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L’opera e il pensiero di James Hillman si caratterizzano per tematiche e delucidazioni che non erano ancora presenti all’interno della psicologia analitica. Proprio per questo, per differenziarsi dalla psicologia del profondo del suo maestro, Hillman è colui che ha dato vita alla psicologia archetipica. C’è qui una nuova visione dell’archetipo. Ma che cosa vuole intendere Hillman per psicologia archetipica?


Tutto il pensiero di Jung ruota intorno al concetto di archetipo, e gli psicologi di scuola junghiana, ancora oggi, continuano il percorso iniziato dalla psicologia analitica rimettendo sempre al centro dei dibatti i temi esplorati da Jung, tra cui soprattutto quello riguardante l’archetipo. Ma dal solco di Jung non sono solo nati discepoli “fedeli” che hanno sposato in pieno il suo pensiero, ma anche alcuni (se può essere usato questo termine) “infedeli”, cioè che hanno iniziato il percorso attraverso la psicologia del profondo per poi adottare una loro personale visione. James Hillman è stato uno di questi ed uno dei più importanti filosofi e psicanalisti della seconda metà del novecento.

L’opera e il pensiero di James Hillman si caratterizzano per tematiche e delucidazioni che non erano ancora presenti all’interno della psicologia analitica. Proprio per questo, per differenziarsi dalla psicologia del profondo del suo maestro, Hillman è colui che ha dato vita alla psicologia archetipica. C’è qui una nuova visione dell’archetipo. Ma che cosa vuole intendere Hillman per psicologia archetipica? 

Con questa denominazione, Hillman vuole trascendere e abbattere i confini classici della psicologia. Vuole portare alla luce una psicologia che richiami e che si fa portavoce dell’immaginazione, quindi del valore delle immagini. La parola archetipica sta ad indicare come l’archetipo non sia un prodotto confinabile all’interno della psicologia terapeutica o medica; è invece un concetto spaziale, ritrovabile in ogni contesto dell’attività umana[1].

Compare in Hillman una grandissima riflessione sul concetto di archetipo che si discosta dal pensiero di Jung. Se l’archetipo veniva considerato e valutato empiricamente solo all’interno della psiche, attraverso lo psicologo statunitense è bene ricercarlo ed esperirlo anche esternamente ad essa. È per Hillman un’eresia pensare che, essendo gli archetipi «le forme primarie che governano la psiche[2]», non possano essere presenti nei più disparati contesti umani, poiché questo impone di relegare la psiche semplicemente ad un contesto psicologico classico.

Gli archetipi essendo i modelli strutturanti della psiche che plasmano l’individuo fin dalla nascita sono riscontrabili in ogni ambito umano che li rappresenta attraverso immagini: dai sogni alla letteratura, dalle religioni fino all’arte. Assumono un valore fenomenologico e si distaccano dalla visione trascendentalista data da Jung. L’archetipo diventa rintracciabile ed esperibile nel mondo circostante. Attraverso il linguaggio mitico, proprio dell’archetipo, è possibile avvicinarsi ad una nuova concezione della psiche che ritrova la sua natura dispiegandosi negli ambiti culturali umani recuperando il suo valore immaginativo. Il ruolo centrale che la psicologia archetipica dà all’immaginazione deriva dall’influenza di Hillman (dopo quella di Jung) per l’orientalista Henry Corbin[3] e il suo concetto di mundus imaginalis che lui equipara al mundus archetypalis[4].

L’archetipo trova in questa unione la sua base nel mondo dell’immaginazione, coprendosi di valori immaginativi pur apparendo fenomenicamente come immagine. L’immagine assume un ruolo centrale, poiché sia l’archetipo che il suo regno (l’immaginazione) parlano attraverso immagini[5]. Il risultato da raggiungere non è più l’individuazione per Hillman, ma il ritrovamento dell’immaginazione. Questa riscoperta passa attraverso l’ampliamento del concetto di immagine iniziato con Jung, il quale riteneva che non ci fosse differenza tra psiche e immagine. Nella psicologia archetipica questo processo di identificazione trova applicazione concreta poiché il mondo diventa costituito da immagini, esattamente come in un sogno. Non c’è più il sogno del soggetto poiché il soggetto è nel sogno, nelle immagini che lo avvolgono.

