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Un articolo tratto dal volume “Antropologia del sacro e delle religioni” (Fotograf Edizioni, ISBN 978-88-97988-69-4) nel quale un antropologo si pone alcuni interrogativi di fronte al fenomeno della fede e della teologia (o, meglio, delle teologie). Interrogativi da investigare perchè non bastano le risposte che ad essi vengono dati da teologi o studiosi di storia delle religioni.


Al termine della creazione, nell’ultimo giorno, «Dio disse: Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra. Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra […]. Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente»[1]. Come questa della Genesi, il primo dei libri del Pentateuco (la prima parte del Vecchio Testamento dei cristiani, corrispondente per altro alla Tōrāh dell’ebraismo, cioè agli insegnamenti attribuiti a Mosè[2]), molte altre sono le descrizioni religiose e mitologiche nate nelle varie epoche e nell’ambito delle varie culture per dare all’uomo una dignità diversa rispetto a quella degli altri esseri viventi e per attribuirgli conseguentemente un fine diverso, più alto della semplice vita materiale, o ancora per definirlo una creatura in possesso, oltre che del suo corpo materiale, anche di una parte metafisica e trascendente come l’anima, come abbiamo già accennato nel capitolo precedente.

Non è un caso, d’altronde, se la creazione dell’uomo, e quindi della donna, avvenga nella Genesi alla fine di tutto ciò che rappresenta il creato, in base a una scala valoriale che va dall’universale (il cielo e la terra, la luce, il sole e le stelle) via via al particolare (l’acqua, le piante, gli animali). E se ciò non bastasse, esplicito è proprio il versetto che pone l’uomo al di sopra di tutti gli altri esseri creati prima di lui, con la possibilità di “dominare” piante, alberi e animali, e l’altro che, ripetendolo per altro due volte, chiarisce che l’immagine dell’uomo (e della donna) è uguale a quella di Dio stesso: forse un’assurda presunzione, quella dell’uomo, come tanti filosofi e pensatori nel corso dei secoli hanno provato ad affermare scontrandosi con teologi e credenti per i quali invece questa è materia inderogabile di fede e quindi un tema indiscutibile. Ma, come ha sintetizzato fra gli altri Luigi Moraldi, che di testi sacri antichi è stato in Italia forse il massimo studioso, «l’orgogliosa presunzione che Dio abbia creato l’uomo a sua immagine è una vuota attestazione dell’inutile stima che l’uomo ha di sé stesso e della completa incomprensione che ha di Dio»[3].

 

Dio e l’uomo nelle tre principali religioni monoteiste

L’Adamo della Bibbia, il primo uomo creato da Dio, che è anche l’Adam del Corano, è poi anche l’unico essere vivente con cui Dio fa un “patto” definendolo in questo caso suo vicario (“khalifa”, cioè califfo) nei versetti 30-34 del libro sacro dell’islam; sarà l’uomo a dominare l’universo a patto di adorare Dio e seguire le sue regole. Ma mentre nella Bibbia la disubbidienza dell’uomo dai precetti di libertà assegnatigli provoca la sua cacciata dal paradiso e la macchia del “peccato originale”, nel Corano l’uomo viene perdonato da Dio e quindi la colpa di quella disobbedienza non viene trasmessa ai suoi discendenti, cioè all’umanità intera.

Ma, tornando a quanto già evidenziato, è importante sottolineare che in entrambi i casi l’uomo viene creato da Dio a conclusione della creazione di tutte le altre cose e di tutti gli altri esseri viventi dell’universo, proprio perché l’ultimo anello di questa creazione è anche quello dell’essere supremo nella gerarchia del creato; anzi, come abbiamo visto e già sottolineato, addirittura Dio lo crea a sua immagine e somiglianza: da qui l’antropomorfizzazione della figura divina nel cristianesimo, validata anche dall’incarnazione come uomo di Gesù, il Messia, oggetto dell’unzione divina, il “figlio di Dio”[4].

