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L’AI diventa Partner e non più Manipolatore

Dal capitalismo comportamentale all’economia della fiducia: non più “ti osservo per venderti” ma “collaboro per capirti”. L’infosfera da campo di battaglia a spazio di fiducia. La rivoluzione silenziosa è già iniziata.

Dall'essere Merce a essere Protagonisti: il Grande Tradimento (e la Redenzione) del Digitale

Quando ho capito di essere la farfalla sotto vetro

C'è un momento preciso in cui il velo si squarcia. Per me è stato una sera qualunque, sprofondato nel divano, pollice che scorreva ipnotico su uno schermo luminoso. Ed è lì che l'ho visto: ogni mio microscopico gesto, la pausa impercettibile su una foto, l'esitazione prima di un clic, persino il ritmo del mio respiro digitale, veniva catturato, dissezionato, archiviato. Non stavo usando una piattaforma: ero io la cavia di un esperimento senza fine.

Mi sono sentito come quegli insetti meravigliosi inchiodati nelle teche vittoriane. Bello, forse anche interessante, ma definitivamente morto nella mia libertà. Un esemplare perfetto per essere studiato.

E la cosa più inquietante? Mi piaceva. Quella dopamina che mi inondava ad ogni notifica, quella sensazione di essere connesso, di contare. Non capivo che il prezzo del biglietto era la mia stessa umanità.

Il patto faustiano del "gratis": quando abbiamo venduto l'anima per un account

Shoshana Zuboff l'ha chiamato capitalismo della sorveglianza (o comportamentale, se preferite), ma io preferirei chiamarlo con il suo vero nome: il più grande inganno della storia umana. Ci hanno fatto credere di essere furbi. "Guarda", ci sussurravano, "tutto questo è gratis! Facebook, Google, Instagram... usa quanto vuoi, non paghi nulla!"

E noi, ingenui e affamati di connessione, abbiamo firmato. Senza leggere le clausole scritte in corpo 2 nella lingua degli avvocati intergalattici. Abbiamo ceduto qualcosa di molto più prezioso di qualche euro al mese: abbiamo regalato la nostra imprevedibilità, la nostra meravigliosa irrazionalità umana, la nostra sacrosanta libertà di essere incoerenti.

Per vent'anni siamo stati miniere d'oro semoventi. Ogni nostra debolezza mappata, ogni nostra paura catalogata, ogni nostro desiderio trasformato in algoritmo predittivo. E più i loro modelli ci conoscevano, più sapevano come farci ballare sulla loro musica. Un valzer perfetto verso la nostra stessa dissoluzione come soggetti pensanti.

Quando la montagna di menzogne ha cominciato a crollare

Ma le crepe, amici miei, stanno diventando voragini.

Lo sento ogni giorno nelle conversazioni con i miei studenti. Nei loro occhi vedo una consapevolezza nuova, un fastidio crescente. "Prof", mi dicono, "non mi fido più". E hanno ragione. La pandemia ci ha tolto molte certezze, ma ci ha regalato una lucidità dolorosa: mentre eravamo rinchiusi in casa, attaccati agli schermi più che mai, abbiamo finalmente visto le catene.

Abbiamo visto come gli algoritmi ci intrappolavano in bolle di rabbia. Come ci mostravano sempre la stessa versione distorta della realtà. Come trasformavano ogni nostra fragilità in opportunità di profitto. L'infosfera, questa magnifica promessa di conoscenza infinita, era diventata un'enorme discarica cognitiva, dove il nostro cervello annegava in contenuti manipolativi, fake news confezionate su misura, raccomandazioni che ci rendevano sempre più piccoli, più prevedibili, più tristi.

Il paradosso è grottesco quanto tragico: le stesse tecnologie che dovevano renderci superumani ci stavano trasformando in automi emotivi, reattivi, controllabili con la stessa facilità con cui si programma un termostato.

L'alba di un'era imperfetta ma umana: benvenuti nell'economia della fiducia

Ed è proprio quando il buio sembra totale che intravedo la luce. Non è un'utopia tecnologica quella che sta emergendo, non è l'ennesima promessa silicon-valley-style. È qualcosa di più fragile, più autentico, più necessario: l'economia della fiducia.

La sto vedendo nascere nei miei progetti su umanesimodigitale.info, nelle conversazioni con colleghi visionari, negli esperimenti di piattaforme coraggiose che stanno scegliendo un'altra strada. Piattaforme che dicono: "Sì, ti conosco, ma non ti tradisco". Sistemi di intelligenza artificiale che non ti spiano dalla serratura ma bussano alla porta e ti chiedono: "Posso entrare? Vorrei collaborare con te".

È un ribaltamento totale, radicale, rivoluzionario dei paradigmi che ci hanno governato per due decenni:

Dalla sorveglianza alla trasparenza: "Lasciami vedere cosa fai nella mia testa"

Basta con gli algoritmi-scatola-nera che mi osservano come un Grande Fratello onnisciente. Voglio sapere perché l'intelligenza artificiale mi raccomanda quel video. Voglio capire come arriva alle sue conclusioni. Quali dati usa. Quali pregiudizi incorpora.

