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La presenza fisica, la voce reale, il confronto autentico sono essenziali. L’università non può trasformarsi in un teatro virtuale dove la tecnologia prende il posto della persona, svuotando di significato l’intero percorso formativo.


L'AI discute la tesi al posto della studentessa.  Se un’intelligenza artificiale può discutere una tesi al posto tuo, perché non può laurearsi al posto tuo? O insegnare al posto tuo? O vivere al posto tuo?

Non è una provocazione, non è una distopia, è successo davvero: all’Università di Cassino, per la prima volta in Italia, una tesi di laurea magistrale è stata presentata e discussa da un avatar. Non uno strumento di supporto. Non un effetto scenico. L’avatar era la studentessa. A parlare alla commissione non è stata Veronica Nicoletti, 26 anni, ma il suo alter ego digitale: un’intelligenza artificiale, con volto, voce e tono programmati per “somigliare” a lei.

Il vero punto non è la sperimentazione. È la sostituzione.
È che un'intelligenza artificiale ha preso parola al posto di una persona.
E il sistema universitario non solo l'ha accettato: l'ha celebrato, lodato, promosso come “modello replicabile”.

Non ci si rende conto della portata di quello che è accaduto: nel momento più autentico del percorso accademico — la discussione della tesi, dove lo studente dovrebbe dimostrare di sapere e saper essere — è stato messo in scena un paradosso: l’inutilità dell’essere umano.

La tesi non è più un confronto, ma una performance mediata da un avatar. Lo studente diventa spettatore. Un ruolo marginale nel proprio percorso di studi. Veronica, dicono, era presente in aula, ma ha parlato “in seconda battuta”, quasi fosse un’ospite del proprio esame. La scena era dell’AI.

A nulla vale il fatto che Veronica abbia programmato l’avatar, o che il progetto abbia un valore tecnico. La questione è simbolica e culturale. Se accettiamo che la voce umana venga sostituita da una voce sintetica nel momento della valutazione, stiamo ammettendo che l’essere umano è ormai un fattore accessorio. La tesi non è più qualcosa da vivere, ma da automatizzare.

Parlano di “inclusione digitale”, di “didattica personalizzata”, ma dietro la retorica si nasconde un problema enorme: si sta cancellando il senso stesso dell’educazione universitaria, che è responsabilità, esposizione, relazione diretta. Un avatar non prova ansia, non sbaglia, non arrossisce. Ma è proprio per questo che non può sostituire uno studente.

La presenza fisica, la voce reale, il confronto autentico sono essenziali. L’università non può trasformarsi in un teatro virtuale dove la tecnologia prende il posto della persona, svuotando di significato l’intero percorso formativo.

E l’applauso finale non era per la laureata.
Era per la macchina. L'essere umano è già obsoleto

My2Cents


Pubblicato il 14 giugno 2025

Andrea Albanese

Andrea Albanese / Social Media Marketing Manager & Digital Communication Advisor. Project Manager. Docente. Linkedin & Artificial Intelligence Specialist.

andrea.albanese8@gmail.com