L’interpretazione rabbinica si discosta peraltro da quella del cristianesimo dato che punta a sottolineare anche alcuni aspetti specifici della stessa creazione: l’uomo creato da Dio, a differenza del creatore, è fragile in quanto è fatto con la polvere del suolo; sembra dipendere totalmente dal suo creatore (Dio lo “plasma” come un vasaio che dà forma all’argilla e gli dà un nome); e in più ha bisogno di «un aiuto che gli sia simile» (Eva, la donna che dal suo corpo viene “estratta”)[5]. Ma anche l’esegesi dei teologi ebraici evidenzia comunque che solo l’uomo è in grado di categorizzare, dando per esempio i nomi agli animali e alle piante; egli solo, quindi, ha la capacità di classificare, e proprio questo lo distacca dagli animali. Ha quindi una sua dimensione di “comunione” con gli altri esseri viventi, ma anche di “separatezza”, grazie alla sua chiara e voluta superiorità[6]. Ma non è egli stesso, per quanto “simile” a Dio, un dio. Gli deve obbedienza, deve rispettare le sue regole. È quindi superiore alle altre creature del pianeta ma inferiore al suo creatore a cui non solo deve obbedienza, ma di cui ha continuamente bisogno.

Tutta la Bibbia, esattamente come la Tōrāh e il Corano, se è in un certo senso “antropocentrica”, perché il Dio dei cristiani (così come quello degli ebrei e degli islamici) si rivolge all’uomo come suo interlocutore privilegiato, nello stesso tempo è anche ovviamente teocentrica, perché il fine del dialogo salvifico, in particolare nell’ambito della dottrina cristiana, è quello di restaurare la pienezza di vita che la creazione aveva al suo inizio nel paradiso terrestre e di cui Cristo, umanizzato, è paradigma e portatore in quanto incarnazione diretta del Dio creatore[7]. Ma a rendere ancor più simili i libri sacri delle tre religioni abramitiche è il fatto che la Bibbia, il Corano e anche la Tōrāh[8] sono testi sacri in quanto descrivono e giustificano la realtà fin dalla sua origine, ma danno anche un fine al creato nell’ottica di guidare l’umanità verso un destino specifico, attraverso la prescrizione di norme che non sono solamente di carattere teologico e dogmatico, ma anche prescrittive in senso morale e in un certo qual mondo perfino sociale e politico; e il rigore con cui in particolare ebrei e islamici interpretano nella loro vita il dettato dei loro libri sacri ne offre ampia testimonianza, ancor più di quanto succede per i cristiani con la Bibbia, il cui testo soprattutto nell’area cattolica non è affatto ben conosciuto (né quindi seguito con la prescritta “obbedienza”) dai fedeli.

Per i teologi di tutte e tre queste religioni, però, l’uomo ha esigenza di Dio non solo perché gli deve la vita (in quanto creatore), ma anche perché ha continuamente bisogno di affidarsi a lui nel suo quotidiano. Ma questa “necessità” può portare anche al principio inverso, tipico del pensiero ateo sviluppatosi in occidente nell’800, che sia Dio ad avere bisogno dell’uomo, unico essere senziente e autocosciente in natura, per poter affermare la sua stessa esistenza, come sottolineava Feuerbach quando, negando l’esistenza di un essere superiore all’uomo, scriveva che «l’essenza della religione è l’antropologia», dato che solo «la negazione di Dio può restituire dignità e valore all’individuo»[9].

Con lui e con l’evoluzione successiva del pensiero materialista e ateo gli attributi divini vengono spesso conservati ma trasferendoli all’uomo, e allo stesso modo ciò avviene anche per i contenuti essenziali della fede che vengono riletti in chiave antropologica: il sacro, pertanto, non scompare dal mondo, ma semplicemente acquista il significato di ciò che è comune a tutti, universale, naturale; non viene soppresso ma si evita la sua trascendenza come accade invece delegandolo agli attributi di una divinità che può ciò che non può l’uomo. Si tratta in questo caso, quindi, di restituire all’uomo un sacro ma senza una divinità anche perché, come affermerà Marx qualche anno dopo Feuerbach, la religione costituisce «l’oppio dei popoli»[10]: andando oltre il concetto espresso da Feuerbach, infatti, Marx interpreta il senso della religione come uno strumento consolatorio degli individui e delle masse per le ingiustizie sociali subite, e chi è religioso riversa quindi fede e speranza in un’entità trascendente alienando sé stesso e narcotizzandosi senza impegnarsi al contrario come dovrebbe per cambiare questa vita, convinto che il suo bene si possa realizzare in un aldilà sperato ma comunque incerto in quanto non sperimentabile.

