Immaginare il futuro è un esercizio sicuramente complesso che si scontra peraltro con una sorta di cablaggio biologico umano saldamente ancorato a stereotipi basati sulla linea temporale passato-presente: quando una situazione è ritenuta soddisfacente, comoda, sicura, le persone tendono a mantenerla invariata il più a lungo possibile, cercano di rimanere nella propria comfort-zone anche a costo di opporre resistenza ai cambiamenti, di non esplorare alternative, di ignorare segnali che suggeriscono un’evoluzione degli scenari a contorno. Il concetto di resilienza è la massima espressione di questo atteggiamento che esalta la capacità di superare i momenti di crisi ripristinando la stabilità di situazioni precedenti.
“L’ottimismo è il profumo della vita” - (Tonino Guerra)
Un altro elemento che frena l’immaginazione del futuro è un certo scetticismo sulla possibilità di fare previsioni sensate, soprattutto in un contesto generale altamente instabile e variabile: se non riusciamo a fare pianificazioni di breve termine, come possiamo pensare di definire strategie di lungo periodo (cioè su una scala di almeno dieci anni) ipotizzando situazioni completamente diverse da quelle attuali? Anche in questo caso il ragionamento è frutto di un approccio mentale rigido e poco propenso all’utilizzo di strumenti d’indagine non convenzionali che richiederebbero un misto tra curiosità, fantasia e gioco da un lato incrociati con visone strategica, tecnologia e coraggio di abbracciare il cambiamento dall’altro.
Spesso evitiamo di pensare al futuro perché la turbolenza del presente ci crea angoscia e apprensione: le ricorrenti crisi economiche, i conflitti bellici, i cambiamenti climatici sembrano enormi macigni che pesano sul destino delle prossime generazioni. Pur non sottovalutando questi fattori, bisogna sforzarsi invece di pensare a come stimolare un’evoluzione positiva del contesto generale, a come esserne partecipi e a come vogliamo posizionarci rispetto alle opportunità che il futuro ci può offrire. Come diceva il poeta Tonino Guerra in una vecchia pubblicità: “L’ottimismo è il profumo della vita” e dobbiamo lasciarci guidare da questo profumo se vogliamo esplorare futuri migliori.
Pensare il futuro
Pensare il futuro è una cosa molto diversa da pensare al futuro: nel primo caso creiamo in prima persona gli scenari che per noi sarebbero più desiderabili, nel secondo caso accettiamo di interagire con situazioni che sono state colonizzate qualcun altro. Per essere protagonisti del nostro destino dobbiamo essere in grado di comprendere i megatrends di lungo periodo incrociandoli con i segnali deboli già disponibili nel presente e, in base a questi, di elaborare una visione personalizzata con cui ci vogliamo collocare nel futuro. Non possiamo evitare totalmente la colonizzazione perché dipende da fattori su cui non abbiamo il controllo (tecnologie, decisioni politiche, eventi straordinari) ma possiamo sicuramente trovare il modo per ricavarci uno spazio soddisfacente.
Pensare il futuro deve essere necessariamente un esercizio inclusivo; tante più persone saranno coinvolte e contribuiranno con le loro visioni, tanto più desiderabile, verosimile e realizzabile sarà la prospettiva verso cui ci indirizzeremo. Se già l’enfasi che attualmente viene attribuita alla sostenibilità pone al centro la figura degli “stakeholders”, questi vengono ad assumere ancora più importanza in un’ottica di proiezione verso il futuro. E non parliamo solo di soggetti astratti (stati, aziende, comunità ecc.) ma anche di categorie umane (età, sesso, etnia, religione, scolarità, disabilità ecc.) la cui partecipazione attiva alla costruzione della visione del futuro può rappresentare un fattore di inestimabile valore.
Lo scopo principale di pensare il futuro è quello di poter agire sul presente, per mettere in campo le azioni necessarie affinché lo scenario desiderato si realizzi nel miglior modo possibile. Per anticipare il futuro bisogna definire una pianificazione strategica articolata su diversi segmenti temporali. Si parte a ritroso dalla situazione immaginata su una distanza di almeno dieci anni e della quale non è necessario comprendere tutti i dettagli perché le incognite sono ancora molte; poi si scende a una distanza di cinque anni in cui la visione deve essere più definita soprattutto per quanto riguarda i driver di cambiamento (tecnologie, prodotti, mercati); restringendo ancora la prospettiva su tre anni bisogna fissare obiettivi precisi e sostenibili; infine sul singolo anno devono essere realizzate azioni concrete e misurabili di avvicinamento agli obiettivi.
Questo ciclo si ripete ogni anno, traslando in avanti e affinando obiettivi, strategie e visioni in base ai risultati ottenuti e alle sollecitazioni esterne. Per riuscire a fare ciò è necessario cambiare atteggiamento verso il futuro, scatenare la curiosità dell’esplorazione e tuffarsi in un viaggio nel tempo che può rivelarsi appassionante e sorprendente.
Provate a chiedervi: quante volte la vostra condizione presente è stata pensata come un futuro desiderato nel vostro passato?
Il futuro si offre all'esplorazione, a viaggiare nel tempo, in un viaggio che può rivelarsi appassionante e sorprendente. Come quello della STULTIFERANAVIS