Immergersi nelle immagini, nelle potenzialità archetipiche che appaiono significa indirizzarsi verso la propria capacità immaginativa. Le immagini essendo il costrutto della psiche stessa sfuggono alle interpretazioni simboliche, all’acquisizione percettiva e sensoriale elaborata perché dischiudono in realtà un altrove. Non sono più un fine ma bensì un modo per vivere la vita. «L’immagine è quindi data dalla prospettiva dell’immaginazione e può essere percepita soltanto da un atto dell’immaginazione[6]».  Attuare una psicologia dell’immagine significa proporre «una base poetica della mente[7]» che abbracci il processo immaginativo, arrivando a toccare non solo Jung e Corbin ma richiamando a sé una tradizione antica che comprende la civiltà greca, il periodo rinascimentale e quello romantico.

La base poetica, le immagini e i processi immaginativi della psiche non possono rinunciare all’archetipico, al loro valore universale ed eterno.  Gli archetipi diventano un modo per pensare il mondo circostante, una qualità che va riscoperta in sé stessi e nelle cose che ci circondano. Non esiste per Hillman l’archetipo in sé, oggettivo, poiché esso deriva da una fantasia di una determinata coscienza. È l’immagine il fattore principale. Il mondo può muoversi solo archetipicamente, pieno di metafore e figure mitiche che infondono un nuovo senso al pensiero, alla percezione, ripristinando un valore qualitativo dell’immagine così come appare. C’è una nuova intimità che deve essere riscoperta, la fenomenologia dell’archetipo schiude questa possibilità di fare esperienza diretta con le immagini che si manifestano, poiché esse sono la realtà da esperire. Si instaura una vicinanza tra il soggetto e ciò che è esterno, un’unione archetipica data dalla presenza in entrambi della psiche, di esperienzialità archetipica[8].

Proprio nella prospettiva di una nuova visione da dischiudere, Hillman sostiene la necessita di questo approccio da utilizzare nel mondo, visto che «le immagini archetipiche sono i mezzi medianti i quali il mondo è immaginato, e quindi le modalità grazie alle quali tutta la conoscenza, tutta l’esperienza diventa possibile[9]». Fantasia, immagine archetipica e immaginazione costituiscono i principi su cui Hillman vuole riportare l’essere umano attraverso una psicologia dell’immagine. Ogni immagine diventa quindi archetipica e «si manifestano perciò tanto nell’atto del vedere quanto nell’oggetto visto: esse appaiono nella coscienza come la fantasia dominante in virtù della quale diventa possibile il sorgere stesso della coscienza[10]».

La coscienza ordinaria si basa su immagini che vengono usate per descrivere e plasmare la realtà che sono in realtà limitanti e a-vitali, poiché non sfruttando la dimensione immaginativa sono intrappolate in una costante ripetizione ed omologazione senza subire mai una revisione. È qui che si insinua l’importanza ricoperta dalla psicologia archetipica, nell’abituarsi a riconsiderare vitali le immagini, ripristinandole dallo stato di oggettivizzazione. Riprendendo Jung in parte, la psicologia archetipica sostiene che bisogna «aderire alle immagini», lasciare che l’immagine non venga vista, ma sentita, poiché esse «sono ciò che percepiamo[11]».

Percepirle significa immergersi in una molteplicità, nella varietà psichica. Per questo motivo la psicologia archetipica, attingendo dai bacini culturali dell’esperienza umana deve muoversi in una direzione politeistica. La psiche deve riabbracciare una dimensione multipla e questo può essere compiuto solo riscoprendo le molteplicità psichiche presenti nei politeismi[12]. Hillman considera il monoteismo, non una male assoluto in sé, ma il suo dominio che si protrae da moltissimo tempo nella storia, dannoso, in quanto ha esercitato un consolidamento dell’Io, della razionalità e della pretesa di esercitare un controllo sulla psiche. Risulta urgente scampare e porre fine a questi domini per aprire altri orizzonti psichici[13]. In particolare, insiste sul ritorno ad una tradizione greca (la Grecia psichica) in cui c’era una psicologia religiosa totalmente libera dagli influssi monoteistici.

