Vittorio Arrigoni
Questa la citazione con la quale Carlo Mazzucchelli il 3 febbraio 2018 ha iniziato la sua presentazione in occasione del Convegno su: “L’Era digitale: dalle potenzialità ai danni” (potete visualizzarla o scaricarla qui...).
Allo stesso convegno, la mia presentazione, con cui sono passata dalle riflessioni filosofiche a quelle sulle azioni pratiche che possono generare qualche disagio, un sottile malessere, una “contusione relazionale”, tutte sensazioni annoverate fra le disconferme, negli scambi quotidiani.
Così eccone alcune fra le più ricorrenti e significative che possono minare, manomettere o perfino, cancellare una relazione.
Fra le comunicazioni on line, ho preso in considerazione in quella sede, in maniera più generica, lo scambio via mail, oggi, ormai sempre più in disuso, come pure il telefono:
- Risposte non date, totali o parziali
- Risposte impersonali
- Risposte che ignorano richieste esplicite
- Ordine in cui appare il mio nome fra i destinatari di una mail
- Il mio nome non appare fra i destinatari, nonostante sia venuta a conoscenza che l’oggetto mi riguardava
- Nell’oggetto c’è una decisione presa su qualcosa che riguarda anche me, ma non vengo citato
- Risposte automatiche
- Fraintendimenti, sempre possibili in uno scambio, ma molto più a rischio in quello virtuale
Al telefono:
- Riattaccare e staccare il telefono
- Non richiamare
- …..
Ho cercato anche di trovare le motivazioni più disparate che potevano creare questi “disguidi relazionali”:
- Semplice mancanza di educazione, che si trasferisce anche agli strumenti tecnologici
- Mancanza di attenzione e di presenza, amplificata dalla velocità di uso degli strumenti e dal multitasking
- Ignoranza del buon uso degli strumenti
- Disconnessione da se stessi e dagli altri per eccessiva connessione a strumenti tecnologici (quello che avviene in riunioni, cene...)
- Fretta e superficialità
Ho provato anche a delineare un nuovo codice relazionale (seppure non esplicitato) sui nuovi simboli, i nuovi segnali relazionali e sulle aspettative, sulle deduzioni che gli stessi generano in chi li riceve:
- Il significato di una spunta grigia, due grigie, due blu;
- Ora dell’ultimo accesso
- L’ora in cui si scrivono i messaggi
- Nascondere spunte blu altrimenti sollecitano risposta
- Uso e abuso delle emoticon
- Blocco del numero
- Blocco dei media
- …
E ho continuato ad indagare su che cosa succede sotto l’iceberg della relazione:
- Perché non mi legge? (mancano spunte blu)
- Ma è comunque in linea (me lo indica la scritta ultimo accesso…)
- Nel gruppo ha risposto ad altri, ma non ha considerato quanto ho scritto io
- Non mi ha dato riscontro (non mi ha ringraziato…) per il materiale inviato
- Ha fatto un appunto sull’indirizzo utilizzato senza un cenno, un ringraziamento per il contenuto
- Perché non risponde alla mail del….
- Arriva un messaggio di attività di default a seguito ad un messaggio di richiesta personale
- Ricevere un messaggio di «reclamo» ma non ricevere riscontro ai successivi che tendono a rimediare
Alla luce di quanto sopra, considerare il noto proverbio, appena un po’ modificato: “Dimmi come e quando scrivi e ti dirò chi sei…”
- Scrittura frettolosa
- Scrittura compulsiva (wapp)
- Errori vari
- Orario di scrittura che rivela abitudini dello scrivente (soprattutto se notturne)
- Omissione dei messaggi di cortesia…buongiorno, saluti, firma…
Dopo avere scandagliato i vari stati d’animo, le diverse sensazioni di non essere “ascoltati”, “riconosciuti”, ignorati, bloccati, ho qualche altra considerazione da aggiungere.
Qualche tempo fa rimanevo così male quando leggevo nei gruppi WhatsApp consapevolmente creati, o comunque condivisi se creati da altri, rimanevo male leggendo la scritta “xxx ha abbandonato il gruppo”, magari senza un saluto o senza una parola che preannunciasse l’azione.
Per fortuna ogni tanto qualcuno riesce a creare leggerezza anche in un’azione del genere. Così in una Pasqua di diversi anni fa cominciò a circolare questa battuta: “Gesù che dice ai discepoli: ‘Qualcuno di voi mi tradirà’ e subito dopo la scritta ‘Giuda ha abbandonato il gruppo’”
Al di là del legittimo sorriso, mi corrispondeva l’abbinamento abbandono – tradimento.
Oggi comincio a vedere in qualche chat, sempre consapevolmente creata o condivisa “XXX ha attivato la funzione messaggi effimeri I nuovi messaggi non saranno più visibili nella chat dopo “x” ore dall'invio ad eccezione di quelli conservati, tocca per modificare l'impostazione”.
Un’azione a gamba tesa nella chat, perché la funzione cancella anche per me i messaggi.
Ma ho anche io la possibilità di entrare a gamba tesa e modificare l’impostazione.
