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Se il ruolo dell’autore è quello di portare l’opera a compimento, nei casi di opere complesse come quelle considerate nel precedente articolo di questa serie, diventa difficile identificarne chiaramente l’identità.


Indice della serie: Di opere d’autore, autori e trasformautori

  1. Introduzione (qui)
  2. Epistemologia dell’opera d’autore (qui)
  3. Autore, sostantivo plurale
  4. L’AI come autore trasformatore o trasformautore (qui)

Autore, sostantivo plurale

Se il ruolo dell’autore è quello di portare l’opera a compimento, nei casi di opere complesse come quelle considerate nel precedente articolo di questa serie, diventa difficile identificarne chiaramente l’identità.

Va detto che la questione si poneva anche per opere “più semplici”: che dire dell’autore di un quadro, di un romanzo, di una canzone o di un film in cui sono evidenti le citazioni, le riprese e i camei? delle copie al limite del plagio? E delle volte in cui l’autore si ispira, consapevolmente o no, ad altre opere precedenti, senza per questo rivelarlo esplicitamente?

Nella storia sono numerosi gli esempi di opere famose che richiesero anni per essere terminate, e che quindi furono “completate” da discepoli del maestro, più o meno meritevoli di essere ricordati. Per esempio, per la Cappella Sistina, Michelangelo fu chiaramente aiutato da decine di assistenti rimasti anonimi. La “Trasfigurazione” di Raffaello fu completata dopo la sua morte, dal suo allievo più fidato, Giulio Romano. “San Matteo e l’angelo” è un’opera di Caravaggio che fu distrutta o dispersa, e venne sostituita da una nuova commissione a Giovanni Baglione, un suo rivale, che quindi riprese il linguaggio pittorico originale ponendosi in un rapporto dialettico e teso.

Per non parlare della “Gioconda del Prado”, copia quasi identica della Monna Lisa leonardesca, ma con uno sfondo più nitido e colori vividi, forse eseguita nello stesso laboratorio di Leonardo da Francesco Melzi o da Salai, che ha acquisito nel tempo una sua propria fama. Nel 1907 Edvard Munch realizzò una reinterpretazione espressionista del dipinto neoclassico Morte di Marat” di Jacques-Louis David. L’opera di Michelangelo Pistoletto intitolata “Venere degli stracci” (1967) è composta da una riproduzione della Venere di Milo, simbolo della bellezza classica, idealizzata, quasi sepolta da un cumulo di stracci colorati e rifiuti domestici. Nel 1986, Andy Warhol, utilizzando una fotografia in bianco e nero e altre illustrazioni dell’Ultima Cena leonardesca, produsse quasi 100 variazioni sul tema, in cui loghi pubblicitari si sovrapponevano alle figure di Cristo e degli Apostoli, creando un ibrido tra arte e design commerciale.

Un altro livello di complessità si aggiunge quando l’opera nasce in un contesto allargato che coinvolge più artisti, e pur essendo attribuita ad uno di essi, testimonia l’anima e lo stile del collettivo. “Les Demoiselles d’Avignon”, formalmente attribuito a Picasso, e un’opera iconica del 1907, nata da un intenso scambio con altri artisti e intellettuali del circolo parigino del Bateau-Lavoir, tra cui André Salmon, Max Jacob e Georges Braque. “Q” (1999) è un romanzo attribuito allo pseudonimo collettivo Luther Blissett, ma scritto da un gruppo di scrittori bolognesi che in seguito si sono fatti chiamare Wu Ming, ed è espressione del linguaggio e Sdei riferimenti culturali di quel collettivo. Tra il 1925 e il 1930, il Bauhaus pubblicò 14 libri, i bauhausbucher, attribuiti a Walter Gropius, che rappresentano una sistematizzazione del pensiero pedagogico e progettuale espresso dall’insieme di architetti, artisti, artigiani e teorici che ne fecero parte.

Concludendo queste riflessioni sull’identità e sul ruolo dell’autore, accenno a tutti quei casi in cui l’autore ha tenuta nascosta la propria identità, attraverso uno pseudonimo, per ragioni disparate. Dalla disparità di genere (Mary Ann Evans pubblicò i suoi libri col nome George Eliot), alla volontà di tenere separati i diversi ruoli sociali ricoperti (Charles Lutwidge Dodgson con Lewis Carroll). Dallo scopo sperimentale (Stephen King con Richard Bachman), alla differenziazione di differenti esercizi di stile (Fernando Pessoa con Bernardo Soares e altri).

