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Da prigione del Minotauro a giardino degli amanti, da mosaico medievale a ragnatela digitale, il labirinto attraversa la storia trasformandosi ma restando sempre lo stesso: un luogo dove perdersi per ritrovarsi. Oggi, però, i labirinti sono invisibili e virtuali — e perdersi da seduti può essere molto più pericoloso. Un viaggio affascinante tra miti antichi, città moderne e intelligenza artificiale.


Nel cuore del labirinto: un viaggio dall'antichità all’era dell’intelligenza artificiale

Il labirinto non è solo una costruzione fatta di muri, siepi o corridoi. È molto di più: è un archetipo eterno, un simbolo che ha attraversato i secoli, mutando forma ma non significato. È la rappresentazione perfetta dello smarrimento, del viaggio interiore, della ricerca di senso. Era presente nell'antichità, ha assunto nuove forme nell’era moderna, si è trasformato nella nostra epoca digitale e continuerà a vivere in quelle che verranno, sotto nuove sembianze, sempre più immateriali ma non meno insidiose. Anzi.

Ciò che è fuori di te è una proiezione di ciò che è dentro di te, e ciò che è dentro di te è una proiezione del mondo esterno. Perciò spesso, quando ti addentri nel labirinto che sta fuori di te, finisci col penetrare anche nel tuo labirinto interiore. E in molti casi è un’esperienza pericolosa. (Haruki Murakami)

Antichi mostri e fili di salvezza

Il labirinto più famoso della storia è certamente quello di Cnosso, nella Creta minoica, edificato secondo il mito da Dedalo, su commissione del Re Minosse per rinchiudere il Minotauro, creatura mostruosa nata dall’unione proibita tra un toro sacro e Pasifae, moglie di Minosse. Il Minotauro diventa prigioniero di un dedalo senza uscita, una punizione simbolica per una trasgressione divina. La svolta nel mito arriva con l’eroe ateniese Teseo, che affronta il labirinto offrendosi volontario tra i sette giovani e le sette vergini che ogni anno dovevano essere inviati a Cnosso per combattere il Minotauro. Aiutato da Arianna e dal suo celebre filo, riesce a uccidere il Minotauro e tornare indietro. Che significato ha questo mito? Alla base vi è la ribellione contro l’ordine divino (peccato di hybris): Minosse aveva chiesto a Poseidone di inviargli un toro per sacrificarlo al dio. Un bellissimo toro bianco arriva ma Minosse decide di tenerlo per sé. Adiratissimo, Poseidone fa innamorare del toro la moglie di Minosse, Pasifae, che partorirà quindi il Minotauro, incarnazione della confusione tra umano e bestiale, tra razionalità e istinto. Il labirinto è una prigione per il Minotauro, luogo di isolamento e di confusione. Teseo rappresenta il tipico eroe greco che ripristina l'ordine sul caos ma non senza prezzo: le due povere eroine, Pasifae e Arianna, rimangono vittime silenziose.

Dall’Egitto all’India: il mito si moltiplica

Ma il labirinto di Cnosso non è il primo né l’unico. Già nel II millennio p.e.v., Plinio il Vecchio e prima di lui Erodoto raccontavano del grandioso labirinto dell’oasi di Faiyum, in Egitto: un enorme palazzo dalle infinite stanze, simbolo dell’ingegno umano ma anche della perdita e della confusione. Così anche era la grandiosa residenza di Calipso, la ninfa innamorata che tiene prigioniero, per così dire, Ulisse per sette anni in questo meraviglioso luogo, fatto di caverne e di giardini pensili ovunque. Sembra la pubblicità di  qualche Club Med di decenni fa… Mentre a casa la moglie umana invecchiava!Nella stessa epoca, in India, compaiono strutture simili nei racconti e nelle raffigurazioni, a testimonianza che certi archetipi nascono spontaneamente in ogni cultura, come nuvole nello stesso cielo. Jung ci direbbe che siamo di fronte a un simbolo universale: un luogo in cui ci si perde per potersi ritrovare.

Il Medioevo e il labirinto dell’anima

Nel Medioevo, i labirinti tornano come mosaici delle cattedrali europee. Non più ambientazioni fisiche da percorrere, ma metafore visive del cammino spirituale verso la salvezza. La fede guida l’uomo nel suo cammino tortuoso verso Dio, e ogni curva, ogni ritorno, è una prova da superare. Intanto, la cultura araba IX-XI secolo, all’apice della sua raffinatezza poetica e architettonica, reintroduce in Europa l’idea del giardino-labirinto: un luogo di delizie e di segreti, un eden in miniatura dove perdersi non è condanna ma piacere.

