ABSTRACT
Nell’anno 2000 apparve sul numero 9 - 10 di “Ricerca. Nuova serie di Azione Fucina”, il bimestrale della FUCI (Federazione universitaria cattolica italiana) un’intervista al il professor Felice Mondella (Milano, 21 dicembre 1928 - Milano, maggio 2008) filosofo della scienza e medico, uno dei principali allievi di Ludovico Geymonat. Questa intervista era stata realizzata nel marzo dello stesso anno da un gruppo di giovani che, in via Procaccini a Milano[1], a casa del loro professore e maestro, affrontavano periodicamente temi filosofici e sociali. Tra questi studenti vi era anche Simone De Clementi che, in quell’occasione, organizzò l’incontro, preparò le domande da sottoporre al professore e curò la redazione finale del testo che poi inviò a Roma, all’attenzione di Simona Borrello, allora condirettore della rivista. L’intervista, che qui presentiamo in forma completa, affronta questioni centrali della medicina, come il suo statuto epistemologico, il rapporto tra filosofia e medicina, l’apporto della Bioetica ed alcuni problemi che interessano la medicina e la società, come il rapporto tra medico e paziente, il diffondersi di approcci di cura alternativi, il conflitto d’interessi in medicina, il consenso informato e così via. In questa chiacchierata con i suoi studenti Felice Mondella racchiude i temi a lui più cari e offre spunti e indicazioni che oggi, nel 2025, sono di straordinaria attualità. Un’occasione per pensare la medicina con prospettive differenti e un invito a costruire un nuovo modello medico, capace di unire tecnologia ed etica, scienze esatte e scienze umane, lontano da interessi economici eccessivi e in armonia con la natura del pianeta e dell’essere umano.
Una intervista di Simone De Clementi al Prof. Felice Mondella, fiosofo della scleinza e medico, uno dei principali allievi di Ludovico Geymonat.
Professor Mondella, come definirebbe lei la medicina?
Un’arte. La medicina è considerata una prassi che coinvolge una responsabilità sull’uomo e che ha un fine preciso, la salute; quindi si trova a riflettere su sè stessa da un punto di vista generale, di responsabilità, di risultati.
Che cosa si può intendere per salute?
Non tanto l’assenza di malattia, quanto piuttosto la condizione della persona: se una persona conta per gli altri, se una persona si sente viva, importante, se vale per qualcuno allora è sana. La salute è un bene sociale e la medicina è inserita nella società. È responsabilità del medico questo concetto di salute, che valuta anche la salute residua. Questo concetto più ampio di salute mette in risalto l’importanza della società, e allarga i confini concettuali, poiché rende sano, per esempio, un malato cronico e può considerare malato un emarginato, una persona dimenticata e sola apparentemente sana. Isolare l’individuo, astrarlo dalla società è una finzione che non regge.
Perché un filosofo si trova a riflettere sulla medicina?
Un filosofo riflette sulla medicina perché la medicina comporta una responsabilità, un impegno umano, etico. La medicina dalla filosofia è definita anche per i suoi problemi. Non ha tanto un oggetto ma ha dei problemi, tra cui quello dell’impegno umano, della responsabilità. La responsabilità va in due sensi: c’è quella di chi si occupa della medicina, di chi cura, e c’è quella di chi è curato. Di chi interviene e di chi è oggetto di questo intervento.
I tempi sono maturi per questi discorsi?
Oggi c’è più interesse per la medicina da un punto di vista filosofico di quello che vi era trent’anni fa. Il fatto che siano sorte riviste in lingua inglese (come ad esempio il “Journal of Medicine and Philosophy” e “Theoretical Medicine”) grosso modo negli anni settanta e ottanta testimonia un interesse da parte della filosofia nei confronti della medicina.[2] Quando le discipline sono in crisi, la filosofia entra in gioco, portandole a riflettere sui loro fondamenti. In fondo, questa è anche l’idea di Kuhn.[3] Ciò è già successo per la fisica all’inizio del secolo, quando vi erano delle oscillazioni tra l’atomismo e l’energetismo.