La spiegabilità non è più un vezzo da nerd: è un diritto fondamentale. Come un paziente che chiede al medico: "Perché questa diagnosi? Su cosa ti basi?" Anche noi dobbiamo poter interrogare le macchine che influenzano le nostre vite.

Dall'estrazione alla relazione: "Non rubarmi, amami"

Il valore non può più nascere dal furto elegante dei nostri dati comportamentali. Il futuro appartiene alle piattaforme che costruiscono relazioni autentiche. Non quelle che mi conoscono meglio, ma quelle di cui io posso fidarmi davvero.

È un cambio di prospettiva che mi commuove nella sua semplicità rivoluzionaria: da oggetti passivi di studio, quelle farfalle inchiodate che dicevo, a soggetti attivi di una relazione paritaria. Partner, non prede.

Dalla predizione alla co-intelligenza: "Pensiamo insieme, non al posto mio"

L'AI non deve più essere quell'avversario invisibile che cerca di anticipare le mie mosse per manipolarmi. Deve diventare il mio partner cognitivo, quello che potenzia il mio pensiero senza sostituirlo, che amplifica la mia creatività senza cancellarla.

Io la chiamo co-intelligenza, e quando funziona è pura magia: una danza tra intelligenza umana e artificiale dove nessuno dei due scompare, ma entrambi diventano più potenti. Come un musicista che suona con un altro musicista: non competono, creano insieme qualcosa di impossibile in solitudine.

La rivoluzione silenziosa: da "ti spio per venderti" a "collaboro per conoscerti"

Questa è l'essenza della trasformazione che stiamo vivendo, spesso senza rendercene conto. Sembra una differenza sottile, quasi cosmetica, ma è un abisso di senso.

Nel vecchio mondo, io ero un oggetto: qualcuno mi studiava, mi schedava, mi usava per riempire le proprie casse. La mia umanità era un dato da estrarre, come petrolio da un pozzo.

Nel nuovo mondo che intravedo, e che voglio contribuire a costruire, io sono un soggetto: partecipo consapevolmente, contribuisco volontariamente, condivido in un rapporto di reciprocità autentica. Non sono più la mucca da mungere: sono il contadino che sceglie cosa coltivare e con chi condividere il raccolto.

L'ho sperimentato concretamente nelle mie conversazioni con Claude, con Gemini, con questi nuovi modelli di intelligenza artificiale che, quando usati correttamente, non mi profilano per manipolarmi, ma dialogano per co-creare. C'è una qualità diversa in questi scambi. Una dignità reciproca. Un rispetto che sento palpabile.

Le battaglie che ci aspettano (e che non possiamo perdere)

Sarei un ingenuo romantico se pensassi che questa transizione sarà dolce come una passeggiata primaverile. Il capitalismo comportamentale ha costruito imperi da centinaia di miliardi di dollari. Imperi che non si arrenderanno senza combattere.

Le resistenze sono feroci. Gli interessi colossali. I meccanismi di potere profondamente radicati. Ma le crepe che vedo allargarsi mi danno speranza. Le normative europee, l'AI Act, il GDPR, stanno tracciando una via diversa da quella americana (selvaggia) o cinese (autoritaria). Una terza via che mette al centro l'umanesimo digitale: la tecnologia al servizio della persona, non la persona sacrificata sull'altare della tecnologia.

La vera battaglia a cui tutti dovremmo partecipare è culturale prima che tecnologica. 

La vera battaglia, però, è culturale prima che tecnologica. Dobbiamo reimparare collettivamente a concepire il nostro rapporto con le macchine intelligenti. Non come utensili passivi (il martello non mi manipola). Non come divinità onnipotenti (il Grande AI che tutto sa e tutto decide). Ma come partner cognitivi in un processo di co-evoluzione reciproca.

Dall'infosfera-campo-di-battaglia all'infosfera-giardino-condiviso

L'infosfera, questo spazio ibrido dove ormai viviamo più della metà delle nostre esistenze, è oggi un teatro di guerra. Algoritmi che combattono gladiatori per catturare la nostra attenzione. Contenuti che si sgozzano per i nostri like. Piattaforme che si contendono il nostro tempo come si contendevano i territori gli imperi coloniali.

Ma può trasformarsi in qualcosa di radicalmente diverso: uno spazio di fiducia. Un giardino digitale dove la sostenibilità cognitiva viene prima del profitto a breve termine. Dove la qualità dell'informazione conta più della sua viralità acchiappa-clic. Dove l'intelligenza artificiale ci aiuta davvero a pensare meglio, non ci droga con stimoli dopaminergici per farci comprare cose che non ci servono.

