Yanis Varoufakis vs Evgeny Morozov: tra Stati e corporation, chi stabilisce le regole del gioco?
La natura del potere tecnologico
Come si è evoluto il ruolo delle élite tecnologiche, e con esso, la loro capacità di influenzare, o addirittura dettare, le regole del gioco politico e sociale? Quanto è irreversibile questa mutazione del potere, e quali sono i meccanismi attraverso cui gli stati potrebbero tentare di riappropriarsi di una vera sovranità decisionale di fronte a questi nuovi "legislatori" digitali?
Evgeny Morozov osserva una metamorfosi profonda nelle figure di spicco della Silicon Valley. Inizialmente, questi "oligarchi intellettuali" si presentavano come semplici "interpreti" del determinismo tecnologico, mediatori passivi di futuri inevitabili. Il loro "dono speciale" era leggere le foglie di tè dell'inevitabilità tecnologica. Tuttavia, armati delle loro visioni profetiche e di un potere senza precedenti, si sono trasformati in veri e propri "legislatori", capaci di chiedere "sacrifici specifici all’opinione pubblica, al governo, ai loro dipendenti". Morozov cita Sam Altman che delinea modelli planetari per la regolamentazione dell'AI, Elon Musk che tratteggia il destino cosmico dell'umanità, o Peter Thiel e Alex Karp che riscrivono la strategia di difesa. Questi personaggi, secondo Morozov, non si limitano a scrivere sul futuro, ma lo "installano", trasformando "fantasie private in politiche scelte" e "sogni deliranti [...] in futuri apparentemente plausibili".
Yanis Varoufakis, dal canto suo, inquadra questo spostamento di potere in una cornice economica più ampia, che egli definisce "tecnofeudalesimo". Per Varoufakis, il capitalismo come lo abbiamo conosciuto è morto, sostituito da un sistema in cui i proprietari del "cloud capital" hanno non solo monopolizzato i mercati, ma li hanno addirittura "sostituiti" con "feudi cloud" (come Amazon). La formazione di capitale non avviene più principalmente tramite la produzione e lo scambio di merci, ma attraverso le interazioni degli utenti con queste piattaforme digitali. Questa nuova architettura del potere è stata, in parte, indirettamente finanziata dagli stati stessi attraverso le politiche post-crisi del 2008, che hanno iniettato denaro nelle grandi imprese, il quale è stato poi investito dai giganti tecnologici in questo nuovo "capitale cloud".
Morozov si concentra maggiormente sull'aspetto intellettuale e ideologico di questa élite, evidenziando come le loro idee e narrazioni, spesso travestite da soluzioni universali, vengano attivamente promosse e imposte come politiche. Varoufakis, invece, offre un'analisi più strutturale ed economica, argomentando che la base stessa del sistema economico è mutata, passando da un modello capitalista a uno tecnofeudale, e che le politiche statali hanno inavvertitamente alimentato questa transizione. La convergenza è chiara: entrambi vedono una concentrazione senza precedenti di potere nelle mani delle élite tecnologiche, un potere che trascende i confini tradizionali tra sfera economica, intellettuale e politica, e che è capace di rimodellare la realtà e la governance.
L'ideologia del "soluzionismo" e la pretesa di salvezza
Con quali narrazioni le élite tecnologiche legittimano la loro crescente influenza, e quanto queste "soluzioni" sono realmente disinteressate o nascondono agende specifiche? Queste soluzioni, presentate come inevitabili e salvifiche, sono davvero neutre o nascondono un'agenda ben precisa, e quale prezzo sociale siamo disposti a pagare per il loro presunto progresso?
