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L’ambiguità delle tecniche: il mito di Prometeo
Il mito di Prometeo è forse, tra i tanti miti presenti nella cultura greca che parlano ancora di noi, il più potente e il più celebre. Continuamente riesaminato e reinterpretato nel corso della storia (da Hobbes, Rousseau, Vico, Goethe, Schelling, Marx, Weil, Jonas…), mantiene un fondo oscuro e enigmatico. Rappresenta, meglio di qualsiasi altro mito, i caratteri della civiltà occidentale ed è l’aspetto principale con cui, oggi, l’esistenza umana si deve misurare. Il problema del nostro tempo risiede infatti nella straordinaria capacità di conoscenza e di potere tecnologico a cui non corrisponde, però, una altrettanto grande capacità di percepire, immaginare, sentire. Già mezzo secolo fa il filosofo Günther Anders definiva tale condizione “dislivello prometeico”. Un dislivello che può portare l’umanità a scelte catastrofiche.
In difesa dell’umano
Non abbiamo bisogno di filosofeggiare sulla tecnologia ma di fare filosofia, di tornare a visioni filosofiche capaci di (ri)mettere al centro dell’attenzione e del dialogo, del pensiero e dell’azione, “le capacità e le virtù distintive degli esseri umani”. Per adottare questo approccio servono sensibilità, scelte radicali e razionali, cambiamenti di atteggiamento, anche intellettuale, e nuove pratiche umaniste.
Cosa conviene a noi umani?
Per essere umani, per conoscere noi stessi, non abbiamo bisogno di paragonarci a macchine digitali. Non ci serve cercare forme di rispecchiamento in genelli digitali. Meglio dedicare maggior tempo e attenzione a cercare più profondità e ampiezza il nostro essere umani, una speicifictà irriducibile e irraggiungibile dalla macchina.
Nuova Era Umana
L'Umanità è alle porte di un nuova era, che molto velocemente sta spalancando i suoi cancelli su nuovi orizzonti urbani sconosciuti e inquietanti.
In assenza di corpi ci innamoriamo di macchine
Siamo sempre in movimento verso Altrovi virtuali e digitali, dovremmo farlo attraverso esperienze esistenziali fatte di scelte e di azioni etiche capaci di dare un senso alla vita, anche a quella degli Altri, rivalutando i loro volti e gli sguardi. Nella consapevolezza che il nostro essere è bisognoso dell’Altro, dipende dalla vicinanza e dalla presenza, dalla comunicazione con e dal riconoscimento dell’Altro, dal suo desiderio a noi rivolto che poi è un desiderio di farsi riconoscere, uguale al nostro. Anche nella conflittualità che ne deriva. A caratterizzare l’incontro è lo sguardo, a volte reificante, giudicante, sconvolgente e destabilizzante ma anche rincuorante perché fa sentire meno soli, capiti, compresi, ci identifica, ci fortifica, riempie il nostro vuoto, attiva in noi nuove possibilità e ci realizza, pur nella contrapposizione, nella negatività e nella conflittualità. Recuperare corpo, volto e sguardo è diventata una missione per tutti ma per realizzarla serviranno coraggio, capacità di pensiero e tanta cura.
Tornare a leggere Gustav Jung
Non siamo macchine che eseguono un programma. Siamo esseri umani che accettano di rivolgere lo sguardo alle ombre, che sondano le zone oscure.
Non c'è discorso
La mente è assai complessa Divina, umana e quel che resta Non si copia non c’è discorso Questo gioco è troppo grosso!
Sono stato antropologo
Umano e postumano si confrontano con l'esperienza.