I pilastri del nuovo tempio digitale 

Questa trasformazione si regge su fondamenta precise:

  • Trasparenza algoritmica: Sapere come funzionano i sistemi che influenzano le nostre scelte. Pretendere che gli algoritmi si presentino prima di entrare nelle nostre vite.
  • Sovranità dei dati: Controllare davvero, non sulla carta, cosa condividiamo e come viene usato. I nostri dati sono nostri, punto. Non concessioni revocabili.
  • Spiegabilità delle decisioni: Comprendere perché l'AI arriva a certe conclusioni. Niente più oracoli incomprensibili.
  • Sostenibilità cognitiva: Progettare tecnologie che rispettano i nostri limiti attentivi ed emotivi. Il nostro cervello non è una risorsa infinita da spremere.
  • Reciprocità nelle relazioni: Costruire ecosistemi dove il valore è condiviso equamente, non estratto unilateralmente da chi ha il potere tecnologico.

La mia personale scommessa (e invito a unirvi)

Da ingegnere informatico che ha scelto consapevolmente l'umanesimo digitale come bussola, vedo questa transizione come l'opportunità più affascinante della nostra generazione. Non è nostalgia per un Eldorado pre-digitale che non è mai esistito. È la costruzione di un futuro dove tecnologia e umanità si potenziano reciprocamente invece di cancellarsi.

Sono convinto, e ci scommetto il mio lavoro quotidiano, che l'economia della fiducia non sia solo più etica, ma anche più efficace nel lungo periodo. Le piattaforme che costruiscono relazioni autentiche con gli utenti saranno più resilienti di quelle fondate sulla manipolazione psicologica. I sistemi di AI che collaborano trasparentemente con gli umani saranno più potenti di quelli che cercano arrogantemente di sostituirli.

È una scommessa che incarno ogni giorno. Quando scrivo su umanesimodigitale.info. Quando dialogo con voi lettori. Quando esploro le potenzialità dell'intelligenza artificiale generativa cercando sempre di mantenere quella reciprocità, quella trasparenza, quella collaborazione consapevole che predico.

L'educazione come atto rivoluzionario

Ma questa transizione epocale non avverrà per magia o per spontanea evoluzione tecnologica. Serve un profondo, radicale cambiamento culturale. E qui l'educazione diventa l'arma più potente che abbiamo.

Dobbiamo formare cittadini digitali consapevoli. Persone capaci di comprendere i meccanismi dell'intelligenza artificiale, di valutare criticamente i contenuti, di riconoscere quando stanno venendo manipolate, di dire "no" quando necessario, e "sì" quando autentico.

Non basta insegnare a usare gli strumenti, quello è addestramento, non educazione. Bisogna educare a una nuova alfabetizzazione algoritmica: comprendere come pensano le macchine, quali sono i loro limiti strutturali, come possiamo collaborare efficacemente con loro mantenendo intatta la nostra autonomia cognitiva e la nostra meravigliosa imperfezione umana.

È questa la vera rivoluzione che può trasformare l'infosfera da campo di battaglia a giardino condiviso: non miracolose tecnologie salvifiche, ma persone più consapevoli, più critiche, più coraggiose.

Serve un profondo, radicale cambiamento culturale.

Verso una nuova alleanza (il patto che ci salverà)

La transizione dal capitalismo comportamentale all'economia della fiducia non è scritta nelle stelle. Non è inevitabile, non è automatica, non è garantita. È una possibilità fragile che dobbiamo conquistare attivamente, giorno dopo giorno, con scelte consapevoli, politiche illuminate, pratiche virtuose, compromessi coraggiosi.

La vedo emergere, questa possibilità. Nei progetti più innovativi di AI etica. Nelle normative europee che tengono duro contro le lobby. Nelle piattaforme coraggiose che scelgono modelli di business alternativi alla sorveglianza (anche se meno redditizi nel breve). Nelle comunità che sperimentano forme diverse di condivisione digitale.

L'intelligenza artificiale può essere il catalizzatore di questa trasformazione. Non l'AI opaca e predatoria del capitalismo comportamentale, ma un'AI trasparente e collaborativa che ci aiuta a pensare meglio, a decidere più consapevolmente, a costruire relazioni più autentiche con noi stessi, con gli altri, con il mondo.

Da "ti osservo per venderti" a "collaboro per capirti". È più di uno slogan accattivante: è il manifesto di una rivoluzione silenziosa ma profonda che sta già cambiando, se lo vogliamo, se lo scegliamo, se ci crediamo, il nostro rapporto con la tecnologia.

E in questa rivoluzione, finalmente, meravigliosamente, noi non siamo più il prodotto.

Siamo i co-autori del nostro destino digitale.

Siamo tornati protagonisti della nostra storia.


Pubblicato il 28 ottobre 2025

Franco Bagaglia

Franco Bagaglia / Docente Universitario. Umanesimo Digitale. Specialista formazione e sviluppo AI e competenze digitali presso Acsi Associazione Di Cultura Sport E Tempo Libero

franco.bagaglia@libero.it https://umanesimodigitale.info