Non va comunque dimenticato che, al di là di qualunque credenza o di qualunque sudditanza teologica, cristiana o no, o di qualunque esegesi filosofica che giustifichi o neghi la stessa esigenza di una sfera religiosa, l’uomo ha da sempre cercato di svilire il suo semplice essere naturale attribuendosi al contrario prerogative uniche e certamente superiori rispetto a quelle degli altri esseri viventi, a partire dalla sua intelligenza e dalle sue capacità tecnologiche, in grado così di porsi alla sommità di tutta la catena della vita del pianeta finora abitato, la terra, come l’essere superiore, fino a considerare l’ipotesi di non essere stato creato da un’entità ancora superiore (cioè da un dio), ma di essere stato lui stesso a cercare di giustificare il mondo attraverso la creazione, a sua volta, di una qualche divinità, cioè di un’entità a lui superiore, che potesse spiegare metafisicamente ciò che l’umanità stessa, da sola, non era comunque in grado (ancora) di spiegare a sé stessa o tantomeno (ancora) di ideare e realizzare.

 

Ateismo e agnosticismo: il difficile dialogo fra scienza e fede oggi

Ora, se la fede comporta l’abbandono della persona verso qualcosa di intangibile, cioè che non può capire e sperimentare con i propri sensi, e se quindi la fede è capace in qualche modo di riuscire in ciò in cui la ragione e la conoscenza falliscono, perché non prendere in considerazione semplicemente che l’idea di un dio o di molte divinità non visibili né percepibili razionalmente ma a cui si crede solamente per fede sia solo il modo in cui gli esseri umani soprattutto del passato sono riusciti (e spesso anche quelli di oggi riescono) a spiegarsi cose che sono troppo difficili da capire? In tal caso la prospettiva della creazione dell’uomo (e dell’universo) da parte di un essere superiore, divino, sarebbe semplicemente una fantasia basata sull’ignoranza, un’invenzione di chi, come i nostri “antenati”, non possedeva i saperi scientifici che noi oggi possediamo. In tal caso il problema non è, per dirla come Nietzsche, che oggi «Dio è morto»[11], ma che forse (quanto meno per alcuni) in realtà non è mai nato.

Se quindi si scarta del tutto l’ipotesi dell’esistenza di una realtà superiore a quella umana e l’essere umano viene ricondotto alla posizione preminente della realtà naturale, come l’essere sommo, per gli atei significa solo una cosa: che è l’uomo ad avere creato un dio per attribuirgli le facoltà e le conoscenze di cui lui stesso non è in possesso; quindi homo homini deus est. In quest’ottica, il problema non è solo ipotizzare che null’altro di superiore sia presente al di sopra dell’umanità stessa, ma opporsi al pensiero di chi al contrario ha fede che al di sopra dell’uomo stia un essere distinto dall’uomo con funzioni di divinità superiore a cui ovviamente appartiene tutto il meglio in assoluto (l’essere supremo è tale solo se è perfetto); ma questo comporterebbe, per assurdo, che all’uomo che crede in uno o in più esseri superiori spettino soltanto i rimasugli di questo bene assoluto. In tal caso, tutti i sentimenti che dovrebbero essere rivolti alla vita e all’uomo stesso, insomma tutte le sue migliori energie, l’uomo le spreca per l’essere che di nulla ha in realtà bisogno proprio perché perfetto. A meno che egli non lo tema a tal punto da dovergli obbedire e tributare onori perché teme per la sua incolumità, come accadeva con i sacrifici (anche umani) tributati a divinità del passato; ma in tal caso non si potrebbe parlare più di un culto religioso tributato a tale essere (o a tali esseri), ma di una schiavitù a cui è sottoposta l’umanità o un popolo terrorizzati e impotenti.

Per il materialismo ideologico, da cui nasce l’ateismo storico di Feuerbach o di Marx di cui già parlavamo, la causa reale diviene quindi un mezzo indifferente; la causa puramente immaginaria diviene la causa vera e reale. Così il sentimento morale soccombe nella religione e, per somma fede, l’uomo arriva perfino a sacrificare il suo simile, perfino un figlio, alla divinità per ingraziarsela: si pensi ai riti religiosi dei fenici, degli egizi, dei sumeri, degli inca e di tanti altri popoli; ma si rammenta che è lo stesso Dio della Bibbia a ordinare a Isacco di sacrificargli il figlio, salvo poi fermarlo all’ultimo minuto avendo sperimentato la sua obbedienza. Per il pensiero ateo e materialista quando la morale viene fondata sulla teologia e il diritto su un’autorità divina, anche le cose più immorali, più ingiuste e più vergognose possono avere il loro fondamento nella divinità e venir quindi giustificate con la religione e la fede[12]: si pensi al riguardo anche alle guerre di religione contro gli “infedeli” che hanno sempre sconvolto il mondo e ancora ai nostri giorni in molte aree del globo continuano a sconvolgerlo basandosi su tali ideologie.

