E’ fine anno, tempo di bilanci si dice. Anche se non essendoci mai un obiettivo chiaro è sempre complicato farne uno serio. Più facile probabilmente lasciarsi andare a un generico augurio che l’anno nuovo sia migliore del precendente, meglio legare il bilancio a questo concetto temporale. Meglio…meno impegnativo diciamo.
Perché la nostra credenza, specie quando l’anno finisce, è che ciò che avviene dopo sul piano cronologico è per forza migliore di ciò che esisteva prima e che, il più delle volte, viene sostituito.Buttiamo le cose “vecchie” dal balcone, regaliamoci “nuovi” propositi. Nuovo uguale migliore, di più uguale migliore. Anche se dire rispetto a cosa è un po’ difficile. Ma la vita e la civiltà non sono una gara di atletica in cui si va alla ricerca del record, non si va alla ricerca del “di più” qualunque esso sia e qualunque cosa possa significare. O meglio lo facciamo, anche se forse non è il modo migliore e più saggio, visti i risultati. Eppure siamo aggrappati a un concetto di futuro lineare, una linea retta verso sempre qualcosa di meglio, ed è umanamente comprensibile anche se riflettendoci non è così che vanno le cose in natura. Il tempo della natura è ciclico, è circolare…arriva il giorno e poi la notte, passa l’inverno e arriva la primavera. In Natura non esiste nessuna forma che replichi perfettamente una retta. La retta, specie quella che è una sembra un freccia tesa verso il futuro, è un costrutto umano.
Come umani sono i costrutti di progresso e di sviluppo, che nella confusione che generalmente abita le nostre sempre più rare conversazioni vengono spesso confusi, ma il progresso non necessita sempre di sviluppo; e, al contrario, non sempre lo sviluppo comporta progresso. Si tratta di idee diverse, semplicando legate alla qualità e alla quantità. Il progresso è un reale miglioramento della qualità. Ad esempio, se lo portiamo all’attulità, della qualità della vita di una persona, di una produzione alimentare, dell’aria che si respira in una grande città; Lo sviluppo è, invece, caratterizzato dai numeri, dall’aumento quantitativo: più prodotto interno lordo di una nazione (poi se aumentano i poveri fa nulla, basta che in assoluto qualcuno si arricchisca), più consumi, più supermercati, più canali tv, più libri o film prodotti, ecc. Quindi evidente che usarli come sinonimi non è una grande idea.
Eppure lo facciamo, e sganciata da riflessioni relative alla qualità e all’effettiva accessibilità della maggior parte della popolazione alle innovazioni, l’idea di progresso si è radicalizzata in fede incrollabile che le cose stiano andando sempre e comunque meglio,e con pericoloso corollario, il pensiero, che il progresso non si fermi mai. Probabilmente il germe di questo pensiero risiede nella filosofia illuminista e alla luce del tempo passato possiamo dire che questa idea costituiva e costituisce una pura illusione. Nella storia e nella cultura i declini sono esistiti ed esistono, come possiamo vedere facilmente anche applicando uno sguardo finalmente critico al presente
Non si nega che effettivamente la scienza e la tecnica abbiano fatto dei progressi, ma l’innovazione, in sé neutra, viene piegata in funzione degli interessi di chi la introduce o dirige nella struttura dei rapporti di produzione, di manipolazione del consenso e di assoggettamento. Essa non porta più libertà o democrazia, così viene solo raccontata ma nella praticia spesso conduce alla perpetuazione o all’aggravamento dei vistosi squilibri sociali ed economici dell’odierna globalizzazione, nonché al consolidamento delle rendite di potere delle oligarchie che da tale processo traggono benefici. Innovazione non è sinonimo di progresso. Urge quindi smascherare questo falso progresso e recuperare quello vero con i suoi contenuti valoriali per porlo quale orientamento delle settoriali innovazioni verso un mondo illimitatamente perfettibile di giustizia e libertà. E’ possibile, anche se non saprei come nell’attuale concezione economica della civiltà e persino dell’umano.
Riporto un pensiero di Marcello Veneziani, che personalmente può anche non piacermi, ma mi piace discutere delle idee piuttosto che delle persone e questa riflessione la trovo molto valida.
«La società capitalistica globale ha realizzato le principali promesse del marxismo, pur distorcendole: nella globalizzazione ha realizzato l’internazionalismo contro le patrie; nell’uniformità e nell’omologazione ha inverato l’uguaglianza e il livellamento universale; nel dominio globale del mercato ha riconosciuto il primato mondiale dell’economia posto da Marx; nell’ateismo pratico e nell’irreligione ha realizzato l’ateismo pratico marxiano e la sua critica alla religione; nel primato dei rapporti materiali pratici e utilitaristici rispetto ai valori spirituali, morali e tradizionali ha sposato il materialismo marxiano; nella liberazione da ogni legame organico e naturale ha realizzato il prometeismo di Marx nella sfera individuale; nella società libertina e permissiva ha inverato la liberazione marxiana dai vincoli familiari e matrimoniali; e, come Marx voleva, ha realizzato il primato della prassi sul pensiero. È la società occidentale a decretare il primato del divenire sull’essere, della mutazione della natura, dello sconfinamento sul limite»
Un pensiero che forse illumina anche sul motivo per cui la sinistra, di fatto, non esiste più.
Anche i rapporti umani seguono ahimé questa logica utilitaristica e l’altro esiste solo in funzione di quanto può darci, di quanto può appagare piacere effimeri o colmare insicurezze. Non esiste veramente se non in funzione di quello che ha e che dà, e come tale pienamente fungibile. Quello che l’altro è o sente, diventa inutile pesantezza, pedanteria. In questa logica economica in cui la relazione, l’ascolto, l’amore diventano un costo e un vincolo, diventiamo sempre più moralmente poveri. E quel che è peggio non ce ne accorgiamo. Abbassiamo sempre di più l'asticella, fino a fare diventare anche lo squallore accettabile, rendendo impossibile ogni sogno, ogni cambiamento. Scaviamo, ci diciamo che va bene così e andiamo avanti. Avanti per modo di dire, semplicemente invecchiamo. Altro che progresso.