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Viviamo un momento storico cruciale, in cui i modelli economici tradizionali basati su crescita infinita e sfruttamento illimitato mostrano tutte le loro contraddizioni. Kate Raworth, con la sua teoria della "ciambella", ci offre una bussola preziosa per ripensare l’economia del XXI secolo, mettendo al centro la giustizia sociale e il rispetto per i limiti planetari. L'antropocene ci ricorda che il nostro metabolismo globale è in crisi: sovrasfruttiamo le risorse naturali e oltrepassiamo i confini che mantengono in equilibrio la vita sul pianeta. Ma c’è una via per prosperare entro uno spazio sicuro e giusto, dove nessuno sia privato di bisogni essenziali e dove si rispettino i limiti biofisici della Terra. Nel mio ultimo articolo approfondisco le 7 mosse di Raworth per un’economia rigenerativa, distributiva e inclusiva, fondata su una nuova antropologia economica che riconosce l’essere umano come socialmente interdipendente. Si apre così la sfida di superare la disuguaglianza sociale e il degrado ambientale come due facce di un’unica crisi sistemica. Solo con un cambio di paradigma culturale, politico ed economico potremo davvero costruire un futuro sostenibile e giusto per tutte le generazioni.


Viviamo in un momento storico di straordinaria trasformazione epocale a livello globale, in cui i modelli economici tradizionali, basati su crescita infinita e sfruttamento illimitato, mostrano tutte le loro contraddizioni e limiti. Kate Raworth, con la sua teoria dell’economia della ciambella (Kate Raworth, L'economia della ciambella: sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo, Edizioni Ambiente, Milano, 2017), ci offre una bussola concettuale fondamentale per ripensare l’economia del XXI secolo a partire dalla scienza, dalla giustizia sociale e da un profondo rispetto per i confini biofisici del pianeta Terra.

L’antropocene e la crisi sistemica

L’antropocene non è semplicemente un’epoca in cui l’intervento umano ha inciso profondamente sul sistema Terra. Come ci ricordano autorevoli studiosi, esso rappresenta un’intersezione critica in cui non solo l’ambiente ma l’intero metabolismo socioeconomico globale entra in crisi.

È scientificamente confermato che l’intervento umano modifica oggi processi naturali su scala planetaria con effetti più intensi e veloci di forze naturali storiche come i cicli geofisici e astronomici.

Solo negli ultimi decenni, la pressione umana ha raggiunto livelli che mettono a rischio la stabilità climatica, la biodiversità, i cicli biogeochimici e la capacità rigenerativa della biosfera.

Ad esempio, l’appropriazione umana del 25% della produttività primaria netta (Human Appropriation of Net Primary Production, HANPP), cioè dell’energia solare trasformata in biomassa vegetale, indica quanto la nostra specie stia sottraendo risorse vitali agli altri esseri viventi, comprimendo così la capacità degli ecosistemi di sostenere la vita sul pianeta. Se questa tendenza proseguirà con i ritmi attuali, entro il 2050 potremmo raggiungere livelli di consumo insostenibili che mineranno la capacità rigenerativa naturale, compromettendo irreversibilmente la salute degli ecosistemi e la biodiversità globale.

Economia ed ecologia: una relazione inscindibile

Un aspetto cruciale che emergere dalla riflessione di Raworth è il superamento della concezione tradizionale che considera l’economia come un sistema indipendente, autonoma dalla natura. Al contrario, l’economia è un sottosistema della biosfera, un sistema aperto caratterizzato da flussi di materia ed energia, soggetto ai limiti imposti dai confini planetari o "planetary boundaries" scientificamente definiti. Gli economisti ecologici come Herman Daly già negli anni ’70 evidenziarono che ignorare questa dipendenza significa condannare l’economia a ignorare la realtà biofisica fondamentale.

Questo squilibrio si è riflesso nella costruzione di modelli economici lineari, in cui il processo produttivo si limita a estrazione, produzione e scarto, trascurando che nei sistemi naturali i processi sono circolari, basati su cicli di rigenerazione e feedback. L’economia mainstream ha ignorato la necessità di collocare al centro il capitale naturale, ovvero la ricchezza e i servizi essenziali della natura, senza i quali nessuna società può prosperare a lungo termine.

La ciambella: un modello per prosperare entro limiti equi e biosferici

La metafora della "Ciambella" disegnata da Raworth si fonda su due confini fondamentali: l’anello interno della ciambella rappresenta la base sociale minima necessaria per il benessere umano, cioè i bisogni essenziali (cibo, acqua potabile, sanità, educazione, alloggi, lavoro dignitoso, equità sociale e di genere, partecipazione politica), mentre l’anello esterno definisce il tetto ambientale o limiti planetari da non superare per evitare danni ecologici irreversibili come il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità e l’inquinamento.