Perché ad un certo punto la medicina è entrata in crisi? E quali sono oggi i sintomi di questa crisi?
La crisi degli anni settanta e ottanta non nasce da problemi risolvibili scientificamente, cioè attraverso una tecnica sperimentale, ma richiede l’assunzione di un punto di vista generale, globale capace anche di fornire un’analisi delle implicazioni di tali problemi. Più che altro si tratta di capire che le cose che erano date per scontate in passato, quasi come ovvie, oggi sono messe in dubbio. Si mette in dubbio il carattere benefico della medicina, si sottolineano i forti interessi dei medici. È questo il punto. Vi sembra poco? Poi c’è da registrare il sorgere della consapevolezza da parte dei pazienti; il Movimento dei Diritti Civili, il consenso informato, la nascita della Bioetica sono snodi fondamentali. Oggi, la perdita di fiducia della gente nella medicina ufficiale è abbastanza evidente: pensiamo l fenomeno del diffondersi delle medicine alternative, al diffondersi dell’autocura e del secondo parere, alla lotta per la libertà di cura. Sono tutti segni importanti. Questi elementi di crisi richiamano una riflessione filosofica.
In quale modo può essere trovata la soluzione a questa crisi?
Per esempio, il destino della psicologia all’inizio del secolo[4] è caratteristico. La psicologia (soprattutto come psicoanalisi) veniva considerata in qualche modo poco scientifica. La psicoanalisi ha la caratteristica di richiedere un’espressione filosofica e oggi, praticamente, essa fa parte del senso comune. Non so, spero che la filosofia della medicina possa diventare oggetto di discussione diffuso nelle facoltà universitarie. Questo potrebbe aiutare.
E vede già dei segnali positivi?
In qualche modo, il fatto che si scriva una Introduzione alla medicina[5] in cui la filosofia è una parte integrante, è significativo dello stato della medicina attuale. Anche l’interesse storico per questa disciplina (come ad esempio dimostrano i libri e gli articoli pubblicati su Il Sole 24 ore da Giorgio Cosmacini), testimonia il fatto che siamo di fronte a un settore che necessita di una riflessione ampia e interdisciplinare, che si sta avviando. In Italia la filosofia della medicina comincia a prendere quota, dopo essere stata ignorata per molti decenni. Tuttavia, nel nostro clima culturale, è ancora difficile che una rivista di filosofia della medicina o della scienza riesca a farsi strada. Non per niente i più importanti dibattiti di filosofia della scienza e della medicina sono iniziati nei paesi anglosassoni (soprattutto negli Stati Uniti), dove la discussione è più estesa e articolata.
Alla luce di queste osservazioni, come cambia il rapporto medico/paziente?
Il problema medico/paziente è importante e deve far riflettere: paradossalmente, il medico nell’età della tecnica diventa fondamentale, nel bene e nel male. Il bisogno di un rapporto più personale e umano è sempre più diffuso, proprio perché la medicina è sempre più tecnologica. È proprio di fronte alla complessità del linguaggio medico che il paziente si trova spaesato; egli ha bisogno di un linguaggio semplice, umano, capace di avvicinare la persona ai problemi tecnici in modo chiaro. Quindi il medico, soprattutto quello di medicina generale, deve essere un buon educatore, un mediatore, proprio per compensare la tecnica. È necessaria dunque una formazione più umanistica. Le Medical Humanities dovrebbero essere inserite nei piani di studi e insegnate, per compensare gli eccessi biomedici e tecnologici.
Una strada obbligata dunque…
Secondo me, ci vuole un’ecologia umana. La medicina dovrebbe arricchirsi di conoscenza; devono quindi cambiare i rapporti umani perché la medicina possa dare il meglio di sé. Io penso che la responsabilità maggiore compete a chi sa di più e a chi ha più potere; ora, in qualche modo, la medicina e gli uomini che lavorano nella medicina hanno una responsabilità maggiore per il comportamento del pubblico nei riguardi della medicina stessa.
