“Quando si consideri l’effetto prodotto su ogni individuo da una giustificazione filosofica totale del suo modo di vivere e di pensare, la quale lo riscalda, lo benedice, lo feconda come un sole splendente tutto per lui, e gli conferisce libertà di fronte alla lode e al biasimo; quando si pensi come essa lo renda soddisfatto, ricco, prodigo di felicità e di benevolenza, come non desista dal trasformare continuamente il male in bene, porti tutte le energie allo sboccio e alla maturità, e non lasci prevalere le male erbe dell’accoramento e della tetraggine, si finisce per gridare in tono di preghiera: «Ah, potessero esser creati ancor molti altri di questi soli!». Anche il malvagio, l’infelice, l’uomo d’eccezione debbono possedere la loro filosofia, il loro buon diritto, il loro raggio di sole! Non di pietà hanno bisogno! Dimentichiamoci di questa idea orgogliosa, quantunque finora l’umanità abbia appreso da questa e questa abbia praticato; per coloro non abbiamo bisogno né di confessori, né di esorcizzatori, né di assolutori! Invece v’è bisogno di una nuova giustizia! E di una nuova parola d’ordine! E di nuovi filosofi. Anche la terra morale è rotonda! Anche la terra morale ha i suoi antipodi! Anche gli antipodi hanno diritto all’esistenza! Vi è ancora un altro mondo da scoprire… e più che uno! O filosofi, salite dunque a bordo!”
Si conclude così l’aforisma 289 di Nietzsche, tratto da La Gaia Scienza, con un invito rivolto ai filosofi a imbarcarsi sulle navi e non in un luogo qualsiasi, ma lungo le rotte del Mediterraneo. Da sempre quest’ultimo, cantato e invocato dalla poesia, ha suggerito legami con la storia, con l’antropologia e più in generale con la dimensione della vita.
Esiste infatti uno strato di senso che eccede la semplice narrazione del Mediterraneo e che lo rende metafora di un luogo ideale, di una dimensione ulteriore dell’esistenza. Quest’ultima, nascosta oltre la linea del visibile, sarà disvelata solo agli «uomini nuovi, gli innominati, gli uomini ardui a comprendersi, nati in anticipo per un avvenire non ancora dimostrato» (F. Nietzsche, La Gaia Scienza, 382). A coloro cioè che, mossi dall’entusiasmo della conoscenza, navigheranno coraggiosamente le acque agitate dei mari con la convinzione che «[…] la vita ha da essere un esperimento […] e non un dovere, non una fatalità, non un’impostura!» (Id., 324).
Ri-conoscere
L’esperire, esperienziale, rimanda al senso del movimento, del tragittare (pi-par-ti, sanscrito) lo sguardo oltre l’orizzonte visibile dalla terra ferma, dell’imbarcarsi con mente aperta e priva di predeterminazioni. La ricerca infatti investe una dimensione profondamente decostruzionista e si lascia attraversare da una trasvalutazione di quelle credenze, di quei principi e valori, che si pensavano ultimi.
Il senso può essere accostato solo se si comprende la nostra precarietà, l’impossibilità cioè di definire e autodefinirsi aprioristicamente e, soprattutto, una volta per tutte. Lo aveva perfettamente capito Elias Canetti quando sosteneva che «L’incerto dovrebbe essere il vero regno del pensare» (Die Provinz des Menschen, 1944). Nel momento in cui si sale a bordo infatti, nonostante ci sia chiara la destinazione, quella cioè della conoscenza, ogni calcolo e previsione dovranno rimanere sospesi. Solo in questo modo sarà possibile rileggere, riosservare e ricomprendere ciò che ci appariva vicino e, contemporaneamente, così lontano.
Anche i nostri stessi desideri, lungi dal poter essere definiti sulla base di un oggetto, di un nome o di un’azione, continuamente si ricompongono e si ritendono verso astrazioni che non credevamo di volere così intensamente. A mostrarcelo, ancora una volta, è proprio la navigazione nel Mediterraneo, in cui il già conosciuto, il già visto, sarà sottoposto a una seconda lettura. Dopo essersi imbarcati anche i luoghi che pensavamo di conoscere verranno riletti sotto una nuova luce, ci appariranno differenti.