C’è un risveglio di pluralità che la psicologia archetipica vuole effettuare. Il politeismo va inteso non come una resurrezione di antiche religioni ma un aiuto per avvicinarsi al processo immaginativo[14]. Le divinità politeistiche (soprattutto greche, alle quali Hillman risulta più connesso) non devono scacciare la fede in altre religioni ma devono ampliare lo spazio psichico, scoprendo la molteplicità della psiche. Le divinità nella psicologia archetipica hillmaniana «sono immaginate come l’intelligibilità formale del mondo fenomenico, che consente ad ogni cosa di essere distinta per la propria intrinseca intelligibilità e per il proprio specifico luogo di appartenenza a questo o a quel kosmos (configurazione o sistemazione ordinata)[15]».

È l’attuazione di una mitopoiesi per riallacciarsi con la naturalità della propria psiche, con la propria anima. Il cammino della psicologia archetipica si basa proprio sulla scoperta dell’anima, la profondità della psiche.

L’anima mundi: il contesto dell’anima 

Il ruolo svolto dell’anima come prospettiva da adottare per sentire lo sviluppo dei contenuti prodotti dalla psiche è un compito iscritto nella psicologia archetipica. Ma tale prospettiva ha bisogno di una cosmologia in cui essere inserita, un contesto in cui poggiare, per far crescere la sua amplificazione nel mondo. Hillman trova, scavando nell’antichità, il paesaggio ideale in cui è possibile connettere la psiche al mondo: l’anima mundi

Lo psicologo statunitense vede in questo concetto filosofico una relazionalità con le varie psicologie che si sono succedute (freudiana, ma soprattutto junghiana) nel corso del tempo. Hillman insiste particolarmente in questo legame diretto che unisce i due vari ambiti. La riscoperta dell’anima mundi deriva da una precisa influenza hillmaniana che attraversa l’antica Grecia con Platone, il neoplatonismo di Plotino e il periodo rinascimentale di Ficino e Vico[16]

Dal platonismo, e la sua concezione del mondo come un essere vivente in cui attraverso la propria conoscenza è possibile raggiungerne un’altra, quella intrinseca al mondo, che permette l’accesso al regno iperuranico delle forme, si arriva al neoplatonismo plotiniano dominato dalle emanazioni gerarchiche. Il principio assoluto dell’Uno da cui si hanno nous (pensiero) e psiché (anima) fino ad arrivare ad ogni altra creazione, tutte infuse di anima[17] come accade nel Rinascimento, con pensatori come Marsilio Ficino[18] e Gianbattista Vico[19]. Essi riportano in auge l’anima del mondo come ambientazione psichica: Ficino attraverso l’importanza che diede all’anima, come centro di conoscenza per l’uomo della realtà.

Vico parlò degli universali fantastici anticipando il carattere archetipico da trovare ed esperire nel mondo[20].  Il Rinascimento è stata l’epoca della rinascita della varietà psicologica con una riapertura ad una dimensione politeistica dell’anima (tanto cara a Hillman) che poteva trovare un terreno fertile in cui svilupparsi. La cultura del tempo d’altronde riportava alla luce pratiche immaginative favorevoli, attraverso l’alchimia e la mnemotecnica.

Le immagini fantastiche venivano elaborate psicologicamente, alterate con capacità immaginative. La memoria che veniva richiamata era un fare appello alle forze dell’anima, alla sua capacità di penetrazione immaginale[21]. La psiche ricopriva un ruolo importante sia per la filosofia del tempo sia per le psicologie contemporanee. Ed è proprio l’anima mundi che rafforza tale connessione. James Hillman, sulla scia della psicologia del profondo considera l’anima mundi come quella particolare scintilla d’anima, quella immagine germinale, che si offre in trasparenza in ogni cosa nella sua forma visibile.

