Un certo tipo di educazione sembra trasmettere il messaggio che scopo della vita sia la sopravvivenza tramite iper-adattamento e accondiscendenza, e il rispetto di chi è più forte (o più riccə, o ha più potere), non la libertà di autodeterminazione personale e il rispetto di chiunque, a prescindere dal potere che ha.
In questo mood, in cui si viene sostanzialmente addestratə a sentirsi da meno (o analogamente superiori, davanti a chi ha meno potere, meno risorse, ecc), fare un errore equivale ad essere nella savana e avere alle calcagna un leone che ti rincorre. La reazione è tra queste: blocco, fuga o attacco.
• Blocco: "Non faccio quel colloquio, non sia mai che mi chiedano una cosa che non so, non sono all'altezza, sai che figura!"
• Fuga: "Mollo il corso di chitarra, ho fatto due lezioni, ho già capito che non sono portatə."
• Attacco: "La colpa è di Tizio, Caio e Sempronio se non è andata bene." (La negazione deresponsabilizzante e accusatoria verso l'altrə).
Questi meccanismi ti tengono al sicuro, sì, ma ti tengono anche fermə. Sei bloccatə in una zona di comfort dove l’unica cosa che cresce è il muschio sui tuoi progetti.
Sai qual è il primo passo per sbloccarti e metterti in salvo da te stessə? Smettila di pensare in bianco e nero! Zittisci la P.d.S. dicendole di piantarla di vedere la vita in modalità "Successo Totale" o "Fallimento Definitivo". L'errore non è l'opposto del successo. È una sua fase. Quando fai un errore sul lavoro, o in una relazione, non hai "sbagliato tutto". Hai semplicemente trovato, in quel momento, un modo che non ha funzionato. E ora lo sai. Hai appreso, hai guadagnato dati. È un po' come se, dopo essere inciampatə in un sasso, nel ripassare il giorno dopo trovassi il cartello: “Attenzione, potresti inciampare”.
I bambini e le bambine lo sanno benissimo. Cadono, piangono per qualche secondo (se ci sei tu a guardarlə), poi si rialzano e ricominciano a correre. Non stanno lì a farsi un’analisi esistenziale sul perché le loro gambe non siano state abbastanza performanti. Loro provano e riprovano.
E noi? Noi grandi ci blocchiamo perché abbiamo scambiato l'"errore" con il "giudizio" su chi siamo. Ti passo un trucchetto: la chiamo strategia dell'"E quindi". La prossima volta che senti arrivare l'ansia da paura di sbagliare, fai un piccolo esercizio:• Identifica l'errore potenziale: “Ho paura a chiedere questa cosa al collega perché potrebbe sembrare una sciocchezza”
• E quindi? "Cosa può succedere se gli sembra una sciocchezza?"
• Identifica la conseguenza peggiore: "Penserà che non avrebbero dovuto assumermi "
• E quindi? Individua ancora la conseguenza peggiore:“E quindi per dei giorni sarò in imbarazzo"• E quindi? Conseguenza peggiore? "E quindi basta! Poi anche lui se ne dimenticherà perché ha una vita piena di imbarazzi suoi!” (Di solito, l'"E Quindi" ripetuto - che può andare anche molto più avanti del mio esempio - sfianca e finisce sempre più o meno così, con questa resa scocciata ma che in fondo ti solleva dall'ansia catastrofica iniziale).
La realtà è che la maggior parte dei nostri "fallimenti" sono irrilevanti per il mondo. Sono rilevanti solo per il nostro ego iper-protettivo.
E quindi? E quindi nella migliore delle ipotesi avrai pure una storia divertente, sui tuoi errori e i tuoi imbarazzi, da raccontare.