Negli ultimi mesi l'Intelligenza Artificiale ha apparentemente rivoluzionato il settore in cui lavoro. Strumenti come Canva, Midjourney, ChatGPT, Adobe Firefly o strumenti “dal testo al design” hanno reso possibile per chiunque creare contenuti con pochi click.
Alla luce di tutto ciò viene da chiedersi: c'è ancora speranza per i graphic designer? Da un altro punto di vista potremmo chiederci: "quali i reali vantaggi per il cliente?".
Sembra siamo di fronte a una svolta: un imprenditore può oggi generare logo, brochure, profili aziendali, presentazioni e molto altro, senza dover per forza contattare un graphic designer.
La domanda allora è inevitabile: "Perché dovrei ancora affidarmi a un professionista umano, se un’Ai fa tutto, subito e gratis (o quasi)?"
"Perché in realtà non fa tutto" – è la risposta breve. "Perché l'Ai prenderebbe il controllo della tua comunicazione" – è la risposta più corretta e cruda.
Questa mia mania di andare subito al dunque con gli articoli… Già, potresti anche fermarti qui ma giustamente non ti fidi e magari vorrai che giustifichi questo paio di perentorie asserzioni. Ti accontenterò.
In verità, penso che qualsiasi imprenditore degno di tale appellativo ma anche qualsiasi autore che ha bisogno, ad esempio, di una copertina sappia, in cuor suo almeno, che un professionista vale di più. Cosi mi è stato confessato ma purtroppo anche dagli stessi che hanno poi optato per l'Ai…
È come quando spendi poco pur sapendo che resterai deluso, pur sapendo che probabilmente dovresti investire di più e meglio. Una scorciatoia un po' "birichina" giustificata in vari modi, tutti molto convincenti.
Diciamo allora che questo articolo si prefigge di ridurre tali birichinate e di riportare le pecorelle sulla retta via, la via della qualità anche se, ovviamente, vi è un pizzico di conflitto di interessi da parte mia (vedi tu).
Credici o no...
razionalità e creatività non fanno rima
Credici o no –perché qui il conflitto di interessi, lo ammetto, è pesante– per un graphic designer professionista e ancor più per un direttore creativo, l'Ai può solo svolgere un lavoro da mero assistente.
Una specie di lavoratore infaticabile per questioni di routine, suggerimenti, controlli e informazioni tecniche.
Se trovi che un servizio di Ai fa lavori od offre soluzioni migliori di quelli che sei in grado di pensare allora il tuo livello di professionalità è totalmente insufficiente.
L'Ai è solo "una macchina", per quanto la prima ottima macchina che lavora con efficienza in un settore intellettuale.
Di sicuro una macchina che farà molte vittime tra i colletti bianchi specie tra quelli che non notano differenza tra il loro lavoro e quello dell'Ai.
A volte anche "il creativo" è tentato di delegare un po' di creatività all'Ai. Di primo acchito la risposta può sembrare buona.
In secondo luogo si notano emergere difetti, incongruenze e banalità un po' come quando vai in cerca di funghi. Sembrava non ci fosse niente ma poi ne trovi uno, poi un'altro…
Per questo sono abbastanza convinto che dopo tutta la sbornia di automatismi "creativi" proposti, ci sarà una conseguente rivalutazione del vero lavoro creativo.
Molto del "successo creativo" che l'Ai sta riscuotendo è solo una specie di bolla pompata dal marketing, molta fiducia è immeritata e le persone se ne accorgeranno. Anche chi cerca "grafici esperti uso Canva" (se usano Canva non possono essere grafici esperti).
Non è facile ottimismo perché, come ho detto, il campo di battaglia è già cosparso di cadaveri, ma è consapevolezza che la creatività non è artificiale perché non è frutto di razionalità ma creatrice di razionalità.
Vale per i testi, vale per la grafica. L'Ai è molto convincente come lo sono spesso le persone senz'anima con tutto il loro raziocinio.
La ragione umana procede dalla conoscenza all’amore, ma l’intelletto superiore e creativo procede dall’amore alla conoscenza—Tommaso d'Aquino
La conoscenza ha bisogno d'amore, non di "dati". Che ne dite, mi sono spiegato?