Ma anche oggi, la cultura atea e agnostica, per quanto a volte marginale nella sua originalità, pervade soprattutto alcuni scienziati, come il matematico italiano Piergiorgio Odifreddi: proprio come uomo di scienza, egli considera l’affermazione che quello della Bibbia è l'unico vero Dio una “bestemmia” nei confronti di colui che gli uomini di buona fede, da Pitagora a Platone, da Spinoza a Einstein, hanno da sempre identificato con l’intelligenza dell’universo e l’armonia del mondo. Come italiano, da semplice cittadino prim’ancora che come intellettuale, egli ha più volte affermato che il cristianesimo, alla base della cultura europea, ha costituito non la molla del pensiero democratico e scientifico del vecchio continente, bensì il freno che ne ha gravemente soffocato lo sviluppo civile e morale; in base a ciò, egli ritiene che l’anticlericalismo sia oggi più una difesa della laicità dello stato che un attacco alla religione della Chiesa. Come autore di svariati libri, infine, egli ha anche riletto la Bibbia e i testi contenenti le successive elaborazioni dogmatiche della Chiesa per svelarne incongruenze logiche e infondatezze storiche, dando alla ragione ciò che è della ragione e facendo emergere dai testi la verità, e chiosando: «Mosè, Gesù e il papa sono nudi»[13].

Tuttavia, anche fra gli uomini di scienza c’è chi ritiene che ancora oggi sia possibile il dialogo fra scienza e fede; se si prende per assoluta l’inconciliabilità fra il sapere scientifico (con le teoria del big-bang, dell’universo in espansione, dei quanti di energia, della relatività e della complessità del tempo nello spazio), da un lato, e l’accettazione della fede religiosa (con la creazione, il diluvio universale, la concezione trinitaria del cristianesimo, ecc.), dall’altro, si potrebbe desumere che non dovrebbe più di fatto esistere alcun possibile collegamento fra di esse, proprio per l’inconciliabilità dei due approcci, né dovrebbero a maggior ragione esistere fra gli stessi uomini di scienza coloro (e fra loro ci sono anche scienziati premiati col Nobel in tempi moderni) che, pur affrontando e sperimentando teorie scientifiche avveniristiche, si professano religiosi, affidandosi a una fede verso una divinità o un dio nell’ambito della cristianità, dell’islam, del buddismo o di qualunque altra religione. La verità per costoro è che non è possibile semplicemente “rimuovere” il concetto di un essere trascendente, divino, senza sostituirlo con una spiegazione più ragionevole. Le domande non scompaiono eliminando la possibilità dell’esistenza di un dio che i cristiani magari chiamano in un certo modo, gli ebrei in un altro, gli islamici in un altro ancora, mentre altre popolazioni non pensano che sia un solo essere ma una molteplicità di esseri divini a guidare le azioni umane e ad agire laddove non abbiamo spiegazioni razionali su ciò che accade accanto a noi, ma che prima di tutto sono stati i “creatori” dell’umanità.

Qui ritorniamo, in un certo senso, al punto di partenza. Ma, al di là delle eccezioni comunque presenti anche in occidente, spesso «oggi si crede senza appartenere, nel senso che l’appartenenza religiosa si configura nelle forme deboli di credenze composte e ricomposte secondo logiche che sfuggono ormai a quelle delle religioni visibili e istituzionali. E anche là dove la pratica rimane un criterio di identità sociale, questa pratica appare sempre più sganciata da una relazione vivente con un patrimonio storico di credenze, con una memoria collettiva»[14]. Ciò non significa che il mondo vada, nell’ambito delle varie culture, verso una progressiva scomparsa della sfera religiosa, dato che comunque le religioni e, in genere, il religioso e il sacro rimangono da più parti destinati a recitare una parte importante nella sfera del sociale, del pubblico, anche laddove i processi secolarizzanti parevano averli definitivamente esclusi (le chiese cattoliche sempre più vuote ne offrono ampia testimonianza); probabilmente le religioni sono ancora a lungo destinate a conservare un loro ruolo significativo; e questo, «sia per la loro capacità simbolica, nell’epoca della fluidità dei non-luoghi, di ridefinire e ridisegnare confini, di marcare spazi, di circoscrivere luoghi; sia, per converso, per la loro dinamicità […], per la loro capacità di integrazione e, in ogni caso, di apertura al confronto, al dialogo, alla promozione di valori così assolutamente indispensabili come la pace; sia, infine, come luoghi sacri e identificanti della memoria collettiva, che permettano di sfuggire alla morsa agghiacciante dell’eterno presente della quotidianità»[15].