Evgeny Morozov diagnostica nella Silicon Valley una vera e propria "overdose soluzionista". Le élite tecnologiche propongono con disinvoltura "soluzioni entusiasmanti a problemi dalle origini apparentemente ignote", che spaziano dalla (non) regolamentazione dell'AI al "welfare dell’intelligenza artificiale" ("Capitalismo per tutti!"). Queste affermazioni non sono "banalità opportunistiche" ma "veri e propri imperativi esistenziali": rifiutare le loro proposte equivarrebbe a vedere la civiltà "andare in pezzi". Marc Andreessen, nel suo "manifesto del tecno-ottimista", proclama che "non c’è nessun problema materiale che non possa essere risolto con più tecnologia". Peter Thiel evoca l'immagine di un "deserto tecnologico" che solo la Silicon Valley può irrigare, mentre Sam Altman propone un reddito minimo universale come "unica soluzione logica" alla disoccupazione indotta dall'AI, non solo con la retorica ma anche con investimenti in ricerca e startup come Worldcoin. Questa "autopromozione messianica" maschera interessi economici privati sotto la veste di "unica speranza di salvezza del capitalismo".
Yanis Varoufakis, pur non soffermandosi esplicitamente sul "soluzionismo" con la stessa terminologia di Morozov, ne offre una chiave di lettura economica. Il "tecnofeudalesimo" si è generato come "risposta politica al crollo del 2008", una "combinazione di dura austerità per i molti e stampa di denaro illimitato per il grande capitale". Questo denaro, invece di essere investito in modo produttivo – poiché la popolazione impoverita dall'austerità non aveva sufficiente potere d'acquisto – è stato usato per "acquistare le proprie azioni", gonfiando i prezzi e aumentando i bonus dei dirigenti. Gli unici capitalisti che hanno effettivamente investito questo denaro in "macchinari" e capitale sono stati i proprietari della Big Tech, indirettamente finanziati dagli stati. Questo implica che le "soluzioni" offerte dalle Big Tech, lungi dall'essere puramente altruistiche, sono il risultato di una strategia di accumulazione di capitale facilitata da specifiche politiche macroeconomiche, che poi viene giustificata con una retorica di progresso e inevitabilità.
Morozov si concentra sulla retorica e sull'ideologia esplicita del soluzionismo, analizzando come queste narrazioni vengano usate per esercitare potere e legittimare l'agenda delle élite tecnologiche. Varoufakis, d'altra parte, offre una spiegazione causale ed economica della genesi di questo potere, mostrando come le politiche statali post-crisi abbiano creato le condizioni materiali per l'ascesa del "cloud capital", le cui "soluzioni" sono intrinsecamente legate a questo modello di accumulazione. Entrambi convergono nell'idea che le "soluzioni" proposte dalle Big Tech non sono neutre, ma servono a consolidare il loro potere, sebbene Varoufakis sottolinei di più il ruolo del finanziamento indiretto statale.
La colonizzazione della politica e lo Stato come strumento
Fino a che punto le corporation tecnologiche sono riuscite a penetrare e orientare le istituzioni statali, trasformando la politica in un'estensione dei loro interessi privati? È possibile per gli stati riaffermare la propria autonomia regolatoria e democratica di fronte a un potere corporativo così pervasivo e ai meccanismi finanziari che lo sostengono, o sono ormai ridotti a meri esecutori di agende private?
Evgeny Morozov descrive una vera e propria "colonizzazione delle stanze del potere di Washington" da parte delle élite tecnologiche. Questi "oligarchi intellettuali" non arrivano come ospiti, ma come "architetti", capaci di "fondere magistralmente interpretazione e legislazione". Essi "propongono dei futures il lunedì, li finanziano il martedì e ne determinano l’esito il venerdì". Il loro "armamentario di torsione della realtà" include il "potere del denaro", il "dominio delle piattaforme" e "burocrazie che s’inginocchiano ai loro piedi per trasformare fantasie private in politiche scelte". Morozov porta esempi concreti: Eric Schmidt, ex CEO di Google, che collabora con Henry Kissinger e scrive di difesa mentre avvia un'azienda di droni; Peter Thiel e Marc Andreessen che finanziano fondi "anti-ESG" per "riplasmare la realtà contro cui stavano mettendo i loro investimenti". La loro influenza si manifesta nel "riscrivere le leggi, incanalare le sovvenzioni e ricalibrare le aspettative dell’opinione pubblica".