Insomma, un’azione unilaterale anche questa, a differenza dell’abbandono, qui ho la possibilità di rendere reversibile l’azione…, sempre “a gamba tesa e unilateralmente”!
Cancellando i messaggi spesso testimonianza di una interazione di consapevolezza e anche affettiva, si cancella la relazione? Non saprei…
In un’epoca in cui tanta parte delle relazioni passa attraverso le chat, la cronologia delle conversazioni diventa una memoria condivisa: una “testimonianza” del tempo trascorso insieme, degli affetti, delle parole importanti, anche dei silenzi. Una testimonianza del valore della relazione.
Certo la memoria affettiva, non si elimina con un clic, ma a volte riascoltare certi vocali, o rileggere delle riflessioni a me fa bene, ma forse perché la mia generazione ha vissuto di lettere o di fax, se vogliamo fare un esempio più tecnologico.
Le relazioni reali non sono effimere, anche quando finiscono.
Cancellare i messaggi può sembrare una scelta tecnica, a volte legata alla privacy o alla necessità di voltare pagina o semplicemente di preservare la memoria del dispositivo.
Ma chi subisce la scelta, senza quella memoria, può provare una sensazione di vuoto.
Non essendo una nativa digitale, mi verrebbe spontaneo dire: sarebbe come svegliarsi e scoprire che le pagine del proprio diario sono state strappate da qualcun altro. Che qualcuno ha strappato non solo le lettere che ho inviato, ma anche quelle inviate da lui, da lei.
Che la testimonianza della mia o della nostra storia, affettiva, emotiva, relazionale, è stata eliminata senza il mio consenso.
E così, la cancellazione dei messaggi diventa qualcosa di più profondo, quasi una negazione della relazione stessa.
Possiamo anche accettare che finisca una storia, un’amicizia, una fase della vita. Ma quando qualcuno cancella tutto ciò che ci ha connessi, ci si può sentire spogliati di significato, di passato, di dignità.
Si potrebbe contemplare una nuova etica della memoria digitale, magari concordando ad esempio di condividere il consenso prima di cancellare una chat significativa; comprendere che ciò che per me è “un messaggio in più” per l’altro può essere importante.
Non tutto ciò che è digitale deve necessariamente essere effimero.
C'è qualcosa di profondamente umano in un messaggio: dare voce a qualcosa che non ho potuto dire direttamente, la parola scritta quando non si poteva parlare, il legame che si è tenuto in vita anche attraverso uno schermo.
Massima libertà nel decidere di lasciar andare le persone, interrompere o anche chiudere una relazione. Potremmo farlo con rispetto, con cura, e se possibile senza cancellare la memoria condivisa che ci ha resi, per un po’, l’uno parte della vita dell’altro.
Perché cancellare un messaggio è facile.
Cancellare ciò che abbiamo significato l’uno per l’altro, no.
È anche vero che molte chat sono costellate di una lunga sequenza di “buongiorno”, immagini riciclate, “citazioni citabili”, messaggi inoltrati mille volte.
Quella che potremmo chiamare la comunicazione di seconda mano. Su quelle agisco anche io svuotando, ma solo per me!
Ma in mezzo a tutto quel rumore c’è un altro tipo di comunicazione, più sensata, più profonda, più ricercata: tracce, segni, frammenti della relazione tra persone.
Serve una nuova consapevolezza digitale.
Ricordarsi sempre che dietro uno schermo, che sia quello del computer o quello del cellulare, c’è una persona, con i suoi pensieri e le sue emozioni, con i suoi valori, le sue aspettative, la sua solitudine.
Ricordarsi che una chat riguarda due persone, non due numeri telefonici e che un gruppo creato su whatsapp è un gruppo di persone.
Allora soffermarsi su qualche punto, riflettere, portare attenzione, prima di uscire, abbandonare, attivare messaggi effimeri.
Se aggiungiamo a tutto questo l’uso e spesso l’abuso del viva voce, in qualunque contesto, treno, tramvia, metro, ristorante, sale di attesa…un raddoppiare in qualche maniera la popolazione, quella che si muove intorno a noi e chi è dall’altra parte del telefono. E la lettura dei messaggi a velocità raddoppiata…per perdere meno tempo nell’ascolto…
Quante interferenze relazionali!
Si può comprendere che il “rimanere umani” diventa complesso, ci avviciniamo a una sorta di robotica e di automatismo che trovo pericolosi perché inibitori della personale creatività e sensibilità, ma soprattutto lesivi del rispetto e della libertà altrui.
Banale partire dalle riflessioni sull’uso della tecnologia per arrivare a fare considerazioni più filosofiche sui valori a sostegno del rimanere umani? Non so credo che tutto si insinui quasi subdolamente nel nutrire una cultura irriverente, una cultura superficiale, una cultura della fretta…
Occorre tanta attenzione per rimanere umani, per onorare il valore delle connessioni umane, per “praticare l’umanità” anche nelle relazioni digitali.
La forma è sempre sostanza, anche perché le buone relazioni richiedono cura.