Vi è stato un momento in passato in cui medicina e filosofia erano unite?
Soltanto nell’antichità. In generale nei momenti in cui la scienza è messa in dubbio, quando non si sa esattamente cosa sia un concetto scientifico, allora subentra la filosofia. Nell’ultimo secolo e mezzo, nei momenti in cui era in dubbio il fondamento teorico generale dell’arte medica – il meccanicismo – allora era chiamata in campo la filosofia.
La medicina ha dei limiti? E se sì, quali?
I limiti sono, a mio avviso, più concettuali che pratici. O meglio, ci sono sia quelli concettuali sia quelli pratici. I limiti concettuali sono quelli che si spostano continuamente e riguardano più che altro la conoscenza; sono limiti che, in modi diversi, devono essere riconosciuti per ogni scienza. I limiti pratici sono più importanti perché toccano le aspettative umane, pubbliche perché la medicina ha ovviamente una grande importanza nelle attese e nelle speranze degli uomini. La medicina è la scienza che tocca di più l’uomo e le sue aspettative: può esaltare le attese o può essere attenta, può ingannare o aiutare, può educare o illudere. Attualmente prevale un’esaltazione della medicina e una conseguente eccessiva attesa del pubblico.
La ricerca scientifica ha limiti?
La ricerca scientifica non ha limiti. È la tecnica che ha messo limiti alla ricerca scientifica. Per esempio, il problema concreto della medicina è come vivere sani, ma non si può pensare a una vita che esca dal ciclo attuale, di 75 - 80 anni. Qui bisogna prendere in considerazione i problemi pratici, cioè l’aspirazione ad avere una vita prolungata, che è un’aspirazione comprensibile ma utopica. Il nodo centrale della questione è che la medicina è sempre più legata alla tecnica e al problema di un limite sostenibile. Andare al di là di questi limiti significa creare più aspettative ma, in ultima analisi, anche condizioni di vita peggiori.
Parliamo di bioetica…
Per me il problema centrale della bioetica rimane legato al rapporto medico/paziente, al rispetto che appunto viene leso se chi è assistito non è trattato bene. Il rapporto con il paziente è un rapporto con una persona debole, che va rispettata in modo particolare. Per esempio, nella mia esperienza da paziente all’ospedale,[6] la cosa che mi colpiva di più era il parlare dei medici davanti al letto dell’ammalato, sotto voce. È questa una delle cose che mi ha ferito maggiormente. Qui non c’è rispetto e nemmeno norme elementari di educazione. Qui sta il disprezzo e il distacco che in qualche modo i medici hanno verso i pazienti. A me non sarebbe mai venuto in mente, quando facevo il medico, di parlare davanti ai pazienti del loro caso sottovoce, con altri. Avrei parlato molto con i pazienti, ma nel giusto contesto. Un atteggiamento come quello che ho descritto, comporta una supponenza notevole e un distacco dovuto a un insano senso di superiorità, proprio di chi fa quello che vuole senza tenere in considerazione l’altro. La delusione per la mancanza di questo rapporto non è rara perché, per le condizioni tecniche e amministrative della medicina attuale, può essere dato poco alla gente. Poi ci sono altre questioni. Io penso, per esempio, che l’ultimo libro di Callahan[7] sia molto importante: parlare di una medicina sostenibile vuol dire anche affrontare le questioni dell’equità e dell’universalità delle cure. La medicina oggi deve essere una medicina per tutti, non può più essere la medicina individuale di un secolo fa: oggi, in fondo, o si è sani tutti oppure non si è sani. E da questo deriva il quadro attuale della medicina epidemiologica. Sono contento che si parli di questi temi e di temi scientifici in genere con un’ottica più ampia, perché oggi c’è bisogno di formare e di comunicare correttamente.
Lei crede che la scienza sia eticamente neutra?
No. Secondo me ogni attività umana comporta una dimensione etica. Mi basta un esempio: occorre responsabilità nella gestione di tanti soldi nel campo della ricerca scientifica. Si pone il problema se questa ricerca è veramente sempre utile e a che serve. Oggi, ricordiamolo, la ricerca costa miliardi e bisogna coraggiosamente chiedersi se questi soldi sono sempre spesi bene.