Allora anima mundi indica le possibilità di animazione offerte da ciascun evento per come è, il suo presentarsi sensuoso come volto che rivela la propria immagine interiore: insomma, la disponibilità di ciascun evento a essere oggetto dell’immaginazione, la sua presenza come realtà psichica. Non solo animali o piante infusi d’anima, come nella visione dei romantici, ma l’anima data con tutte le cose, le cose della natura, date da Dio, e le cose della strada, fatte dall’uomo[22]

Il mondo che appare si esprime attraverso l’uso di immagini che entrano in diretto contatto con la nostra psiche. Non è un semplice panpsichismo quello che Hillman vuole ripristinare con l’anima del mondo, cioè la concezione di un’interiorità nelle cose; lo psicologo statunitense vuole giungere più in profondità. L’uomo non è l’unico capace di gettare uno sguardo sul mondo ma ogni cosa getta il proprio sguardo.

Nell’anima mundi si viene guardati, il soggetto umano perde la propria concezione oggettiva e soggettiva del mondo e si apre ai linguaggi fantastici che continuamente lo plasmano. «In quanto forme espressive, le cose parlano; mostrano nella forma lo stato in cui sono[23]». L’infinità del mondo attecchisce con la conoscenza umana della semplice finità delle cose.

Le prospettive che si aprono trascendono ogni coscienza che si crede semplicemente umana, ripristinando conoscenze immaginative mai esplorate in cui il divino può manifestarsi. C’è con l’anima mundi una riscoperta platonica del mondo che deve ritornare alla psiche secondo Hillman, come fu in grado di farlo in passato. Non solo con l’anima del mondo si riscoprono valori occidentali abbandonati ma si instaura una connessione con quelle religioni che vengono definite animistiche dagli antropologi, in cui il mondo viene descritto come continuamente infuso d’anima e di presenze fantastiche.

Questa vitalità del mondo e della natura si contrappone alla visione razionalistica e meccanicistica della realtà circostante. Una natura interpretabile solo dall’ottica umana, solo da una determinata coscienza che cerca di omologare i fenomeni naturali anziché conoscerli. Un lavoro tutto di mente. Una conoscenza che rimane solo all’interno del mondo scientifico. La scienza meccanicistica, l’epistemologia devono muoversi solo all’interno di determinate corsie che descrivono un reale univocamente fissato. Solo uno è il modello che deve essere adottato e dai cui iniziare poi il lavoro teorico e pratico scientifico. Non ci sono altre modalità per arrivare al vero. Il metodo scientifico è sì necessario, ma non per questo deve essere totalizzante.

Non c’è solo la ragione come metodo per arrivare ad esperire, o più correttamente, a descrivere il mondo[24]. Hillman introduce una modalità diversa d’azione che trova spazio sempre all’interno dell’anima mundi, nel mondo visto come animato. La riscoperta dell’anima passa anche per la sua collocazione. Non deve più essere il cervello il motore che muove la psiche ma bensì il cuore deve ricoprire il ruolo fondamentale per la conoscenza[25]

L’anima si trova nel cuore. Spostandolo al cuore Hillman recupera una qualità psicologica troppo trascurata: l’estetica. La psicologia infusa in ogni luogo e in ogni cosa si basa sugli sguardi reciproci. C’è quindi un’estetica che parla. L’estetica è la psiche esterna che vuole essere ritrovata tramite l’ascolto. I fenomeni non sono più estranei ma tutti partecipano alla medesima unità. Il cuore, sede dell’anima è l’organo sensibile che permette questa unione dei fenomeni per Hillman, la reciproca intesa tra le cose, il ritrovo estetico[26].  Non solo la mente pensa (con metodologie oramai conosciute) ma anche il cuore è capace di attivare il pensiero, un pensiero archetipico.

Nella risposta estetica del cuore, l’atto di percepire il mondo con i sensi e l’atto di immaginare il mondo non sono separati, come accadrà nelle psicologie successive, derivate dalla Scolastica, da Cartesio e dall’empirismo inglese.

Queste concezioni, scindendo la naturale attività del cuore in percezione dei dati, da un lato, e intuizione delle fantasie, dall’altro, contribuirono all’assassinio dell’anima del mondo, lasciandoci così immagini senza corpo e corpi senza immagini, una immaginazione soggettiva immateriale scissa dalla res extensa di un mondo di morti dati oggettivi. Invece, il modo di percepire del cuore è contemporaneamente un percepire con i sensi e un immaginare: per percepire in modo penetrante dobbiamo immaginare, e per immaginare in modo accurato dobbiamo percepire con i sensi[27].

