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Arriva un momento della vita in cui le antiche certezze crollano, quelle certezze su cui avevamo costruito la nostra identità giovanile, quelle certezze che ci avevano dato la spinta all’azione, la forza per cercare la nostra strada nella società.

               

 NEL DESERTO DEL MIO MARE 

Nel deserto del mio mare

mi sono seduto su uno scoglio

e fermato ad ascoltare:

 

era il volo silenzioso di un gabbiano

che accarezzava le aspre rocce,

era il profilo di un piccolo naviglio lontano

che solcava l’orizzonte,

era la riga blu che, nitida,

divideva dell’orizzonte

l'azzurro mare

dal cielo azzurro,

erano le domande interiori

che da tanto attendono una risposta.

Ho aspettato fiducioso

con l'orecchio del mio cuore teso.

 

Una vela bianca,

piccolo punto nell'infinito,

interrompe il piatto

orizzonte.

Un veliero attraversa il mio mare

pigramente:

anche lui silenzioso

e indifferente.

 

Chi mi restituirà

delle antiche certezze

un simulacro di verità?  

Tratto da: Vinicio Bernardi, Di luce e d’ombra. Poesie, Pietro Macchione Editore, Varese 2012, p. 46.

 


Il tema centrale della poesia è la solitudine.

Arriva un momento della vita in cui le antiche certezze crollano, quelle certezze su cui avevamo costruito la nostra identità giovanile, quelle certezze che ci avevano dato la spinta all’azione, la forza per cercare la nostra strada nella società.

In questa poesia l’io poetante si trova solo, seduto su uno scoglio: di fronte sta l’immensità del mare che può essere percepito, riflettendo uno stato d’animo incerto, dubbioso, profondamente in crisi, come un “deserto”. E questo mare che il poeta vede è infatti “il mio mare”, un mare in cui egli si specchia, cioè la distesa infinita della solitudine della sua anima. In questa poesia non vi è la conclusione a cui Leopardi giunge ne “L’Infinito”: “e il naufragar m’è dolce in questo mare”. Qui, più che dolcezza, vi è in questo naufragio incertezza, vi è un senso amaro di solitudine: “Chi mi restituirà delle antiche certezze un simulacro di verità?”. Neppure “un simulacro di verità” ricerca l’io poetante in questa solitudine, figuriamoci una verità!

Eppure, come appare diversa questa solitudine da quella a cui ci hanno abituato i social! Oggi viviamo in una relazione permanente, grazie ai vari social, ma del tutto virtuale e apparente, che nel nostro profondo ci lascia in uno stato di solitudine non conosciuta e riconosciuta. L’essere sempre connessi, l’essere online H24, ci impedisce di fare i conti con noi stessi, con quello che siamo veramente, con le nostre scelte di vita.

Noi intuiamo che la crisi dell’io poetante, che si confronta con questa natura viva, con questa immensità che ha davanti, sarà foriera, prima o poi, di scelte importanti e decisive, di svolte significative. L’esatto contrario di ciò che accade oggi ai giovani e anche ai non più giovani, che si trovano immersi in questa melassa della comunicazione permanente, che semplicemente comunica il nulla e soprattutto che oscura, che vela la profonda solitudine della nostra condizione umana, rendendoci incapaci di scelte autentiche, di svolte audaci e importanti nella nostra esistenza. La solitudine talvolta va “masticata” fino in fondo per poterne venire fuori, per diventare capaci di scelte.

Stiamo dimenticando che siamo fatti di carne e di sguardi, di sorrisi e di lacrime, di strette di mano e di abbracci, e che non ci basta un emoji o un like per superare la nostra solitudine.

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