Come le piacerebbe essere curato?
Con attenzione, con comprensione, con amore. Mi auguro di avere intorno persone capaci, capaci anche di sostenermi e di accompagnarmi nella vecchiaia e, quando sarà tempo, anche nell’ultimo, inevitabile viaggio.
NOTE
- Tra questi giovani vi erano Carlotta Serra, Valerio Consonni, Eloisa Consales, Emanuele Corfiati, Arianna Ferrari, Ginevra Moretti, Sara Taschera, Michela Bresciani e Simone De Clementi, che ha curato questa intervista. A loro si univano a volte Giorgio Cosmacini, Giuseppe Gaudenzi ed altri amici del Professore per affrontare temi di filosofia della scienza.
- Di notevole interesse anche libri come “Nemesi medica” di Ivan Illich e “Medicina: sogno, miraggio o nemesi” di Thomas Mc Keown. Essi segnano l’inizio della stagione critica della medicina.
- Thomas Kuhn, storico e filosofo della scienza statunitense. La sua opera più nota e importante è del 1962, “La struttura delle rivoluzioni scientifiche”.
- Si intende qui il 1900, il XX secolo.
- “Introduzione alla medicina”, Giorgio Cosmacini, Claudio Rugarli, Laterza, 2000.
- Felice Mondella, nel 1990, all’età di settant’anni, incorse in un attacco ischemico cerebrale da cui si riprese quasi completamente.
- Daniel Callahan, La medicina impossibile, Baldini & Castoldi, Milano, 2000.
[1] Tra questi giovani vi erano Carlotta Serra, Valerio Consonni, Eloisa Consales, Emanuele Corfiati, Arianna Ferrari, Ginevra Moretti, Sara Taschera, Michela Bresciani e Simone De Clementi, che ha curato questa intervista. A loro si univano a volte Giorgio Cosmacini, Giuseppe Gaudenzi ed altri amici del Professore per affrontare temi di filosofia della scienza.
[2] Di notevole interesse anche libri come “Nemesi medica” di Ivan Illich e “Medicina: sogno, miraggio o nemesi” di Thomas Mc Keown. Essi segnano l’inizio della stagione critica della medicina.
[3] Thomas Kuhn, storico e filosofo della scienza statunitense. La sua opera più nota e importante è del 1962, “La struttura delle rivoluzioni scientifiche”.
[4] Si intende qui il 1900, il XX secolo.
[5] “Introduzione alla medicina”, Giorgio Cosmacini, Claudio Rugarli, Laterza, 2000.
[6] Felice Mondella, nel 1990, all’età di settant’anni, incorse in un attacco ischemico cerebrale da cui si riprese quasi completamente.
[7] Daniel Callahan, La medicina impossibile, Baldini & Castoldi, Milano, 2000.
BIBLIOGRAFIA
Felice Mondella, La medicina: scienza, prassi e ideologia, in AA.VV., Pensiero scientifico e pensiero filosofico (Padova, Muzzio ed., 1993)
Felice Mondella, Lo spazio del corpo, lo spazio della mente, Milano, Episteme, 1995
Giorgio Cosmacini, Giuseppe Gaudenzi, Roberto Satolli (a cura di), Dizionario di storia della salute, Einaudi, Torino 1996
Giorgio Cosmacini, La medicina nella storia, Episteme editrice, Padova 1996
Van der Steen, PJ. Thung, Faces of medicine, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht, 1988
Simone De Clementi, Aspetti epistemologici delle medicine alternative, Tesi di laurea, Università degli Studi, Milano, 1998
Sandro Spinsanti, Guarire tutto l'uomo: la medicina antropologica di Viktor von Weizsacker, Edizioni Paoline Cinisello Balsamo, 1988
Pedro Lain Entralgo, Il medico e il paziente, Il Saggiatore Milano, 1969,