L’Ai funziona, ma solo se sai "cosa chiedere"
L'Ai ha molte risposte ma nessuna domanda
L'avrai sentita dire: "La risposta non sta nel demonizzare la tecnologia", ma questo consiglio assomiglia ormai molto a un luogo comune perché anche i "demoni" si avvantaggiano della tecnologia.
E non è nemmeno vero che alla fine qualsiasi tecnologia apparsa nella storia umana ci sia stata solo d'aiuto e che l'uomo sia riuscito a dominarla. Pensiamo alle droghe sintetiche che possono essere usate per curare ma che sono anche una piaga sociale.
Magari ci siamo solo abituati ad essere effetto di varie tecnologie mentre crediamo di dominarle, chissà… lasciamo tali congetture a menti più specializzate.
"La vera discriminante non è tra uomo e macchina, ma tra automatismo cieco e progetto consapevole", così si dice, insomma, ed è vero. Ma il "progetto consapevole" va avvalorato e nutrito ben bene, con impegno e giorno dopo giorno altrimenti rimane solo un ottimo termine da forbito talk show televisivo.
Ammesso (e non concesso) quindi che l'Ai abbia tutte le risposte, essa non ha però alcuna volontà di sapere alcunché e quindi non ha alcuna domanda degna di tale appellativo.
L'Ai ha bisogno di domande, ergo: la vera differenza la fa chi sa fare le domande giuste (e aggiungerei "e chi sa valutare le risposte"). È in sintesi questa la differenza tra uomo e macchina?
Il vero professionista, graphic designer o chiunque altro, è sempre stato "colui che sa fare le domande giuste" e oggi lo è ancora di più e non parlo certo di come "impostare il prompt". Parlo di competenza sufficiente da capire quali siano le incognite da affrontare.
Gli strumenti basati sull'intelligenza artificiale sono stupidi e potenti assieme. Possono generare infinite soluzioni visive, testuali, stilistiche. Ma non hanno "intenzione", non riconoscono il contesto, non fanno domande. Sono generatori automatici, non consulenti.
Ecco perché, in un progetto grafico con obiettivi reali –ad esempio la creazione di un profilo aziendale professionale– l’Ai può sì essere d’aiuto, ma solo se guidata da qualcuno che sa cosa vuole ottenere, per chi, in che modo e con quali vincoli.
Chi non sa farsi le domande giuste, riceverà sempre risposte generiche, superficiali, intercambiabili. E, alla fine, perderà tempo, peggio, perderà il –proprio– messaggio.
Questo è il motivo per cui un testo o un'immagine semplicemente generati dall'Ai da operatori scarsamente competenti appaiano spesso uguali a tanti altri (se non strampalati o dei compitini da terza liceo).
Ti accontenti? Io non credo esista chi –veramente– si accontenta ma credo che ci sia chi si sforza di convincersi di essere contento.
6 cose che l’Ai non può fare se non ha un professionista capace che la guida
In realtà ce ne solo una che non fa: "pensare" e basta e avanza…
ma facciamolo un elenco per far contenti i motori di ricerca e per chi desidera un tono più pratico. Scandiamo i limiti dell’Ai nel graphic design, specie nei progetti istituzionali o aziendali, perlomeno quando non entra in gioco il valore del professionista.
1. L’Ai non conosce il contesto culturale reale
Può creare una brochure elegante, ma non sa se ti rivolgi a una PMI in provincia o a una multinazionale estera. Non distingue tra pubblico B2B o B2C, tra un mercato conservatore o uno creativo. Non sa se usare un tono tecnico, emotivo o ironico.
Un designer professionista conosce il contesto e adatta il linguaggio visivo e testuale al mondo in cui operi.
2. L’Ai non conosce il tuo pubblico
Chi riceverà il materiale? Cosa si aspetta? A cosa è sensibile? L’Ai lavora su utenti generici. Un professionista lavora su target reali, concreti, spesso co-progettando con te. E ti aiuta a definire non solo cosa dire, ma come dirlo nel modo più efficace.
3. L’Ai non ti dice cosa serve davvero
L’Ai non riflette sulla strategia. Se chiedi una brochure, te la fa. Ma forse ti basterebbero 3 slide ben costruite. O forse ti serve prima un naming, o una mappa dei contenuti.
ll designer ti aiuta a capire cosa è utile, cosa è superfluo, cosa ha senso fare adesso e cosa rimandare. Fa chiarezza. L’Ai no.