L’autore come mediatore di percezioni

Se la poliedricità della figura dell’autore toglie rilievo alla questione dell’identità dell’autore, proviamo a guardare in una prospettiva storica l’evoluzione del suo ruolo. Può essere interessante osservare la lunga maturazione che gli stessi artisti hanno rappresentato nel corso della storia dell’arte.

Nell’ambito della pittura, tra le molte forme di autorappresentazione, si può riconoscere una prima fase del’‘autoritratto situato’, in cui l’artista si inserisce all’interno di una scena narrativa più ampia. Victor Stoichita definisce questo tipo di rappresentazione, che l’autore fa di se stesso all’interno di una storia, “autoproiezione contestuale”: accompagnati spesso dalla locuzione “me fecit”, o qualcosa del genere, ha la funzione di firma, a rivendicazione della paternità dell’opera,rimanendo sempre in posizione marginale e poco visibile, nell’opera che rimane protagonista.

Crescendo la coscienza di sé e del proprio ruolo sociale e culturale, da tecnico-artigianale che prevaleva prima, dal Quattrocento in poi, si è diffusa la pratica dell’ “autoritratto autonomo”. In questo caso, l’artista si rappresenta all’interno della scena commissionata, con orgoglio pur in un ruolo subordinato (“io ho fatto questo”). E’ interessante notare che lo sguardo dell’artista è spesso rivolto altrove rispetto a quello degli altri personaggi, se non indirizzato proprio verso lo spettatore, a evidenziare il suo ruolo di mediatore tra l’opera e i fruitori. E’ stata un’epoca in cui si formarono i primi circoli artistici non legati ad una sola arte, e che vide artisti eccellere in più arti e in altri campi del sapere. Come Simone Martini, divenuto amico del Petrarca o di Giotto, citato dal Boccaccio nel Decamerone, e Piero della Francesca (matematico) e Leonardo da Vinci (scienziato). In questo periodo in cui prende forma la nozione moderna di “personalità artistica”.

Ancora più complesso è l’espediente dell’autoritratto riportato, cui ricorrono prima il Perugino negli affreschi del Cambio di Perugia e, poco dopo, il Pinturicchio, a cavallo del 500. In quegli affreschi, è raffigurato un quadro appeso con effetto trompe-l’oeil, un autoritratto del pittore, che sormonta una targa in cui si celebra “Pietro Perugino, pittore insigne. Se era stata smarrita l’arte della pittura, egli la ritrovò. Se non era ancora stata inventata egli la portò fino a questo punto”. Non più soltanto “mascherato” tra i personaggi o relegato ai margini come visitatore, l’artista assume la postura del pensatore che osserva e riflette.

Questa nuova forma di autorialità si nutre di una duplice consapevolezza. Da un lato, il pittore riconosce che ogni storia raccontata è inevitabilmente filtrata dal suo sguardo; dall’altro, invita discretamente lo spettatore a rendersi partecipe consapevole. Il messaggio è potente: **nulla di ciò che si vede è neutrale, tutto è mediato da un autore, e l’opera in un dialogo silenzioso tra l’autore e il fruitore. L’autoritratto evolve da semplice dichiarazione d’esistenza (“io ero qui”) a gesto meta-narrativo (“io ti accompagno a vedere”). In questa prospettiva, l’artista anticipa, quasi prefigurandolo, il ruolo moderno del regista o del narratore: un architetto di percezioni.
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Segue con L’AI come autore trasformatore o trasformautore, qui


Fonti

  1. Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914–1916, Ludwig Wittgenstein, (1921) — Einaudi
  2. Che cos’è un autore?, in Antologia, Michel Foucault, (1969) — Feltrinelli
  3. Selfie d’artista. L’autore nella scena, “Finestre su Arte, Cinema e Musica” in MilanoPlatinum, (2017) — MilanoPlatinum
  4. L’invenzione del quadro, Victor Stoichita, (1998) — il Saggiatore
  5. I quadri che ci guardano : opere in dialogo, Martina Corgnati, (2011) — Compositori

 

Pubblicato il 28 aprile 2025

Gino Tocchetti

Gino Tocchetti / Driving Innovation and New Ventures @ Corporate Startup Ecosystem

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