Chi ancora è capace di interrogarsi sul suo essere (stare) nel mondo, non può non percepire il deterioramento del nostro vivere in esso, in questa fase storica del capitalismo occidentale, fondata sulle merci(ficazioni), sulle guerre, sugli schermi, e sul potere di élite che hanno come unico obiettivo la continuazione del loro dominio e potere.
La particolarità di questo mondo, fatto sempre più di storytelling mefitici e manipolatori, e di automatismi, è la percezione del venire meno di ogni possibilità di cambiarlo, in particolare di renderlo più giusto e più umano. Tutto deve essere socialmente conforme alla norma anche se e quando la realtà si sfalda e manifesta crepe evidenti, che porteranno al crollo della diga.
L’insoddisfazione, la scontentezza, le malattie psichiche dilagano, anche perché l’insubordinazione, la disubbidienza o la sperimentazione di alternative possibili non sembrano portare in alcun posto (altrove), impediscono di andare oltre.
La rabbia crescente non trova risposte, la percezione che la realtà sia sempre meno accettabile (clima, guerre, disuguaglianze, precarietà, sparizione del bene comune e dei diritti, crisi della democrazia, ecc.) dilaga e porta con sé passività, fuga, astensionismo (elettorale), rinuncia e tanta tristezza. Il tutto è aggravato dal fatto che molti percepiscono l’inutilità di decisioni che rimangono sul piano puramente individuale o dei piccoli gruppi a cui si è legati per affinità valoriali, esperienziali e culturali.
La soluzione non sta nella ricerca di un’alternativa, di un percorso unico da compiere, perché non esistono percorsi unici. Il percorso non ha tappe predestinate e cambia cammin facendo, bisogna essere creativi, continuando a sperimentare e operando nella molteplicità. Inutile puntare su eventi paradigmatici e rivoluzionari, meglio contribuire a preparare gli eventi, che quando emergeranno avranno diritto al loro nome. I tempi per costruire qualcosa di nuovo possono essere lunghi, non immediati, da vivere sempre con la speranza di ciò che è forse in fase di emergenza ma non c’è ancora.
Chi è alla ricerca di soluzioni per trovare una via alternativa, di fuga, ai tempi malati che ci tocca di vivere, meglio che pratichi la pazienza nell’urgenza.
Un primo passo può essere quello di andare a cercare nella vita reale, ma anche online, spazi liberati (le T.A.Z. di Hakim Bey rivisitate ai tempi moderni). Una volta trovati si può decidere di abitarli, costruenro relazioni, amicizia, intimità, complicità, solidarietà e amore con gli altri abitanti, vivendo questi spazi come se fosse una comunità. Non una rete, non un gruppo, non una piattaforma, non un social, ma una comunità.
Il modo per definire e riconoscere gli spazi liberati è di analizzare se e quanto siano legati a finalità redditizie, economiche e di guadagno. Una volta trovati questi spazi vanno difesi, protetti, collegati tra di loro, promossi, condivisi, resi visibili. Questo lavoro non verrà mai fatto dagli algoritmi che governano le piattaforme, neppure da coloro che le abitano e hanno sposato le loro narrazioni.
Lo spazio su cui io e tanti altri stiamo scrivendo ha l'ambizione di essere uno di questi spazi liber(at)i