Il pensiero del cuore è la vita dell’anima mundi, e senza questo sentire il mondo ritornerebbe freddo e desolato, come una terra priva di slanci psichici senza nessuna unione con gli esseri che la popolano.

La vita per essere vissuta ha bisogno dell’esperienzialità del cuore, che Hillman collega con l’estetica.

La natura ha il suo linguaggio che si esprime nell’osservazione sensitiva, nella percezione diretta dell’uomo con ciò che la sua mente ha separato e continua a separare da troppo tempo.

La risposta estetica della psiche, il valore dell’osservazione degli invisibili richiede una diversa concezione dello spazio e del tempo. L’estetica per aderire e arrivare all’anima ha bisogno della pazienza e del vero ascolto, di immersione nelle profondità del mondo.

La riscoperta estetica che Hillman vuole portare attraverso il cuore somiglia «a un senso animale del mondo: un avere naso per la visibile intellegibilità delle cose – il loro suono, odore, forma, che parlano con e attraverso le reazioni del nostro cuore; un rispondere […] ai gesti delle cose in mezzo alle quali ci vediamo[28]».

C’è una trasformazione della normale concezione dell’essere umano che si prepara all’incontro con altre realtà.


Note

[1] James Hillman, Psicologia Archetipica (Roma: Treccani,2021), p.51.

[2] Ibid.

[3] Henry Corbin (1903-1978) è stato un orientalista francese. I suoi studi si sono concentrati sul pensiero filosofico e religioso arabo e iranico, Cfr., Mona Abaza, «A Note On Henry Corbin and Seyyed Hossein Nasr: Affinities and Differences», The Muslim World 90, no. 1-2 (2000): 91-107, ˂https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/j.1478-1913.2000.tb03683.x˃ (14/02/2025).

[4] Cfr., Henry Corbin, En Islam iranien (Parigi, Gallimard, 1971) in Hillman, Psicologia Archetipica p. 54.

[5] Krzysztof Czapkowski, Andrzej Pankalla, «From Metapsychologie to Realpsychologie: Archetypal Imagery in the Psychologies of C. G. Jung and J. Hillman», Analiza i Egzystencja 62 (2023): 43-64.

[6] Hillman, Psicologia Archetipica, cit., p.60.

[7] ID., Re-visione, cit., p.17.

[8] João Luis Corá Silva, Carlos A Serbena, «the Poetic Basis of Psyche», Junguiana Revista da Sociedade Brasileira de Psicologia Analitica 40, no.3 (2022): 105-118.

[9] Hillman, Psicologia Archetipica, cit., p.69.

[10] Ibid.

[11] Czapkowski, Pankalla, «From Metapsychologie to Realpsychologie,» cit., p. 55. 

[12] Hillman, Psicologia Archetipica, cit., pp.104 ss.

[13] Sanford L. Drob, «The Depth of the Soul: James Hillman’s Vision of Psychology», Journal of Humanistic Psychology 39, no.3 (1999): 56-72

[14] Hillman, Psicologia Archetipica, cit., pp.107 ss.

[15] Ibi, pp. 108-109.

[16] Daddi, «La scuola filosofica junghiana- James Hillman», pp. 77 ss.

[17] Philip Lewin, «Honoring the World-Soul», Liberal Studies Center, Clarkson University, Potsdam, New York 13699, No. 9 (1991): 23-33.

[18] Marsilio Ficino (1433-1499).

[19] Gianbattista Vico (1668-1744).

[20] Daddi, «La scuola filosofica junghiana- James Hillman», pp. 79 ss.

[21] Hillman, Re-visione, cit., pp.178-184.

[22] ID., L’anima del mondo e il pensiero del cuore, trad. Adriana Bottini (Milano: Adelphi, 2002), p.130.

[23] Ibid.

[24] Lewin, «Honoring the World-Soul», cit., pp. 24 ss.

[25] Daddi, «La scuola filosofica junghiana- James Hillman», pp. 73 ss.

[26] Lewin, «Honoring the World-Soul», cit., pp. 25-30.

[27] Hillman, L’anima del mondo, cit., p. 136

[28] Ibi, p. 143.

Pubblicato il 11 ottobre 2025