Così «dopo esser stati lungamente in viaggio […] ecco che a noi sembra di ricever per compenso un paese sconosciuto che è davanti ai nostri occhi, dai confini che nessuno ha mai veduto, un al di là di tutte le terre e i rifugi dell’ideale, un mondo così straricco di bellezza, d’ignoto, di problematico, di terribile e di divino, che rapisce in estasi la nostra curiosità e la nostra avidità di possesso» (F. Nietzsche, La Gaia scienza, 382).
Il viaggio qui non è una semplice metafora, ma il mezzo per la trasformazione del sè
Il viaggio di cui parla Nietzsche però possiede una sfumatura altra, perché non si tratta di una semplice metafora di un percorso interiore, ma rappresenta il mezzo per la trasformazione del sé. Dopo aver deciso di navigare, l’uomo diventerà estraneo a se stesso e a ciò che prima era la sua casa finendo per non riconoscersi, o meglio, per conoscersi di nuovo, per ri-conoscersi. «La natura è all’interno troppo più ricca, potente, felice, terribile; voi non la conoscete così come vivete abitualmente: imparate a ridiventare voi stessi natura e lasciatevi poi trasformare con essa e in essa dal mio incantesimo d’amore e di fuoco» (F. Nietzsche, Richard Wagner a Bayreuth, p. 113).
L’identità smette perciò di essere un dato naturale e comincia invece a essere letta come un processo. Essa cambia nel tempo e si scopre composta da elementi che si trasformano continuamente, richiedendo così necessari aggiustamenti di connessioni. L’uomo nuovo naviga esattamente come governa la propria rotta, assumendosene il rischio ma avendo anche la forza di «crescere a modo proprio su se stessi, di trasformare e incorporare cose passate ed estranee, di sanare ferite, di sostituire parti perdute, di riplasmare in sé forme spezzate» (F. Nietzsche, Dell’utilità e il danno della storia per la vita, Milano 1981, p. 9).
A-dialettica
La scoperta di una nuova impostazione può liberare l’uomo, «Abbiamo lasciato la terra e siamo saliti sulla nave! Abbiamo tagliato i ponti dietro di noi e rotta ogni strada» (Id., 124), ma non può sottrarlo al giogo del desiderio. Quella ineluttabile bramosia che sospinge l’uomo nuovo a prendere possesso della realtà si dimostrerà, spesso, causa di sofferenza. Più ci si vorrà accostare alla verità, più essa si allontanerà da noi, mostrando il lato tragico di una esistenza che rimarrà sempre, in parte, a noi inaccessibile. La ricerca furiosa condurrà infatti alla scoperta di contrapposizioni non scioglibili, alla copresenza di aperture e chiusure, ad avvicinamenti e allontanamenti che, di continuo, disegneranno rovesciamenti a-dialettici.
Perché la conoscenza è necessità e tormento, speranza e angoscia, declinazioni queste che trovano posto in un luogo capace di condensare e dar voce a correnti multiple e contrarie: il Mediterraneo per l’appunto. Esso, il cui «principio pericoloso agiva: cioè essere immenso, molteplice e contemporaneamente immutabile» (E. Montale, Mediterraneo, in Ossi di Seppia), rappresenta la ricerca della misura, il fecondo equilibrio tra ragione e natura che l’uomo non può far proprio ma solo circumnavigare.
«Da ora in poi, infatti, signori filosofi guardiamoci meglio dalla pericolosa, vecchia frottola concettuale che ha postulato un “puro soggetto della conoscenza senza volontà, senza dolore e senza tempo”; guardiamoci dall’abbraccio di concetti contraddittori come “pura ragione”, “spiritualità assoluta”, “conoscenza in sé”:- qui si pretende sempre di pensare un occhio che non può essere affatto pensato, un occhio che non avrebbe assolutamente alcuna direzione» (F. Nietzsche, Genealogia della morale, BUR, Milano 2000, Terza dissertazione, par.12).
