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Fiabe moderne


C'èra una volta un'anziana, Sara, in un paesino di montagna rimasto abitato da poche decine di famiglie. Sara non parlava più con le persone. Parlava con le piante, con gli animali, con i sassi, ma non più con le persone. Gli abitanti del paesino la evitavano, o la trattavano da folle, con sorrisini di circostanza se capitava che lei rivolgesse loro uno sguardo, o risatine di scherno alle sue spalle. Lei, ad ogni modo, non si sentiva sola, né certamente si annoiava. Passava molto tempo a chiacchierare con i sassi del greto del fiume e ad ogni albero nel raggio di dieci kilometri attorno al villaggio aveva dato un nome. Conosceva i randagi della zona, ci passava spesso il tempo della cena, raccontandogli dei loro genitori, o persino dei nonni che aveva conosciuto e accudito ogni volta possibile, come ora faceva con loro.

​Da qualche tempo, in paese, c'era molto più movimento del solito, lucidissime macchine blu da cui scendevano politici in giacca e cravatta, ingegneri con visi seriosi, sempre tra le mani computer portatili e cellulari vibranti, giornalisti rumorosi, fotografi poco ispirati, e ogni tanto qualche gruppetto di persone che protestava con cori e cartelli, attirando al massimo qualche microfono. Le interviste sembravano del resto un disco rotto, stesse domande, stesse risposte, nulla di nuovo. E in ogni caso nulla cambiava. Pareva proprio che in quel paesello semiabbandonato dovessero costruire un ponte maestoso che avrebbe creato tanti posti di lavoro per la sua stessa costruzione e dato nuova vita a quella montagna, attraendo turisti, nuovi residenti, e generando un "circolo virtuoso" - proprio così avevano detto - per l'economia del territorio; si sarebbero aperte nuove attività, negozi, hotel, eccetera. Un altro miracolo del progresso, insomma.

​Una mattina, l'ennesimo ingegnere dall'espressione spenta arrivò al fiume. Si mise a misurare distanze con un puntatore laser e a disegnare schizzi con le dita su un dispositivo tascabile. Sara si avvicinò e si sedette su una pietra piatta, proprio accanto a lui. L'ingegnere, infastidito, le chiese di spostarsi. "Non disturbo," disse Sara con la sua voce roca, "ascolto."
​"Cosa ascolti?" chiese l'uomo, stizzito.
​"La voce del fiume che verrà deviato", rispose Sara, "e il pianto delle pietre che verranno rimosse dalla loro casa dopo secoli che la abitano". L'ingegnere rise. "Sono solo pietre. Non hanno una voce e men che meno una casa, figuriamoci se piangono!". Sara non rispose. Si voltò verso una roccia che sembrava dormire a metà del letto del torrente. Le sue mani nodose la accarezzarono dolcemente, come se fosse un volto amato. "Questa qui", sussurrò, "ha visto i miei bisnonni giocare. Ha protetto i nidi di moltissime rane e ha sentito le risate di generazioni di bambini. Vuoi sapere cosa mi ha detto?". L'ingegnere, pur convinto di perdere solo del tempo con una povera vecchia matta, si incuriosì: "sentiamo", disse.

​"Mi ha detto: 'Non è la nostra perdita che conta. È la vostra. Voi, che perdete la capacità di sentire la vita che vi circonda, siete quelli che perderanno davvero tutto. È per voi che piangiamo. Noi ce la caveremo comunque, come da sempre'".

​Sara pronunciò queste parole, poi riprese il suo silenzio abituale che, a parte questa breve pausa, continuava da molti anni. L'ingegnere la guardò per qualche istante, frastornato, poi tornò al suo progetto. Ma qualcosa di strano, delle sensazioni confuse, gli restarono addosso. Le linee sul suo tablet per un attimo gli sembrarono graffi, ferite; il rumore del torrente non fu più di acqua che scorreva, ma cominciò ad assomigliare ad urla soffocate, a lamenti. Si chiese se fosse in preda ad allucinazioni visive e uditive. E si ricordò di aver letto da qualche parte che quelle uditive erano segnali pericolosi di malattia mentale. Gli girò la testa, era improvvisamente in preda all'ansia, un'ansia che mai aveva conosciuto prima. Alla sera, l'ingegnere non prese sonno facilmente. Non smetteva di sentire il pianto del torrente, era una voce nella sua testa che non riusciva a zittire. Il giorno dopo, tornò nel punto in cui aveva incontrato Sara. Lei era seduta sulla stessa pietra, in silenzio. Le si sedette di fianco. Non parlarono. Rimasero in silenzio, stavolta anche l'ingegnere aveva l'intento vero di ascoltare. Sentiva ancora il rumore dell'acqua, lo sentiva dentro, più che fuori, ma questa volta era diverso. Sembrava un canto. Gli accadde ancora qualcosa di strano: per la prima volta, si sentì parte, si sentì immerso, si sentì di esserci. Di solito, invece, si sentiva fuori dalle cose, le osservava, le misurava, le disegnava diverse perché altri, sempre esterni alle cose del mondo, come lui, seguendo i suoi progetti e direttive, le modificassero.

Quel progetto del ponte, con annessi e connessi, non andò mai in porto. O forse sì, ma in modo diverso. Si decise che il vero progetto non doveva essere distruggere e costruire, ma preservare. E Sara che parlava alle pietre fu nominata "custode della memoria" di quel luogo che aveva potuto ritrovare la sua voce.

Fu - questo sì - un piccolo miracolo dovuto a coincidenze, incontri, momenti di finestrelle aperte di sensibilità. Non so dirvi se questo evento segnò l'inizio di una nuova consapevolezza collettiva, di quel cambiamento epocale di cui necessitava l'umanità per salvarsi da se stessa.


Pubblicato il 14 settembre 2025