4. L’Ai non gestisce imprevisti
Un progetto reale non è lineare. Il cliente cambia idea, la stampa ha problemi, un'immagine non è disponibile, il budget si riduce. L’Ai non reagisce. Un professionista, sì.
E la differenza tra uno strumento e un alleato si vede proprio quando qualcosa va storto.
5. L’Ai non conosce i limiti tecnici
Una palette perfetta… ma non stampabile in quadricromia. Un formato bellissimo… ma non adatto alla piegatura. Un layout super… ma troppo pesante per il web.
L’Ai ignora il mondo fisico e i suoi vincoli. Un designer li conosce e trasforma i limiti in soluzioni intelligenti.
6. L’Ai non crea un’identità, crea "output"
L’Ai può generare belle cose, ma sono belle per chiunque. Non hanno stile, né carattere, né memoria.
Un graphic designer invece costruisce con te un’identità visiva, che si riconosce, si evolve e comunica stabilità.
Il quotidiano "fatto dall'Ai"
È stato fatto l'interessante esperimento di un giornale fatto esclusivamente dall'Ai (Il Foglio Ai) ma sarebbe corretto dire "scritto solo tramite prompt" che naturalmente solo dei giornalisti molto competenti possono inserire!
Un quotidiano sarebbe veramente un quotidiano fatto dall'Ai solo se fosse pubblicato da degli analfabeti o meglio ancora se una Ai, di sua iniziativa, si aprisse un sito web e cominciasse a postare articoli.
E qui io intravvedo un'ulteriore minaccia dell'Ai: lo sminuire il valore dello sforzo. Me l'immagino, se prima il grafico si sentiva dire "beh un po' di Photoshop e il gioco è fatto", ora si sentirà dire "cosa vuoi che sia con l'intelligenza artificiale". Mai vai a ca...mminare un po' all'aperto e schiarisciti le idee!
Il Foglio, ci scommetto, è il primo a saperlo: in realtà non esistono quotidiani fatti dall'Ai.
Caso-studio reale in ambito grafico
Produzione assistita dall'Ai di un profilo aziendale/company profile
Ho pensato sarebbe stato interessante raccontare in modo un po' sommario come mi è capitato di usare l'Ai in un mio progetto, un profilo aziendale. Per motivi che puoi comprendere, preferisco non fare citazoni dirette.
Così, dopo tutto il pistolotto teorico, ecco qui un lavoro in "carne ed ossa" qualcosa che solo un addetto può raccontarti. È andata così…
- Dopo aver raccolto diversi appunti con una mia personale ricerca sul web e con interviste al cliente, li ho dati semplicemente in pasto a Chatgpt fornendo qualche informazione di contesto, sul target di destinazione e sul progetto specifico, ottenendo così un primo output.
- Ho dato un'occhiata al testo fornito e ho chiesto di suddividerlo in capitoli e di suggerire un titolo per ognuno. Chatgpt ha fatto il suo lavoro ma mi ha fornito un testo piuttosto scollegato oltre che colmo di cliché linguistici, un po' troppa retorica e frasi da "venditore d'assalto".
- Ho chiesto quindi di presentarmi un testo più fluente, con passaggi naturali tra un paragrafo e l'altro. Alla fine avevo in mano ora un buon testo grezzo su cui lavorare (sottolineo: su cui lavorare).
- Ho dovuto quindi intervenire personalmente per rifinire lo stile del linguaggio, per eliminare e aggiungere frasi e riformularne altre per dare originalità e "brand" e per correggere alcune effettive "licenze poetiche di Chatgpt".
- Vi erano inoltre alcuni riferimenti, dati statistici, bibliografici e citazioni che ho ricavato e controllato sempre con l'uso dell'Ai e con verifiche incrociate sul web.
- Il testo è stato poi sottoposto al cliente che ha chiesto alcune aggiunte e precisazioni che ho incluso ancora personalmente (no-Ai).
- E questo è tutto per i testi a parte qualche rifinitura successiva. Per le immagini, una decina in totale, solo una è stata generata con l'Ai, per le altre ho preferito servirmi di immagini stock dopo averle confrontate con quelle generate che mi hanno in genere parecchio deluso.
- Il resto del lavoro (parecchio) come: raccogliere informazioni, produrre bozze generali, realizzare il progetto grafico, produrre la versione adatta alla stampa e quella adatta al digitale hanno richiesto un intervento umano professionale.
