1. Strumenti convivali o strumenti dominanti?
CAB: Professor Illich, l’AI viene presentata come uno strumento che ci libera dalla fatica di scrivere, decidere, pensare. Può davvero essere un “mezzo conviviale” o è destinata a diventare l’ennesimo strumento dominante?
IVAN ILLICH: Uno strumento è davvero “conviviale” quando permette a ciascuno di usarlo con autonomia, senza dipendere da esperti o strutture complicate. L’AI, invece, nasce come una macchina molto complessa che funziona solo grazie a enormi infrastrutture e a un gruppo ristretto di specialisti. Per questo, più che uno strumento da maneggiare liberamente, diventa qualcosa a cui ci si affida, quasi ci si consegna.
Quando accade questo, lo strumento finisce per determinare ciò che consideriamo utile, vero o importante. Non è un problema tecnico, ma di potere. Se poche aziende o istituzioni controllano l’AI e la maggior parte delle persone la utilizza senza capire come funziona, allora non si tratta più di un aiuto, diventa una forma di dipendenza. Una tecnologia che dovrebbe ampliare la nostra libertà rischia di trasformarsi in una presenza che orienta le nostre scelte più di quanto ce ne accorgiamo.
2. Apprendimento AI
CAB: L’AI entra nelle scuole, scrive lezioni, corregge testi. È un aiuto o l’ultimo passo dell’“industrializzazione della conoscenza” che lei criticava?
IVAN ILLICH: Quando una tecnologia entra nella scuola, tende a rafforzare l’idea che il sapere sia qualcosa da erogare. La scuola aveva già trasformato l’apprendere in un servizio da consumare; l’AI rende questo processo più rapido e più impersonale.
L’apprendimento nasce dall’incontro con l’altro e dall’imprevisto. È un’esperienza lenta, fatta di tentativi, domande e scoperte che non si possono prevedere in anticipo. L’AI, invece, lavora solo con ciò che può classificare e calcolare. Ciò che non rientra nei suoi schemi appare come un errore.
Il vero pericolo non è una lezione sbagliata generata da un modello, ma la perdita dello spazio in cui ciascuno può formarsi liberamente. Se la macchina definisce cosa è una domanda legittima, e quali risposte risultano accettabili, finiamo per apprendere soltanto ciò che l’AI è in grado di riconoscere.
In questo modo la scuola diventa più chiusa, e l’immaginazione, che dovrebbe aprire possibilità, si ritrova misurata e ordinata secondo criteri stabiliti da altri.
3. L’illusione del controllo
CAB: L’AI promette di prevedere eventi, ottimizzare processi, ridurre incertezza. Questa promessa di controllo ci rende più liberi o più dipendenti?
IVAN ILLICH: Vivete in un tempo che preferisce il calcolo alla sorpresa. Vi rassicura pensare che ogni evento possa essere previsto, anticipato, governato da un modello matematico. L’AI rappresenta il punto più avanzato di questa tentazione, quella di togliere di mezzo tutto ciò che non è programmabile.
Ma la vita non è un progetto lineare. È fatta di deviazioni, errori, passi falsi che diventano occasioni per capire chi siamo. Quando una tecnologia pretende di cancellare l’incertezza, non vi offre libertà. Vi propone un modo di esistere in cui tutto è già deciso prima che possiate incontrarlo.
Per questo mi interessa la figura dell’essere umano epimeteico. È colui che accetta di non sapere tutto in anticipo, che impara dopo aver vissuto, che comprende il mondo attraverso gli incontri e non attraverso le previsioni. È un essere umano che riconosce il limite e gli dà valore.
L’AI non vi solleva dall’errore, fa qualcosa di più profondo, vi sottrae l’occasione di trasformare l’errore in conoscenza. Ed è proprio questa capacità che distingue l’esperienza umana da un processo informatico. Quando perdete il diritto di sbagliare, perdete anche la possibilità di crescere.
4. Istituzioni e dipendenza sociale
CAB: Le grandi piattaforme dell’AI stanno diventando indispensabili per lavorare, comunicare, curarsi, studiare. Siamo davanti a un nuovo monopolio?