Yanis Varoufakis, pur con un focus diverso, condivide l'idea che gli stati siano spesso strumenti o ostaggi di forze economiche dominanti. La sua analisi della crisi greca mostra come lo stato greco sia stato costretto a "obbedire irresponsabilmente a Bruxelles e Francoforte", permettendo a fondi e oligarchi di acquisire beni a prezzi stracciati e di imporre "dura austerità" alla popolazione, mentre la Banca Centrale Europea sosteneva i titoli di stato solo a patto di questa sottomissione. Varoufakis critica l'Unione Europea stessa, definendola un "pericoloso parassita" che condanna l'Europa al declino, "nata come un progetto di pace ed è mutata in un progetto di guerra". Per Varoufakis, le politiche di stampa illimitata di denaro per il grande capitale dopo il 2008 hanno "indirettamente" finanziato il "cloud capital" della Big Tech, dimostrando come le decisioni statali (o sovranazionali) possano favorire la crescita di questi nuovi poteri.
Morozov evidenzia l'azione diretta e deliberata degli oligarchi tecnologici nell'infiltrare e piegare le istituzioni statali ai propri scopi, attraverso la loro ricchezza e il controllo delle piattaforme. Varoufakis, pur riconoscendo l'influenza di tali poteri, concentra la sua critica su come le strutture sovranazionali (come l'UE e la BCE) e le politiche macroeconomiche globali creino un ambiente in cui gli stati sono costretti a servire gli interessi del grande capitale, inclusa la nascente "cloud capital". La convergenza risiede nella constatazione che gli stati hanno perso, o stanno perdendo, gran parte della loro autonomia, diventando veicoli per gli interessi economici dominanti, siano essi direttamente gestiti dagli oligarchi tecnologici o incanalati attraverso istituzioni finanziarie e politiche più ampie.
La questione della democrazia e del dissenso
In che modo l'emergere di questi nuovi centri di potere influisce sulla partecipazione democratica, sulla libertà di espressione e sulla gestione del dissenso, sia interno che esterno alle corporation? In un'era dominata dal "cloud capital" e da "legislatori" auto-proclamatisi, quali sono gli spazi reali per la partecipazione democratica e per una critica autentica, e come possono i cittadini difendere la propria agency?
Evgeny Morozov descrive come il potere degli oligarchi tecnologici colonizzi "il mezzo e il messaggio", attraverso l'acquisizione di piattaforme come Twitter (oggi X), gli investimenti in Substack e il corteggiamento di Rumble. Questo conferisce loro una "sovranità sulle piattaforme", ovvero la proprietà dei "crocevia digitali dove si svolgono le conversazioni della società". Di fronte a un dissenso interno – ad esempio, la "soggettività post-neoliberista" dei lavoratori tecnologici allergici alla disuguaglianza o le rivolte per la consapevolezza climatica – gli oligarchi hanno reagito con un "fanatismo da inquisizione medievale", condannando la "cultura woke" e chiedendo "fedeltà geopolitica" ai propri dipendenti. Musk denuncia il "virus mentale woke", Karp lo attacca come "forma di esile religione pagana", e Andreessen dipinge le università come "seminari marxisti". Morozov sostiene che, nel tentativo di riallineare l'intellighenzia tecnologica al potere economico tradizionale, questi oligarchi adottano un "metodo sovietico" di "negazione della realtà" e di costruzione di "casse di risonanza" che soffocano qualsiasi critica.
Yanis Varoufakis, sebbene con un focus più ampio, ha incarnato la resistenza democratica contro poteri economici e politici consolidati. La sua esperienza come ministro delle Finanze greco durante il braccio di ferro con la Troika dimostra la fragilità della sovranità democratica nazionale di fronte a interessi sovranazionali. Nonostante un chiaro "No" al referendum del 2015, il governo greco, sotto pressione, cedette al "blocco del memorandum", annullando di fatto la volontà popolare. Varoufakis vede l'Unione Europea come una struttura "oligarchica" che ha perso la sua opportunità di democratizzazione, arrivando a definirla un "pericoloso parassita" da "rovesciare e ricostruire da zero" su basi di "internazionalismo socialista europeo". Questo suggerisce che, in un contesto dominato da un "tecnofeudalesimo" e da istituzioni sovranazionali che favoriscono il grande capitale, la democrazia a livello nazionale e la capacità di espressione popolare sono gravemente compromesse.