L’uomo può cambiare prospettiva rivedendo il mondo da una diversa angolazione, può cioè scoprire una nuova parte di se stesso.
Eppure senza cambiare prospettiva sarebbe impossibile vivere, conoscere e sperimentare perché vorrebbe dire farlo essendone una parte in causa priva di consapevolezza. Mentre invece «[…] quanti più occhi, occhi diversi, siamo capaci di aprire sulla stessa cosa, tanto più completo sarà il nostro ‘concetto’ di questa cosa» (Ibidem).
La polifonia e poliformia del Mediterraneo si riflettono nella nostra identità, incessante e sempre diversa. L’uomo non può valutare la natura, ma può cambiare prospettiva rivedendo il mondo da una diversa angolazione, può cioè scoprire una nuova parte di se stesso.
Il rischio
«Vi è ancora un altro mondo da scoprire… e più che uno!» (Id., 289), che il Mediterraneo suggerisce e che la legge del mare ci mostra. Salire a bordo significa assumere interamente la chance della scoperta, come pure il rischio di ogni fallimento.
Perché «[…] noi, Argonauti dell’ideale, forse più coraggiosi che saggi», ci ritroviamo «assai spesso naufraghi e mal ridotti […]». Accogliere l’invito a salire sulla nave vuol dire accettare i più grandi pericoli, così come la possibilità che quella misura, che il mesos del Mediterraneo ci suggerisce, rimanga per noi estranea. Eppure per chi è pronto a rischiare «Finalmente, anche se non è limpido, l’orizzonte ci appare di nuovo libero, finalmente i nostri vascelli possono riprendere il mare, affrontare di nuovo tutti i pericoli; ogni audacia è consentita di nuovo a chi vuol conoscere; il mare, il nostro mare, è nuovamente là, aperto, e forse non vi fu mai un mare ‘tanto aperto’» (Id., 124).
Il rischio dell’attraversamento del Mediterraneo è pari al rischio che l’uomo assume rispetto alla filosofia, quello cioè di essere sempre a un passo dall’abisso. «L’uomo è una fune tesa tra il bruto e il superuomo; una fune sopra l’abisso. Un pericoloso andare di là, un pericoloso essere in cammino, un pericoloso guardare indietro, un pericoloso rabbrividire e arrestarsi. Ciò che è grande nell’uomo è d’essere un ponte e non uno scopo: ciò che si può amare nell’uomo è il suo essere un passaggio e un tramonto». (Id., Così parlò Zaratustra, Prefazione, par. 4).
Eppure accogliere l’invito a salire a bordo, nonostante la difficoltà di un navigare che ci spoglia dalle antiche rassicurazioni e convinzioni, possiede in sé una ricompensa enorme. Liberati da una logica puramente razionale, si avrà accesso alla conoscenza. Solo accettando di vivere in un mondo in cui tutto è soggetto a trasvalutazione, senza cadere nel facile atteggiamento nichilistico, si potrà dire di aver accolto la sfida a cui l’uomo nuovo è chiamato. La possibilità del naufragio per i viaggi in mare corrisponde all’assunzione del rischio di una indipendenza critica non condivisibile che spinge, in un modo o nell’altro, nella direzione di una rivoluzione.
Prospettiva significativa perciò quella attraverso cui la filosofia legge il Mediterraneo, traducendosi in un invito a porre un secondo sguardo sul mondo, sugli altri ma principalmente su noi stessi. In fondo se la conoscenza non fosse trasformazione del sé, non potrebbe spingerci verso terre sconosciute, verso mari non solcati, verso lampi di verità che non pensavamo neanche di possedere.
L'articolo originale è stato pubblicato dall'autrice sulla rivista FIORI VIVI, una rivista della quale è redattrice e direttrice.
Fiori Vivi è una rivista di arte filosofia e cultura. Uno spazio di confronto tra scrittori, critici, giornalisti, ricercatori e studiosi di differenti discipline. Fiori Vivi collabora inoltre con festival, case editrici e associazioni culturali.
Bibliografia di riferimento
- NIETZSCHE, La Gaia Scienza.
- NIETZSCHE, Così parlò Zaratustra.