Il viaggio della STULTIFERA NAVIS, che da pochi giorni ha “mollato gli ormeggi lasciando che gli alisei gonfino le sue vele”, si fa metaforicamente per mare. È un viaggio dentro acque per definizione sconfinate, in apparenza tutte già mappate e cartografate, ma in realtà ancora tutte da scoprire, anche senza ricorrere ad alcun sistema geo-satellitare, perché i suoi timonieri hanno maturato esperienza e conoscenza, sanno dove andare.
Sono acque aperte all’esplorazione, senza temerne alcuna loro “abissale” e “tempestosa” minaccia, con i loro movimenti ondosi modelleranno il ritmo delle frasi e il fluire dei racconti che dalla nave nasceranno.
“ Abbiamo tutti bisogno di consolazione, di qualcosa che ci consoli di tutte le difficoltà e i dolori della vita moderna, di tutto ciò che abbiamo perduto o mai avuto, e il mare è una delle poche cose che può darcela” – J.M.G. Le Clèzio
Il varo porterà la nave in mare aperto, lontano dalle pozzanghere che ormai inzaccherano e impaludano (richiamo a Dante - Non molto ha corso [il Mincio], ch’el trova una lama, Ne la qual si distende e la ’mpaluda, la terra(ferma). Dentro queste pozzanghere la Stultifera Navis non potrebbe galleggiare e neppure navigare, rimarrebbe infangata e in stallo, non riuscirebbe a togliersi dal fango neppure se mettesse i motori al massimo (un a un testo che amo, Alice nel paese delle meraviglie) o se i suoi passeggeri scendessero in massa per spingerla a mani nude fuori dalla palude.
Non tutti i passeggeri sono e saranno marinari, probabile anzi che molti di loro amino la terra ferma, per la sua essenza, solidità e stabilità o perché sono semplicemente dei montanari. La salita a bordo è motivata dalla robustezza, consistenza e saldezza della nave, dalla sua essenza metaforica, dalla curiosità e dal desiderio che spingono all’avventura, dalla fiducia che tutto possa andare bene perché il viaggio promesso sarà fatto in buona compagnia, insieme ad altri, condividendo esperienze e speranze, racconti e sogni, scenari futuri immaginari e utopie.
"Il viaggio non soltanto allarga la mente: le dà forma." (Bruce Chatwin)
Il mare (l’oceano) su cui la Stultifera Navis ha preso (metaforicamente) il largo è immenso, senza limiti apparenti, inesauribile, come lo è il pensiero umano. È percepito come minaccioso, tempestoso, in parte misterioso e insondabile, imprevedibile nelle sue manifestazioni ed eventi, per definizione mobile e in movimento, ondoso nelle sue espressioni dolci, pericoloso quando le onde si trasformano in cavalloni, in mareggiate e maremoti. Questa percezione non cancella l’anelito del navigante a navigarlo, la voglia di salpare verso l’ignoto e di cercare. È un anelito che interessa anche il pensare, il farlo liberamente, fuori dagli schemi, non “il pensare ridotto a ciò che si debba pensare” (Spengler).
Il viaggio non ha destinazioni prefissate, non prevede neppure un andare a zonzo senza meta. Proprio perché è un viaggio sul mare, non esistono autostrade, tantomeno binari che corrono paralleli a sé stessi, si può andare alla ricerca di una via, sapendo che essa cambierà in continuazione, non sarà mai definit(iv)a. Una via inserita in contesti e strutture complessi, in continua trasformazione che obbligherà ad affrontare continui cambiamenti, soprattutto adattamenti, senza ricorrere a coordinate di radar e sonar che finirebbero per costringere il viaggio entro ambiti limitati(vi). Più della destinazione, nel viaggio conterà la flessibilità, la disponibilità e la predisposizione ad accettare gli eventi e la loro complessità, le forze in azione e quelle emergenti, ad aprirsi ai molteplici possibili e alle possibilità che li caratterizzano.
L'essere umano è un viandante, chi fa migrazioni
La Stultifera Navis fa proprio il motto e l’ossimoro “festina lente” (affrettati lentamente), ma solo nelle sue componenti prudenziali e sagge.
La lentezza è costitutiva per una nave pensata per viaggiatori con cui condividere l’idea che più degli obiettivi e delle destinazioni conti il processo, il viaggio, libero e alla ricerca di verità.
Gli obiettivi ci sono, ma non sono legati alla performance e al semplice risultato.
La ragione e l’esperienza che contano sono il viaggio stesso e il fatto che si faccia insieme ad altre persone con le quali pensare criticamente, condividere, dialogare, cooperare, confrontarsi, dubitare, porsi e porre delle domande. Un esercizio questo ormai desueto, sostituito com’è da meditazioni varie e corsi di mindfulness, che aiutano forse a sentirsi meglio, ma non favoriscono la consapevolezza che serve per resistere al conformismo diffuso e alla omologazione di pensiero, che impediscono di costruire un rapporto diverso con la realtà, finalizzato a una sua maggiore conoscenza.
Andar per mare allontana dalla terraferma e dalla sua realtà, fatta di forme definite e territori dai contorni netti. In mare nulla è permanente a lungo, si è obbligati a un adattamento continuo, a essere flessibili dentro acque per definizione fluide e in costante movimento, fa pensare al disordine in cielo riflesso sulla Terra e che in mezzo all’oceano diventa quasi realtà.
E allora per mare andiamo/andremo!