Il Rinascimento: quando il labirinto diventa gioco

Con il Rinascimento, il labirinto si fa leggero, vegetale, decorativo. Nei giardini delle ville nobiliari, le siepi tracciavano percorsi intricati dove l’errare diventava flirt, attesa, appuntamento clandestino. Nascono i labirinti multicursali, pieni di bivi e possibilità, a differenza di quelli antichi che offrivano un’unica via. È il trionfo del gioco sull’angoscia, della seduzione sulla paura.

Ma non tutto è rose e fiori: anche la natura umana è un labirinto. Lo è il nostro orecchio, con la sua chiocciolina interna. Lo è il cervello, rete infinita di connessioni. E lo sono le nostre città moderne. Victor Hugo ne I Miserabili ci conduce in un labirinto sotterraneo fatto di fogne, dove Jean Valjean trova rifugio come un nuovo Minotauro redento. Un labirinto di povertà e ingiustizia, dove si può perdere l’umanità o forse, come lui, ritrovarla.

I labirinti contemporanei: Web, Ikea e AI

Oggi i labirinti hanno perso la fisicità dei muri e delle siepi. Sono diventati invisibili, ma non per questo meno reali. I negozi Ikea, con i loro percorsi forzati tra cucine e armadi, ci regalano un'esperienza moderna di smarrimento, a metà tra il comico e l’angoscioso. I grandi musei sono dedali culturali in cui si rischia di perdersi più per la quantità di stimoli che per la mancanza di direzioni.

Ma il vero labirinto dell’epoca contemporanea è il web. Non a caso, “web” significa “ragnatela”: una rete che trattiene, connette, ma anche intrappola. Siamo ormai immersi in un universo digitale dove orientarsi è sempre più complesso. E questo labirinto non ha pareti: ha algoritmi, notifiche, bolle di filtro che creano realtà su misura. Mondi virtuali in cui crediamo di muoverci liberamente, mentre spesso siamo guidati, monitorati, condizionati.

E il futuro?

Con l’intelligenza artificiale che genera ambienti virtuali sempre più sofisticati, ci troveremo in labirinti che sembrano mondi. Non più fatti di siepi e pietre, ma di dati e illusioni.

“There is no route out of the maze. The maze shifts as you move through it, because it is alive.” — Philip K. Dick

Perdersi da seduti è più pericoloso

È svanito il fascino romantico del perdersi in un labirinto fisico. Oggi ci perdiamo stando fermi, seduti davanti a uno schermo. Il rischio è più subdolo: nel labirinto reale, prima o poi trovi un’uscita. In quello virtuale, puoi restare incastrato per sempre, convinto di essere al sicuro. E mentre il corpo è fermo, la mente gira in tondo, ipnotizzata.

Paradossalmente, l’esperienza fisica, corporea, cimentandosi con il pericolo tangibile, è molto più salvifica. Camminare in un labirinto vero ti mette in contatto con te stesso, ti obbliga a scegliere, sbagliare, tornare indietro. Solo così puoi ritrovarti. In un mondo in cui tutto è tracciato, geolocalizzato, guidato da assistenti vocali e mappe digitali, il vero atto rivoluzionario è perdersi consapevolmente.

Perché il senso profondo del labirinto non è lo smarrimento, ma il ritorno.


NOTA

A Creta, il labirinto era chiamato con il termine minoico da-pu-ri-to, una parola che suscita grande interesse nei filologi. Curiosamente, un termine molto simile si trova anche nell’Ebraico Biblico: debir, che indicava la parte più interna e sacra del Tempio di Gerusalemme, il cosiddetto “Santo dei Santi”. Da questa connessione nasce una tesi affascinante, già ipotizzata anni fa dal semitista Giovanni Garbini (sulla base di altri indizi che non contemplavano il termine da-pu-ri-to): l’interno del Tempio di Gerusalemme potrebbe essere stato concepito come un labirinto, proprio come quello cretese. Un luogo sacro, misterioso, difficile da penetrare — riservato solo a chi conosce la via, o il “filo” che conduce al cuore del divino

Pubblicato il 25 maggio 2025

Federico Carra

Federico Carra / Studioso appassionato di lingue antiche-orientali e testi sacri in lingua originale | Autore del libro “I racconti di Marco, Luca e Matteo” | Avvocato ed ex Direttore Affari Legali in azienda multinazionale

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