Morozov si concentra sull'impatto diretto delle Big Tech e dei loro leader sulla libertà di espressione e sulla repressione del dissenso, sia attraverso il controllo delle piattaforme che tramite l'imposizione di ideologie ai propri dipendenti e alla sfera pubblica. Varoufakis analizza la limitazione della democrazia attraverso la subordinazione degli stati a poteri economici e finanziari più grandi, che possono schiacciare il volere popolare, creando le condizioni per l'emergere del tecnofeudalesimo. La convergenza sta nella profonda preoccupazione per l'erosione della democrazia e la soppressione del dissenso da parte di attori potenti, siano essi le Big Tech stesse o le strutture economiche e politiche che le alimentano.
Il futuro: tra "tecnofeudalesimo" e "intellettuali organici del capitale"
Quali scenari si profilano per il futuro del potere e dei sistemi economici e politici, e quali sono le vie d'uscita proposte o intraviste dai due autori? Se il capitalismo è morto e il tecnofeudalesimo è la nuova realtà, come possono le forze progressiste e gli stati, se ancora capaci, articolare una visione alternativa che non cada nelle trappole del "soluzionismo" né si arrenda alla colonizzazione del potere da parte del capitale tecnologico?
Evgeny Morozov dipinge un futuro in cui gli "oligarchi intellettuali" hanno trionfato, diventando gli "intellettuali organici non nominati del capitale". Essi operano come veri e propri "architetti" nella politica, trasformando "sogni deliranti" in "futuri apparentemente plausibili" attraverso il "potere del denaro, il dominio delle piattaforme" e la sottomissione delle burocrazie. Tuttavia, Morozov intravede un'ironia e un rischio in questo approccio: paragonando il loro "metodo sovietico" di "negazione della realtà" alla "tecnocrazia sovietica", avverte che questi oligarchi, scambiando "i loro modelli patinati per la realtà riottosa che pretendono di domare", finiranno per "mandare in fumo i loro grandi progetti". Essi rischiano di trasformarsi in "apparatchik", distaccati dalla verità senza filtri, poiché le loro "camere di risonanza" soffocano ogni critica.
Yanis Varoufakis è più categorico: il capitalismo è morto, e siamo già entrati nell'era del "tecnofeudalesimo". Questo nuovo sistema, basato sul "cloud capital" e sui "feudi cloud" che hanno sostituito i mercati tradizionali, rappresenta una realtà consolidata. La sua visione del futuro è quella di un'Europa "finita", un "pericoloso parassita" da cui i popoli devono essere "protetti", e che deve essere "rovesciata" per "ricostruire da zero l’internazionalismo socialista europeo". Per Varoufakis, non si tratta solo di riformare, ma di abbattere e rifondare le strutture di potere per perseguire un'alternativa radicale e socialista.
Morozov, pur criticando aspramente il consolidamento del potere degli oligarchi tecnologici, suggerisce una possibile (seppur tragica) auto-distruzione del loro sistema a causa della loro incapacità di confrontarsi con la realtà, sulla scia dell'esperienza sovietica. Varoufakis, invece, dichiara la fine di un'era (il capitalismo) e l'inizio di una nuova (il tecnofeudalesimo), proponendo una risposta di rovesciamento e ricostruzione su basi socialiste a livello internazionale. Entrambi convergono nel dipingere un quadro cupo di un futuro dominato da un potere concentrato e distorcente, dove gli interessi privati vengono mascherati da bene universale, ma differiscono sull'inevitabilità di questo percorso e sulle strategie per superarlo.
