“[il labirinto] è un edificio costruito per confondere gli uomini; la sua architettura, ricca di simmetrie, è subordinata a tale fine” (Borges - L’immortale, Aleph)
“There is no need to build a labyrinth when the entire universe is one.” ―
Il labirinto è metafora potente della società moderna densa com’è di incertezze e mancanza di direzionalità, della complessità del mondo, della molteplicità dell’universo, della natura della nostra conoscenza umana e della realtà.
In questa epoca digitale il labirinto ha smesso di essere un luogo fisico (i labirinti veri continuano comunque a esistere, come Il labirinto di Borges sull’isola di San Giorgio a Venezia), diventando soprattutto simbolico, virtuale, sfuggevole alla comprensione e allo sguardo. Dentro questi labirinti ci muoviamo con le pinne, abbiamo disimparato a volare (cit. da Elias Canetti).
In molti dei suoi libri di labirinti ha parlato Borges, la cui casa biblioteca era un unico grande labirinto, fisico, narrativo, metaforico, esistenziale.
Nel racconto La casa di Asterione Borges parla del mito del Minotauro, simbolo dell’uomo così come della sua diversità, tristezza, infelicità, solitudine e isolamento. Al “mostro” Asterione sono gli altri ad apparire mostruosi ma, essendo lui solo, e gli altri in tanti, seppure tutti uguali, il mostro non può che essere lui. Non gli rimane che lasciarsi catturare dal labirinto, senza sentirsene prigioniero, e viverlo in modo schizofrenico.
In I due re e i due labirinti il labirinto è di bronzo, usato come trappola dal re di Babilonia per il re degli Arabi, ma è anche un labirinto di sabbia (il deserto) nel quale il sovrano arabo confinerà il suo nemico.
In Abenjacàn il Bojarì, ucciso nel suo labirinto, il labirinto è spaziale e viene usato come metafora di trappola e pericolo.
Il linguaggio è un labirinto di strade, vieni da una parte e ti sai orientare, giungi allo stesso punto da un’altra parte e non ti raccapezzi più. - (Ludwig Wittgestein)
Labirintiche sono in realtà tutte le opere di Borges, labirintico è il suo pensiero, anche nella sua forma allucinatoria e sognante. Al lettore queste opere non offrono certezze, neppure coordinate definite, solo rimandi continui fatti di citazioni, note, metafore continue, letture a chiave. Se ci si lascia prendere dalla narrazione si va fuori tempo, ci si trova disorientati, nel tempo e nello spazio, senza orientamento, in preda alle interpretazioni contraddittorie che ne derivano soggettivamente.
Il rischio è si sentirsi angosciati, pieni di nostalgia per le certezze svanite e per i paradisi perduti ormai irraggiungibili e svaniti nel tempo. Per superare l’angoscia ci si può ritirare e riparare dentro il labirinto della Biblioteca di Babele, che pur essendo finita e limitata grazie a un gioco di specchi generati dai meandri labirintici che la caratterizzano, appare come illimitata, e infinita, ordinata e disordinata insieme, illusoria nelle sue apparenze nelle quali realtà e finzioni si confondono.
La biblioteca è un assemblaggio caotico, disordinato e casuale di libri, mescolati per lingua, tempo, argomenti, interpretabili in vari modi, portatori di verità che altri libri smentiscono senza potere sostenerne la loro attendibilità, aperti alle interpretazioni. Dentro un disordine apparente, il caos è l’unica regola, contiene al suo interno il codice di decifrazione per la ricerca della verità.
Il labirinto è per definizione un luogo pieno di contraddizioni, quando vi si è entrati ci si sente protetti dall’esterno, ma dopo in po’ la percezione è di essere incarcerati. Un po’ quello che succede oggi in rete. Si abitano piattaforme labirintiche, navigandole con il sorriso appagato di chi si sta divertendo, ma non si riesce a trattenere la percezione sempre emergente di trovarsi, anche grazie alle proprie scelte e ai propri comportamenti, sempre più imprigionati, di sentirsi incapaci di trovare una qualsiasi via di uscita, forse perché si percepisce che non ne esista alcuna.
Labirintica è anche la STULTIFERANAVIS, anche se la sua struttura più che a un labirinto fa pensare a un baule senza fondo. A essere labirintici sono i percorsi che ognuno può intraprendere per estrarre dal baule quello che lo incuriosisce e vorrebbe (ma non sa ancora so poter) leggere. Lo sono perché mai definiti per sempre, senza una meta e senza un centro da raggiungere.
Il baule della nave così come il famoso baule di Newton, titolo di un’opera di Fabrizio Fornari, custodisce carte, testi, articoli, manoscritti, interviste, e mille altre cose. Gli argomenti trattati in questi testi sono i più vari, filosofici, narrativi, poetici, tutti intrecciati tra di loro, a formare una ragnatela non facile da dipanare. Per trovarli e recuperarli non ci sono algoritmi particolari. Si è guidati dalla curiosità, dalla tenacia e dall’impegno nella ricerca. La ricerca può essere fortunata ma la fortuna si manifesta anche nel continuare a cercare.
Chi entra in un labirinto sa che esiste una via d'uscita, ma non sa quale delle molte vie che gli si aprono innanzi di volta in volta vi conduca. Procede a tentoni. Quando trova una via bloccata torna indietro e ne prende un'altra. Talora la via che sembra più facile non è la più giusta; talora, quando crede di essere più vicino alla meta, ne è più lontano, e basta un passo falso per tornare al punto di partenza. Bisogna avere molta pazienza, non lasciarsi mai illudere dalle apparenze, fare, come si dice, un passo per volta, e di fronte ai bivi, quando non si è in grado di calcolare la ragione della scelta, ma si è costretti a rischiare, essere sempre pronti a tornare indietro. - Norberto Bobbio, Autobiografia, 1999
Grazie al baule-labirinto si naviga nella complessità, dentro la transdisciplinatierà delle conoscenze e dei saperi che il baule racchiude. I suoi contenuti non sono esoterici, sono per tutti, non sono anonimi, tutti hanno un autore, raccontano le sue storie ed esperienze, il suo vissuto, le sue conoscenze e i suoi saperi. Per accedere al baule e frugarci dentro non bisogna essere dei guru, degli esperti, dei sacerdoti laici, tutti possono avere la possibilità (opportunità) di coglierne i “connotati” conoscitivi dei contenuti disponibili, connessi all’esperienza di chi li ha generati.
Su tutto, quello che più conta, è che ogni azione dentro il baule-labirinto può essere esercitata in modi diversi, può dare origine a un numero imprecisabile di configurazioni, di stimoli, di feedback, di soprese, di incontri casuali, con il risultato di produrre effetti sempre diversi, non personalizzati perché comunque casuali, ma diversi. Togliendo la mano dal baule per immergervela di nuovo si ricomincia da capo e, in assenza di un filo di Arianna-algoritmo, gli effetti saranno ancora diversi, da assaporare.