Solo restando entro la "ciambella" è possibile garantire una prosperità veramente sostenibile e giusta, dove nessuno vive nella deprivazione e nessuno esercita una pressione eccessiva sulle risorse vitali della Terra. Il superamento di questi limiti è risultato di un modello di sviluppo che per decenni ha privilegiato una crescita economica quantitativa e materiale inesauribile, ignorando le connessioni sistemiche tra economia, società e ambiente.

Le sette mosse per ripensare l'economia

Raworth propone sette mosse fondamentali per un’economia del XXI secolo che affronti la realtà complessa e interconnessa in cui viviamo:

  • Cambiare l’obiettivo: superare il PIL come unico indicatore di progresso, sostituendolo con il rispetto dei diritti umani di tutti entro i limiti del pianeta
  • Vedere l’immagine complessiva: integrare economia, società e natura, riconoscendo l’intreccio dei loro flussi circolari e cicli di feedback
  • Coltivare la natura umana: abbandonare il ritratto dell’uomo economico isolato e razionale per abbracciare una visione di esseri sociali, interdipendenti, con valori fluidi e molteplici
  • Imparare a comprendere i sistemi: adottare una prospettiva sistemica e complessa, riconoscendo la dinamica dei cicli di retroazione e l’instabilità dei sistemi complessi
  • Progettare per distribuire: correggere i modelli che generano disuguaglianze sistemiche, progettando economie distributive che valorizzino il capitale sociale e umano
  • Creare per rigenerare: adottare un’economia rigenerativa e circolare, che ripristina i cicli vitali della Terra e integra processi naturali ed economici
  • Essere agnostici riguardo alla crescita: sviluppare economie che mirano a prosperare, con o senza crescita, in una logica di equilibrio e qualità della vita, non solo di quantità prodotto.

Ognuna di queste mosse richiede un ripensamento radicale non solo delle pratiche economiche ma anche dei paradigmi culturali, sociali e politici alla base della nostra civiltà.

Oltre il modello dell’uomo economico

In particolare, la critica al modello dell’uomo economico razionale, che ha dominato la teoria economica e giustificato la competitività egoistica, viene sostituita da una nuova antropologia economica. L’essere umano è visto come socialmente riconoscente, cooperativo, portatore di valori che cambiano e si attivano in diversi contesti, e profondamente intrecciato con la vita della Terra. Riconoscere questa complessità è cruciale per progettare politiche economiche e sociali che funzionino realmente nel mondo reale e nelle società complesse in cui viviamo.

La realtà economica è meglio descritta come un sistema adattativo complesso, dove le varie componenti interagiscono tramite flussi, scorte, cicli di feedback positivi e negativi, con comportamenti emergenti spesso imprevedibili. Questa complessità sfida i tradizionali modelli meccanicistici e richiede approcci adattativi, sperimentali e policentrici nella governance e nella politica pubblica.

Disuguaglianza e degrado ambientale: dinamiche gemelle da affrontare

Una dinamica sistemica fondamentale che l’economia della ciambella ci aiuta a cogliere è quella delle "due disuguaglianze gemelle": la crescente disuguaglianza sociale e l’aggravarsi del degrado ecologico sono interconnessi e si alimentano reciprocamente. Studi empirici mostrano che diseguaglianze sociali più marcate corrispondono a minore protezione della biodiversità e a modelli di sfruttamento insostenibili. La disuguaglianza erode il capitale sociale, quel tessuto di fiducia e cooperazione indispensabile per azioni collettive efficaci verso politiche ambientali e sociali sostenibili. Quindi combattere la disuguaglianza è anche combattere la crisi ambientale e viceversa.

Un sistema economico integrato e plurale

L’economia che Raworth propone è plurale e integrata, composta da molteplici sfere di approvvigionamento che cooperano: le famiglie e i nuclei domestici, i mercati, i beni comuni e lo Stato. Ogni sfera produce e distribuisce tipi diversi di beni e servizi, tutti essenziali. Rivolgere attenzione e valore al lavoro domestico e di cura – spesso non retribuito e invisibile nei bilanci ufficiali – è parte fondamentale di questo riassetto. Inoltre, la gestione condivisa dei beni comuni, sotto regole comunitarie solidamente partecipate, rappresenta un antidoto cruciale alla privatizzazione della ricchezza e all’estrazione speculativa.

Implicazioni politiche ed economiche

Di fronte a queste riflessioni si delinea con forza la necessità di un cambio di paradigma politico-economico che rifiuti le ricette neoliberiste e di deregolamentazione incontrollata dei mercati, riconoscendo invece il ruolo cruciale e attivo dello Stato come facilitatore, regolatore e partner del mercato, dei beni comuni e delle famiglie.

Al contempo, il commercio internazionale deve essere ripensato in chiave equa e strategica, riconoscendo che non esiste un libero commercio neutrale ma un intreccio di rapporti di potere e condizioni storiche.