IVAN ILLICH: Un monopolio non nasce quando uno strumento è utile, ma quando diventa inevitabile. Accade quando un’istituzione convince la società che non c’è alternativa al suo servizio. È successo con la scuola, che ha fatto credere che si possa imparare solo dentro un’istituzione specializzata, ed è successo con la medicina, che ha trasformato la salute in qualcosa di erogato da professionisti e non più coltivato dalla persona nella sua vita quotidiana.
L’AI si muove nella stessa direzione. Non vi sta sostituendo perché è più intelligente, ma perché vi abitua a pensare che ogni gesto debba passare attraverso di essa. Quando diventa normale affidare alla macchina un testo, una decisione, un percorso di cura o un compito di studio, ciò che perdete non è solo autonomia pratica, ma la sensazione stessa di poter agire senza mediazioni tecniche.
Il vero pericolo non è l’errore della macchina. Il pericolo è la vostra crescente difficoltà a immaginare soluzioni diverse da quelle che essa propone. È così che nasce la dipendenza, non da un obbligo formale, ma dall’abitudine. Ed è in questa abitudine che un sistema tecnico diventa l’unico ambiente possibile.
Non sto proponendo di vietare l’AI. Un divieto sarebbe solo un’altra forma di centralizzazione. Si tratta invece di fissare dei limiti chiari, affinché la macchina non cancelli la capacità delle persone di scegliere, inventare e agire con le proprie forze. Uno strumento rimane conviviale se lascia aperte molte vie. Diventa oppressivo quando ne lascia una sola.
5. Politica del limite
CAB: Quale potrebbe essere una risposta politica all’espansione dell’AI? Divieti? Regole? O un nuovo paradigma?
IVAN ILLICH: Non credo che il problema dell’AI possa essere risolto con un semplice divieto o con una nuova tecnica di controllo. La questione è politica, perché riguarda il modo in cui una società decide di vivere con i propri strumenti. Ogni epoca deve imparare a riconoscere il punto in cui una tecnologia non offre più un aiuto, ma comincia a chiedere obbedienza.
Quando parlo di “proscrizione”, mi riferisco a questo lavoro collettivo, capire fin dove può arrivare uno strumento senza invadere lo spazio dell’azione personale. Non è un rifiuto della tecnologia, è il tentativo di impedirle di diventare necessaria a ogni gesto della vita pubblica e privata.
Un’inversione conviviale nasce quando gli strumenti sostengono la capacità delle persone di agire in autonomia. Vuol dire rendere possibile a ciascuno di fare di più con meno risorse, meno burocrazia, meno dipendenza da apparati esterni. Se l’AI saprà favorire questa libertà, diventerà un alleato. Se invece renderà impossibile pensare, lavorare o comunicare senza passare da lei, allora non avrete ottenuto un progresso, ma un nuovo tipo di prigionia.
La scelta non è tra accettare o rifiutare l’AI. La scelta è tra una società che conserva la propria iniziativa e una società che la delega a una macchina.
Breve bibliografia di Ivan Illich
IIP nasce da una curiosità: cosa direbbero oggi i grandi pensatori del passato di fronte alle sfide dell’intelligenza artificiale? L’idea è di intervistarli come in un esercizio critico, un atto di memoria e, insieme, un esperimento di immaginazione.
Ho scelto autori e intellettuali scomparsi, di cui ho letto e studiato alcune opere, caricando i testi in PDF su NotebookLM. Da queste fonti ho elaborato una scaletta di domande su temi generali legati all’AI, confrontandole con i concetti e le intuizioni presenti nei loro scritti. Con l’aiuto di GPT ho poi generato un testo che immagina le loro risposte, rispettandone stile, citazioni e logica argomentativa.
L’obiettivo è riattivare il pensiero di questi autori, farli dialogare con il presente e mostrare come le loro categorie possano ancora sollecitarci. Non per ripetere il passato, ma per scoprire nuove domande e prospettive, utili alla nostra ricerca di senso.