Go down

Ho incontrato per caso Vincent Halles su Medium. I suoi scritti mi hanno subito colpito per un approccio che assomiglia al mio: la ricerca ossessiva di connessioni tra ciò che appare sconnesso. Come me, Halles non si limita a leggere o archiviare, ma attraversa testi, culture e discipline—da Fernando Pessoa a Westworld, da Deleuze alle parodie di videogiochi—per far emergere fili inaspettati. Per entrambi, l’incompiuto non è una mancanza, ma la traccia viva di un pensiero che si interroga, si corregge, si rimette in discussione. Giurista di formazione ma mosso da una curiosità senza confini, Halles dimostra che collegare l’apparentemente inconciliabile non è un esercizio intellettuale fine a sé stesso, ma un atto di resistenza culturale. In un’epoca dominata dall’efficienza algoritmica, il suo lavoro—e, per certi versi, anche il mio—ci ricorda che la ricchezza del pensiero sta proprio nelle esitazioni, nelle deviazioni, nella capacità di sbagliare e ricominciare. È questa vulnerabilità, questa umanità imperfetta, il cuore della sua ricerca e, in fondo, di ogni autentico processo creativo.


Vincent Halles non si limita a leggere: attraversa testi e materiali con la curiosità di chi indaga e la costanza di chi annota, archivia e ricompone. Libri dimenticati, riflessioni filosofiche, culture marginali o popolari diventano, nelle sue mani, materia viva.

Dove altri vedono frammenti, errori o collegamenti arbitrari, lui scorge un filo che attraversa epoche e generi. La sua mappa mentale non riproduce gerarchie, ma genera configurazioni di senso che permettono di osservare da nuove angolazioni i territori culturali.

Francese, giurista di formazione ma mosso da un’inclinazione diversa, Halles passa da Fernando Pessoa e il suo "Libro dell’inquietudine" a parodie erotiche di videogiochi fantasy. Non per provocazione, ma perché ogni testo può contenere un indizio per interpretare il presente. Il suo lavoro non è accademico, ma segue una curiosità metodica: "Tutto il mio lavoro consiste nel collegare cose che non erano destinate a incontrarsi", afferma.

Per lui, far dialogare Gilles Deleuze con "Westworld" non è un gioco, ma un esperimento di comprensione. "In un certo senso, "Mille piani" di Deleuze e Guattari fa gran parte del lavoro al posto mio", osserva con ironia. Dietro la battuta, però, c’è disciplina: appunti, bozze, riscritture. Scrivere, per Halles, significa far emergere un ordine temporaneo dal caos, sapendo che ogni ordine è provvisorio.


L’incompiuto come verità in movimento

Nei suoi scritti ritorna spesso l’attrazione per l’incompiuto. "È la possibilità di assistere a un pensiero mentre si forma", spiega. "Un’opera frammentaria non nasconde esitazioni o correzioni. Espone la vulnerabilità del processo, e questa vulnerabilità è profondamente umana."

Non è un elogio ingenuo dell’imperfezione, ma il riconoscimento che il pensiero è fatto di esitazioni, ripensamenti, deviazioni. Per Halles, l’opera incompiuta non è una mancanza, ma un documento onesto, una traccia autentica di una mente al lavoro. La sua preoccupazione riguarda il futuro: "Un giorno perderemo anche questo". Con l’intelligenza artificiale capace di produrre testi levigati, potremmo smarrire la traccia del dubbio, l’impronta di una ricerca che si interroga, si corregge, si rimette in discussione.


Collegamenti inattesi tra discipline

Il suo metodo nasce da un approccio senza barriere: "Il filo conduttore sono le mie ossessioni. Scrivo per collegare ciò che non avrebbe dovuto incontrarsi. Non esistono barriere: ogni testo può entrare in relazione con un altro, se lo si ascolta senza pregiudizi."

Così, filosofia accademica e cultura popolare, Deleuze e Westworld, diventano tasselli di uno stesso discorso. Halles non studia il passato per conservarlo intatto, ma per usarlo come lente critica. Nel "Conte di Montecristo", ad esempio, il nome della nave Pharaon diventa metafora di un sistema truccato, dove la legge è piegata al potere. Una chiave per leggere le disuguaglianze contemporanee fondate su algoritmi e norme solo in apparenza neutre.

Archivi dimenticati e resistenza culturale

Halles recupera PDF dimenticati, cura antologie marginali, commenta serie televisive. "È un modo per preservare un patrimonio fragile", dice. "La cultura è ancora uno spazio libero, dove le menti possono incontrarsi senza filtri commerciali o algoritmici."

Difendere testi marginali, per lui, equivale a difendere la possibilità stessa del dissenso culturale. Videogiochi, parodie, pulp dimenticati: ogni testo è un archivio che conserva tracce di ideologie, desideri e tensioni. "Se vuoi pensare diversamente, leggi ciò che gli altri non leggono", ricorda. La cultura non è un museo, ma una pratica viva, un terreno di resistenza e un’occasione di incontro.


Umani e macchine: il futuro dell’imperfezione

Per Halles, l’intelligenza artificiale non è il problema. Lo è il nostro rapporto con essa. Da un lato vogliamo governare il mondo, dall’altro demandiamo alle macchine il lavoro più faticoso. La vera questione è come preservare ciò che ci rende unici: "Dobbiamo chiederci cosa ci distingue. La risposta è semplice: la capacità di sbagliare, di emozionarci per ragioni irrazionali, di cambiare opinione in modo inatteso.

Questa è la nostra ricchezza, ed è ciò che dobbiamo preservare." La soluzione non è tecnica, ma filosofica: "Il futuro dell’intelligenza artificiale sarà filosofico o non sarà affatto umano." Solo la presenza di poeti e filosofi può impedire che il pensiero si riduca a pura efficienza.

Leggere e scrivere, per Halles, non sono attività solitarie, ma atti di costruzione di comunità. La scrittura non è un monumento, ma un dialogo costante: con il passato, con i lettori del presente e con le domande ancora prive di formulazione. In un mondo che rischia di appiattirsi sull’efficienza, la sua ricerca ci ricorda che la cultura è, prima di tutto, un esercizio di libertà.


StultiferaBiblio

Pubblicato il 16 settembre 2025

Calogero (Kàlos) Bonasia

Calogero (Kàlos) Bonasia / omnia mea mecum porto