Inizio modulo
Fine modulo
Il confronto tra Yanis Varoufakis ed Evgeny Morozov, pur muovendosi su piani diversi, converge su un punto essenziale: l’erosione sistemica della sovranità statale e democratica a vantaggio di un nuovo polo di potere, incarnato dalle élite e dalle corporation tecnologiche. Morozov descrive l’ascesa degli “oligarchi intellettuali” della Silicon Valley che, da interpreti del determinismo tecnologico, si sono trasformati in veri e propri legislatori, capaci di imporre “imperativi esistenziali” travestiti da soluzioni tecniche. Armati del denaro, del dominio delle piattaforme e del sostegno burocratico, essi trasformano fantasie private in scelte politiche, colonizzano le istituzioni e orientano la realtà economica e sociale. Varoufakis inquadra questo processo nella teoria del “tecnofeudalesimo”, in cui il “cloud capital” delle Big Tech sostituisce i mercati tradizionali con feudi digitali, rafforzati dalle politiche post-2008 che hanno riversato liquidità pubblica nelle mani del grande capitale. L’esperienza greca dimostra, secondo lui, come gli Stati possano essere costretti a obbedire a poteri sovranazionali, anche contro la volontà popolare. Entrambi denunciano dunque la perdita di autonomia democratica e l’ascesa di un potere extrastatale – il capitale digitale – che non si limita ad accumulare ricchezza e influenza, ma si arroga il diritto di plasmare le direttrici fondamentali della società, restringendo lo spazio per un autentico dibattito democratico.
Brevi biografie degli autori:
Evgeny Morozov (Soligorsk, 1984) è un sociologo e giornalista bielorusso (dal 2023 anche cittadino italiano), esperto di nuovi media e noto per le sue posizioni fortemente critiche verso l'ottimismo tecnologico e il "soluzionismo". Ha analizzato come la tecnologia possa essere utilizzata per il controllo sociale da parte di regimi autoritari e come le élite della Silicon Valley stiano esercitando un potere politico sempre più vasto. Tra le sue opere principali figurano "The Net Delusion: The Dark Side of Internet Freedom" (2011), tradotto in italiano come "L’ingenuità della rete. Il lato oscuro della libertà di internet" (Codice Edizioni, 2011), e "To Save Everything, Click Here. The Folly of Technological Solutionism" (2013), la cui edizione italiana è "Internet non salverà il mondo. Perché non dobbiamo credere a chi pensa che la Rete possa risolvere ogni problema" (Mondadori, 2014) e "Silicon Valley: i signori del silicio" (Codice Edizioni, 2016). È professore invitato alla Stanford University e collabora con numerose testate internazionali.
Yanis Varoufakis (Atene, 1961) è un economista e politico greco-australiano, con una formazione post-keynesiana e una specializzazione nella teoria dei giochi. È salito alla ribalta internazionale come Ministro delle Finanze della Grecia nel 2015, distinguendosi per la sua ferma opposizione alle politiche di austerità imposte dalla Troika durante la crisi del debito. Dopo le dimissioni, ha fondato il Movimento per la democrazia in Europa 2025 (DiEM25), con l'obiettivo di promuovere una riforma radicale dell'Unione Europea. È autore di numerosi saggi, tra cui "The Global Minotaur: America, The True Origins of the Financial Crisis and the Future of the World Economy" (2011), tradotto in italiano come "Il minotauro globale. L'America, le vere origini della crisi e il futuro dell'economia globale" (Asterios, 2012), e il più recente "Tecnofeudalesimo: Cosa ha ucciso il capitalismo" (La Nave di Teseo, 2023), in cui elabora la sua teoria sulla trasformazione del capitalismo.
POV nasce dall’idea di mettere a confronto due autori viventi, provenienti da ambiti diversi - filosofia, tecnologia, arte, politica - che esprimono posizioni divergenti o complementari su un tema specifico legato all’intelligenza artificiale.
Si tratta di autori che ho letto e approfondito, di cui ho caricato i testi in PDF su NotebookLM. A partire da queste fonti ho costruito una scaletta di argomenti e, con l’ausilio di GPT, ho sviluppato un confronto articolato in forma di articolo.
L’obiettivo non è giungere a una sintesi, ma realizzare una messa a fuoco tematica, far emergere i nodi conflittuali, perché è proprio nella differenza delle visioni che nascono nuove domande e strumenti utili a orientare la nostra ricerca di senso.