezza, è un simbolo, è la memoria che si fa materia e si rende visibile agli occhi delle persone che sanno e sentono il dolore dell’ingiustizia, ma anche a coloro che si fanno un selfie sorridente dentro il varco.
Fatto di ceramica che riflette luce – quella del sole e quella della luna – questa porta diventa un faro che si scorge dopo ore/giorni in mare, da barche il più delle volte fragili per reggere la speranza, strette per stare in piedi, fatiscenti per consentire di arrivare tutti vivi e salvi.
Per chi la vede arrivando dal mare, quella porta è promessa, rappresenta il possibile, dopo l’impossibile, la soglia da attraversare passando per l’Italia, per giungere verso luoghi dove ancora c’è la speranza di vivere dignitosamente. Ma la Porta d’Europa è stata pensata anche per chi non ce l’ha fatta, per tutte le vite interrotte, dei figli che non torneranno, degli abbracci che non ci saranno più, degli amori inghiottiti, di tutti quei nomi che non saranno più pronunciati. È un varco che segna un prima e un dopo, un qui e un altrove.
E per gestire tutto questa transumanza umana sull’isola sono presenti circa 300 operatori tra Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia di Stato, Guardia Costiera e militari (circa 1 addetto ogni 20 abitanti!).
I Lampedusani accolgono tutti, turisti e migranti. I turisti portano denaro e benessere, portano lavoro e futuro; i migranti portano dolore e speranza, delusioni e sogni,
I Lampedusani accolgono tutti, turisti e migranti. I turisti portano denaro e benessere, portano lavoro e futuro; i migranti portano dolore e speranza, delusioni e sogni, che si può trasformare in cinismo ed indifferenza oppure in accoglienza e amore. D’altra parte, il legame con il mare e ciò che viene da esso e l’importanza di resistere e sostenere ciò che conta davvero è narrato nel mito di Colapesce, che ho visto rappresentato dai pupari lampedusani.
Nicola, detto “Cola” o Colapesce, era un ragazzino di Messina (oppure di Catania, o di Palermo, o di Lampedusa, dipende da chi la racconta la leggenda) figlio di pescatori, talmente innamorato del mare da vivere con i pesci. Si dice che, tanto trascorreva le giornate in acqua, che gli furono attribuite abilità sovrumane: branchie al posto dei polmoni, pinne alle braccia, capaci di farlo stare immerso per ore. La sua fama arrivò alla corte del re (nelle diverse versioni Ruggero II o Federico II di Svevia), che lo mise alla prova: gli chiese di recuperare una coppa d’oro gettata in mare, di raccogliere una corona in profondità e di descrivergli nel dettaglio tutta la bellezza presente nei fondali marini.
Ma durante la terza prova, scoprì che la Sicilia (o Lampedusa) poggiava su tre colonne sottomarine, e una di esse era rovinata e isola rischiava di crollare. Davanti alla frattura, Cola scelse di non risalire più. Si sistemò al posto della colonna rovinata, sostenendo la Sicilia (o Lampedusa) con il proprio corpo, rinunciando alla vita umana. La sua trasformazione in colonna vivente è simbolo di amore e sacrificio.
La potenza di questo racconto è incredibile, mette in luce valori ancora presenti nelle persone e negli occhi e nelle parole che hanno incrociato i miei in questa incredibile isola: un fortissimo legame con la propria terra, il coraggio del sacrificio per il bene comune e la capacità di ascoltare i segni della natura (una colonna che scricchiola).
A chi fa un viaggio e per esempio come me va a Lampedusa per vacanza per fuggire dalla propria realtà e godere della leggerezza del riposto, chiedo di guardare oltre le spiagge attrezzate e lo struscio del corso.
Chiedo di perdersi nelle stradine polverose, di parlare con le persone del posto, di scoprire luoghi inaspettati come la Porta d’Europa o eco-villaggi che accolgono turisti dove c’è stata una riforestazione importante negli ultimi quaranta anni, dove l’acqua viene riciclata più e più volte, dove gli scarti alimentari diventano compost e dove lavorano persone provenienti da quattro continenti da oltre vent’anni.
Chiedo anche di incontrare quegli isolani che non voglio sono vende solo i loro servizi (cosa evidentemente fondamentale per mandare avanti una economia che vive sul turismo), ma anche coloro vogliono condividere le loro storie, le loro tradizioni, che sanno cosa significa accogliere gli altri - che siano turisti o migranti.
Chiedo di avere il coraggio di leggere le storie dolorose dei migranti, piangendo le lacrime giuste della fortuna che abbiamo, non per sentirci in colpa, ma per non perdere la nostra umanità per trovare i modi giusti per affrontare tutte le sfide complesse della nostra epoca travagliata da guerre combattute con armi belliche e armi commerciali, da cambiamenti climatici, fenomeni atmosferici estremi e da stravolgimenti tecnologici come le intelligenze artificiali che rivoluzioneranno il nostro futuro.
Queste toccanti parole del Nazim Hikmet poeta, drammaturgo e scrittore turco naturalizzato polacco, possono aiutarci.
Il più bello dei mari
Il più bello dei mari
è quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello
che vorrei dirti di più bello
non te l’ho ancora detto.
Note
[1] https://data.unhcr.org/en/situations/europe-sea-arrivals?utm
[2] Ibidem
[3] https://it.wikipedia.org/wiki/Aeroporti_d%27Italia_per_traffico_passeggeri
[4] https://orbs.regione.sicilia.it/aree-protette/riserve-naturali-siciliane/130-riserva-naturale-isola-di-lampedusa.html
[5] https://www.fanpage.it/stile-e-trend/viaggi/la-classifica-delle-migliori-spiagge-del-mondo-al-secondo-posto-ce-un-lido-italiano/