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Una figura laterale, non produttiva, non visibile, non riconosciuta: l’ape blu attraversa silenziosamente i margini del mondo, sovvertendo con la sua sola esistenza l’imperativo della performance. In un’epoca che misura tutto, anche l’essere, questa creatura opaca restituisce senso a ciò che agisce senza apparire.


Non è iscritta a nessuna piattaforma per il personal branding, non aggiorna il suo pitch personale, non partecipa a retreat immersivi con testimonial ispirazionali. Non ha un mentor, non fissa obiettivi SMART, non compila survey sul clima aziendale. Nessuno le ha mai chiesto se si sente valorizzata. Vive ai margini, scava il legno morto, impollina fiori complicati.
Nessuna KPI. Nessun badge. Nessun webinar sulla produttività. Eppure, tiene insieme interi ecosistemi.

l’ape blu è un’intollerabile deviazione

La Xylocopa violacea è un’ape solitaria. Non produce miele, non ha una regina, non partecipa all’ideologia della cooperazione forzata.
Non si aggrega, non si organizza, non si armonizza.
Lavora in autonomia, senza intermediari, senza storytelling.
Non è scalabile. Non è esportabile. Non è utile all’agroindustria.
Non genera utili, non si presta alla logica del profitto, non ambisce alla replicabilità.
Fa solo ciò che deve essere fatto. E lo fa bene. Senza rumore, senza slogan, senza una vision da condividere.

Nel nostro tempo, dove ogni gesto dev’essere visibile, performativo, brandizzato, dove persino il dubbio dev’essere dichiarato, e la fragilità monetizzata in forma di contenuto, l’ape blu è un’intollerabile deviazione.
Non comunica i suoi traguardi, non racconta la sua purpose, non partecipa a nessuna community.
Non produce insight, non valorizza la propria unicità.
Eppure, rigenera la vita.
E lo fa proprio perché non è assorbita nel ciclo produttivo del valore.
Non è funzionale, non è ottimizzata, non è parte di nessuna strategia di lungo periodo.
Esiste e agisce, malgré tout.

C’è qualcosa di profondamente sovversivo in questa forma di esistenza.
Un agire che non cerca né approvazione né potere, e che proprio per questo scarta l’obbligo della visibilità.
Che non investe sul capitale reputazionale, non gioca il gioco della performance, non reclama nulla.
Si sottrae alla logica dell’ottimizzazione, del risultato, della valorizzazione delle risorse.
Non produce valore: produce vita.
Non innova: continua.

Un’azione silenziosa, opaca, senza linguaggio competitivo, che allude a una forma altra di efficacia.
Non quella che misura, ma quella che custodisce.
Non quella che cresce, ma quella che tiene.
Spinoza l’avrebbe amata per la sua fedeltà all’ordine intrinseco del mondo, per quella capacità di perseverare nel proprio essere che non ha bisogno di altro che di sé per esistere .
Weil avrebbe visto in lei una forma pura di attenzione: una presenza che si dà senza intenzione di possesso, senza finalità, senza ritorno.
Una forza umile e radicale, simile a quella grazia che non si può cercare, ma solo accogliere.

Noi, invece, la ignoriamo. Troppo scura, troppo grossa, troppo poco rassicurante.
Non entra nei feed, non si lascia rappresentare, non è ottimizzabile.
È un fallimento dal punto di vista del branding.
E forse proprio per questo necessaria.

Viviamo in una società dove essere visti ha sostituito l’essere, dove la presenza conta solo se accompagnata da una narrazione,
dove l’invisibile è considerato irrilevante, se non addirittura colpevole.
Eppure, l’ape blu lavora.
In silenzio. Nella fessura. Contro il rumore.
Non cerca follower. Non produce contenuti. Non ha un tone of voice.
Non è leggibile secondo le griglie del valore sociale.
E proprio per questo apre uno spazio: uno scarto, una possibilità, una soglia.

Ogni tanto, quando pensi che qualcuno non stia contribuendo abbastanza nel tuo gruppo di lavoro, chiediti se non sia un’ape blu.
Non fa rumore. Non fa squadra. Non si segnala.
Ma senza di lei, qualcosa non fiorisce.
E tu, nemmeno te ne accorgi.


Pubblicato il 30 luglio 2025