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Nietzsche una volta disse che la nostra felicità consiste nel possesso (o meglio dell’illusione del possesso) di una verità non negoziabile.

E’ una riflessione interessante (e vista la fonte non è sorprendente lo sia), magari è una delle chiavi per spiegare perché l’era del benessere materiale più diffuso,sia anche quella in cui l’uomo maggiormente si confronta con l’infelicità.


Non abbiamo più tali verità non negoziabili, abbiamo solo una lista scolpita di ragioni e di torti, con noi sempre seduti al tavolo delle ragioni ovviamente, perché benché queste verità siano scomparse al tempo stesso siamo incapaci di accettare il dubbio, di semplicemente porcelo, come se la semplice esistenza del dubbio potesse far crollare le nostre fragili sicurezze. Quando invece nel dubbio sta la possibilità, la creazione, la bellezza. E su questo bisogno di stare dalla parte giusta trovano spazio narrazioni totalizzanti, entusiasmi schizofrenici, polarizzazioni. Narrazioni divisive, quasi mai unificanti perché tutto ciò che unisce e collega sta scomparendo. Non esistono quasi più valori o simboli condivisi, né narrazioni comuni che uniscano le persone, sostituite da liste di proscrizione su ciò che è giusto e cosa è sbagliato.

Siamo molto ben informati, eppure in qualche modo non riusciamo a orientarci

Siamo molto ben informati, eppure in qualche modo non riusciamo a orientarci. L’informatizzazione della realtà porta alla sua atomizzazione, alla separazione delle sfere di ciò che si ritiene vero e soprattutto possibile.

La verità, a differenza dell’informazione, ha una forza centripeta che tiene insieme la società. L’informazione, invece, è centrifuga, con effetti molto distruttivi sulla coesione sociale. Se vogliamo comprendere il tipo di società in cui viviamo, dobbiamo capire la natura dell’informazione.

I frammenti di informazione non forniscono né significato né orientamento. Non si fondono in una narrazione. Sono puramente additive. Da un certo punto in poi, non informano più, ma deformano. Possono persino oscurare il mondo. Questo le pone in opposizione alla verità.

La verità illumina il mondo, mentre l’informazione vive dell’attrazione della sorpresa, trascinandoci in una frenesia permanente di momenti fugaci.

Accogliamo le informazioni con un sospetto fondamentale: le cose potrebbero essere diverse. La contingenza è una caratteristica delle informazioni e, per questo motivo, le fake news sono un elemento necessario dell’ordine informativo. Quindi le fake news sono solo un’altra informazione e, prima che possa iniziare qualsiasi processo di verifica, hanno già fatto il loro lavoro. Superano la verità, che non riesce a stare al passo. Le fake news sono a prova di verità.

Più siamo esposti alle informazioni, più cresce il nostro sospetto. L’informazione ha due facce: produce contemporaneamente certezza e incertezza. Questa fondamentale ambivalenza strutturale è insita in una società dell’informazione.

La verità, al contrario, riduce la contingenza. Non possiamo costruire una comunità stabile o una democrazia su una massa di contingenze. La democrazia richiede valori e ideali vincolanti e convinzioni condivise. Oggi la democrazia cede il passo all’infocrazia. Ah i tecnici! Ah gli “esperti”! Salvateci voi che sembrate così sicuri!

E questa crisi della comunità, che è una crisi della democrazia, nasce anche dalla digitalizzazione. La comunicazione digitale reindirizza i flussi di comunicazione. Le informazioni vengono diffuse senza formare una sfera pubblica. Sono prodotte in spazi privati e distribuite a spazi privati. Il web non crea un pubblico, è pensato per una fruizione individuale. Le community, pallido simulcro di quello che una volta era la comunità, sono semplici cluster di consumatori già ben targetizzati, perfetti per messaggi di consumo, insufficienti per muoversi con efficace nel mondo reale.

Ciò ha conseguenze altamente deleterie per il processo democratico. I social media intensificano questo tipo di comunicazione senza comunità. Non si può creare una sfera pubblica con influencer e follower. Le comunità digitali hanno la forma di merci; in definitiva, sono merci.

Naturalmente, anche in passato c’erano informazioni. Ma non determinavano la società nella misura in cui lo fanno oggi. Nell’antichità, le narrazioni mitiche determinavano la vita e il comportamento delle persone. Il Medioevo è stato, per molti, determinato dalla narrazione cristiana. Ma l’informazione era incorporata nella narrazione: un’epidemia di peste non era pura e semplice informazione. Era integrata nella narrazione cristiana del peccato.

Oggi, al contrario, non abbiamo più narrazioni che diano significato e orientamento alla nostra vita. Le narrazioni si sgretolano e si deteriorano in informazioni. Con una certa esagerazione, potremmo dire che non c’è altro che informazione senza alcun orizzonte ermeneutico di interpretazione, senza alcun metodo di spiegazione. I frammenti di informazione non si fondono in conoscenza o verità, che sono forme di narrazione. E resta solo udibile il messaggio pulsato di fondo a tutti questi frammenti

Produci, desidera, consuma, crepa

Il vuoto di verità in una società dell’informazione rende le persone insoddisfatte, specialmente in tempi di crisi. Le persone inventano narrazioni per spiegare una marea di cifre e dati disorientanti. Esse spiegano prontamente il mondo. Sul web si aprono spazi che rendono nuovamente possibili esperienze di identità e collettività. Il web, quindi, è tribalizzato.

Per questo tutte le promesse di libertà e democrazia del web sono in gran parte tradite, dubito che la società dell’informazione sia una continuazione dell’Illuminismo, ma piuttosto rappresenti un potentissimo pendolo da ipnosi di desideri fittizzi e consigli per gli acquisti. Forse abbiamo bisogno di un nuovo tipo di illuminismo. A proposito di un nuovo illuminismo, Nietzsche osservò:

«Non basta rendersi conto dell’ignoranza in cui vivono gli esseri umani e gli animali, bisogna anche avere la volontà di essere ignoranti e imparare di più. Bisogna comprendere che senza questo tipo di ignoranza la vita diventerebbe impossibile, che solo a condizione di questa ignoranza ciò che vive può preservarsi e prosperare».


Ispirato da un’intervista di Byung-Chul Han a Noema Mag

Pubblicato il 15 ottobre 2025

Fabio Salvi

Fabio Salvi / Team Lead People Partner Europe South presso FlixBus

fabiosal77@gmail.com