Inoltre, la tecnologia e le innovazioni, comprese le nuove tecnologie digitali e, in particolare, l’intelligenza artificiale (AI), devono essere orientate verso modelli aperti, partecipativi e sostenibili per evitare di riprodurre o amplificare i meccanismi di accentramento di potere e diseguaglianze già radicati nel sistema socioeconomico globale. Le tecnologie aperte, come quelle open source, favoriscono la democratizzazione della conoscenza, la trasparenza e una governance condivisa, elementi fondamentali per costruire modelli inclusivi che distribuiscano equamente benefici e opportunità.

Al contrario, i modelli tecnologici chiusi, monopolistici e proprietari tendono a consolidare concentrazioni di potere, restringendo l’accesso e aumentando le disuguaglianze socioeconomiche. In particolare, nell’ambito dell’AI, la predominanza di pochi attori globali sta tracciando percorsi di sviluppo tecnologico caratterizzati da proprietà intellettuale esclusiva e controlli centralizzati, che rischiano di rafforzare il capitalismo estrattivo e predatorio, allontanandoci da una transizione giusta e sostenibile.

Un cambio di paradigma tecnologico richiede dunque investimenti in infrastrutture digitali aperte, la promozione di comunità di innovazione partecipativa, e politiche pubbliche che regolino l’uso della tecnologia per garantire che questa diventi uno strumento di emancipazione sociale e ambientale. Solo così potremo sfruttare il potenziale emancipativo delle tecnologie avanzate senza replicare disuguaglianze e disequilibri di potere.

L’importanza di scelta collettiva e responsabilità individuale

La trasformazione necessaria non può limitarsi a interventi tecnici o politici superficiali, ma richiede un profondo cambiamento culturale e sistemico. È indispensabile riconoscere la nostra interconnessione con la natura e comprendere che prosperare umanamente significa vivere entro i limiti biofisici del pianeta, rispettando al contempo le esigenze sociali fondamentali di ogni individuo. Questa consapevolezza ci invita a ridefinire i nostri modelli economici, sociali e politici, abbracciando economie distributive, rigenerative e inclusive, che restituiscano centralità al capitale naturale e al bene comune. Solo un impegno collettivo fondato sulla cooperazione, la giustizia e la partecipazione democratica potrà aprire la strada a un futuro sostenibile e giusto per tutte le generazioni.

Basta essere umani: questa semplice, potente affermazione riassume una verità fondamentale e urgente che ci chiama all’azione ora più che mai. Non serve una tecnologia miracolosa o un miracolo politico: serve recuperare pienamente quella nostra umanità intrinsecamente intrecciata con la natura, con gli altri e con le generazioni future. È da questo riconoscimento che deve partire la trasformazione necessaria.

Come ci insegna Kate Raworth, la sfida del nostro tempo è abbandonare il dogma della crescita infinita, per abbracciare un modello che renda possibile prosperare in equilibrio con i limiti planetari, rispettando al contempo le basi sociali essenziali per la dignità e i diritti di ogni persona. La Ciambella è la bussola che illumina questa nuova direzione: uno spazio sicuro per la natura entro cui ogni umano possa vivere una vita dignitosa, senza superare quei confini che minacciano la salute del sistema Terra.

Essere umani significa riconoscere la nostra interdipendenza: con il pianeta che ci nutre e con le comunità da cui traiamo senso e sicurezza. Significa abbandonare la cieca competizione e l’egoismo che hanno dominato le nostre economie, per coltivare valori di solidarietà, cura e giustizia inclusiva. Significa ripensare il nostro rapporto con il lavoro, il consumo, la produzione e il potere, inserendo il capitale naturale e sociale al centro di ogni progetto di prosperità.

È una sfida culturale, oltre che economica: dobbiamo riscrivere le storie che ci raccontiamo, modellare nuove narrazioni visuali e concettuali, che evocano un pianeta vivente e una società equa. È un impegno che coinvolge ciascuno di noi, dal modo in cui scegliamo cosa mangiare, come viaggiamo, come usiamo la tecnologia, a come definiamo la politica e la governance.

Inoltre, dobbiamo diventare saggi giardinieri del nostro ecosistema sociale e naturale, costruendo sistemi resilienti in cui la diversità e la cooperazione fioriscano. Dobbiamo imparare dal pensiero sistemico, abbracciare la complessità e progettare economie circolari che rigenerano invece di depauperare.

Basta essere umani non è solo un invito alla coscienza: è una chiamata all’azione concreta, urgente e responsabile. È la direzione attraverso la quale possiamo uscire dall’impasse di un mondo squilibrato, creando uno spazio sicuro e prospero non solo per noi, ma per tutte le forme di vita con cui condividiamo questa unica casa.

Il tempo per scegliere questa strada è adesso, e il potere di farlo è nelle nostre mani. Solo così potremo davvero dire che abbiamo abitato il XXI secolo come una generazione capace di stare in equilibrio con la Terra.


Pubblicato il 02 settembre 2025

Susanna Di Vincenzo

Susanna Di Vincenzo / CEO and CO-Founder at @17tons.earth

susanna.divincenzo@gmail.com