L'assistenza complessiva dell'intelligenza artificiale è terminata qui. Alla fine mi ha sollevato dal lavoro "grezzo" e aiutato un po' con le immagini.
È un lavoro fatto dall'Ai? Assolutamente no.
Ma quindi… l’Ai serve veramente?
Certamente, sì. Per un graphic designer potrebbe servire a:
- Raccogliere suggerimenti (magari per capire cosa non-fare)
- Recuperare immagini rovinate o in bassa definizione (come ho spiegato qui)
- Correggere la struttura e la grammatica dei testi
- Raccogliere dati, informazioni rapidamente
Per un cliente:
- Preparare materiali di base, chiarirsi le idee
- Trovare il professionista adatto
- Suggerimenti sulla strategia di comunicazione
- Far da sé i lavori ripetitivi
La sfida oggi non è più "Ai vs professionista", ma:
- Chi ha una visione progettuale vs chi cerca risposte standard.
- Chi guida il processo vs chi subisce lo strumento.
In mano a persone incapaci l'Intelligenza Artificiale è spesso più dannosa che utile. L'incompetente che la usa fa la figura del bambino di 2 anni al quale viene regalata la scatola da 36 pennarelli (e come il bambino pensa che sta facendo dei capolavori).
Produce contenuti inutili se non altro perché ripetuti o perché scollegati da una reale esperienza. Triti e ritriti da assomigliare all'intervento di un politico al parlamento. Discorsi perfetti ma vuoti.
Le immagini prodotte con l'Ai contengono spesso incongruenze e assurdità. Ho visto Venezia sostenuta da cataste di legna, non da pali, ho visto volti che sembravano aver subito una decina di plastiche facciali…
In conclusione: cosa scegli? Pillola rossa o pillola blu?
L'Ai è l'ennesima tentazione del "puoi avere tutto e subito". Ma è così "solo" se sai cosa vuoi, perché lo vuoi, e perché lo stai facendo. Se non hai questa chiarezza, l’Ai è solo una macchina e tu un suo ingranaggio.
In realtà, e la sparo grossa, non c'è nulla di male a vivere in un universo "alla Matrix" il punto è essere o meno consapevoli di immaginarlo ed essere capaci di immaginare ciò che si vuole, non ciò che vogliono altri (o l'Ai).
In mancanza di vera cultura professionale dovrai per forza accettare la prima "pillola" che ti viene offerta. Perciò la vera vittima dell'Ai non è in realtà il professionista (dal punto di vista economico almeno) ma l'utente finale.
L'utente finale di solito non sa fare le domande giuste. Senza le necessarie certezze sarà la "macchina" a prendere il controllo, non viceversa. Questa cosa è tremendamente vera e sta avvenendo ogni volta che tu accetti una risposta semplicemente "perché fornita dall'Ai" o, al contrario, "perché non è fornita dall'Ai".
"Questa roba è fatta con l'Ai?" è la domanda sbagliata. È adatta, è originale, è di alta qualità, è utile? Queste sono domande giuste.
"Questo stesso articolo è scritto con l'Ai?" Se hai afferrato il mio passaggio dovresti aver capito che la domanda non solo ha poco senso ma che in una certa misura esprime la tua posizione di pregiudizio sull'Ai.
E se proprio vuoi indagare, solo una profonda conoscenza di cosa può o non può fare l'Ai ti può dare la risposta. Se l'intelligenza artificiale fosse nemico del professionista, beh ogni bravo generale sa che deve conoscere bene il nemico, o no?
Perciò, se non riesci a distinguere un lavoro vero da uno artificiale, allora, molto probabilmente, quello è il lavoro di un bravo professionista. Ed è comunque un lavoro "vero" anche se non ha nulla a che vedere con la verità.
Porre la domanda giusta e valutare la risposta per riformulare una domanda ancora più giusta richiede molta professionalità. Sembra quasi una "nuova definizione di professionista".
Quindi la vera domanda non è “posso farlo con l’Ai?”, ma: “So abbastanza per fare le domande giuste e per valutare le risposte?”
Note e Contatti
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Carlo Gislon è un Direttore Creativo freelance attivo da trent’anni nella produzione grafica editoriale e pubblicitaria, al servizio di clienti che cercano una comunicazione di qualità. www.carlogislon.it