Ciononostante, come insinua Mirella Cinerini[16], immaginate che un essere proveniente da un altro mondo, quindi dotato di una tecnologia superiore a quella umana, scendendo sulla Terra, veda masse che presenziano a cerimonie o osservi edifici che non hanno funzioni operative (abitative, scolastiche, lavorative, d’intrattenimento ludico o sportivo, ecc.) ma di culto; che veda persone che si inchinano di fronte a segni come la croce o un totem; che magari, arrivino anche a genuflettersi pensando che quell’essere extraterrestre sia giunto sulla terra come un essere o un messaggero divino: ebbene, cosa penserebbe di questa strana razza di esseri viventi che su questo pianeta magari sta lì a perdere tempo in attività non utilitaristiche? Capirebbe che si tratta di forme di religiosità o no? O magari ne approfitterebbe candidandosi, anche se non lo è, a essere considerato il nuovo profeta o “l’incarnazione del nuovo essere supremo” dell’umanità, approfittando così della credulità di quegli esseri umani che lo accolgono con le mani giunte e profondi inchini?

Ecco, anche questi sono interrogativi che è giusto porsi per un antropologo (o magari in futuro per uno xeno-antropologo[17]), ben più che per un teologo o per uno studioso di storia delle religioni, di fronte al fenomeno della fede e della teologia (o, meglio, delle teologie).

 

L’articolo è tratto dal volume “Antropologia del sacro e delle religioni” dello stesso autore (Fotograf Edizioni, ISBN 978-88-97988-69-4)


Note

[1] “Genesi”, Libro I 26-28 e Libro II 7.

[2] I primi cinque libri della Bibbia (Pentateuco) hanno le seguenti corrispondenze con gli analoghi libri della Tōrāh ebraica: “Genesi”: “Berēshīṯ”, cioè “All’inizio”; “Esodo”: “Shemōṯ”, letteralmente “Nomi”; “Levitico”: “Vayyiqrā”, cioè “E chiamò”; “Numeri”: “Bamiḏbar”, letteralmente “Nel deserto”; e “Deuteronomio”; “Devarim”, cioè “Parole”.

[3] “L’aldilà dell’uomo” – Milano, 1985.

[4] Nell’Antico Testamento l’attesa del Messia si esplicita in varie forme, documentate essenzialmente nei libri profetici, ma accennate anche negli altri libri biblici, e particolarmente nei Salmi. All’approssimarsi dell’età cristiana, l’aspettazione messianica era molto viva: in questa situazione s’inserisce la predicazione di Gesù che, pur schermendosi inizialmente dal riconoscersi in quel titolo, non ricusa alla fine quel riconoscimento di Messia che gli viene dai suoi discepoli. Se il cristianesimo ravvisa in Gesù il personaggio vaticinato dall’Antico Testamento come Messia, tuttavia, l’ebraismo rifiuta com’è noto questo riconoscimento, e procede perciò a un’ulteriore elaborazione dell’idea messianica, come attesa di un rinnovamento spirituale (ma anche materiale), di una salvezza che coinvolga il popolo eletto, cioè gli ebrei. E se il messianismo  e l’idea di un salvatore dell’umanità o di un dato popolo rimane presente anche nelle religioni del vicino Oriente e in quelle misteriche e soteriologiche della tarda antichità, facendo capolino perfino nell’era moderna, fino all’800 e in qualche caso fino ai nostri giorni per mano di figure di nuovi profeti spesso apocalittici, l’idea di un’incarnazione divina in Cristo è profondamente osteggiata da altre religione come l’islam che pure lo considerano un profeta, ma non l’ultimo di essi.

[5] Sempre il secondo libro della Genesi, ai versetti 22-24 chiarisce: «Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all'uomo. Allora l’uomo disse: È carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall'uomo è stata tolta. Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne.

[6] Può sembrare strano, ma su questo concetto di superiorità dell’umanità sulle altre specie animali e vegetali presenti in natura, l’unica vera chiara voce di dissonanza in passato, anche nella tradizione cristiana, è stata quella di san Francesco d’Assisi che, secondo lo storico Franco Cardini (autore di una sua celebre biografia pubblicata a Milano in una prima edizione nel 1989 e in un’edizione rinnovata nel 2017), rappresenta con il suo amore per tutte le creature e «per i rapporti “amichevoli” intrattenuti con agnelli, cerbiatti, uccelli rapaci, animali domestici o selvaggi, talvolta addirittura bestie feroci» quasi un «nuovo Adamo […] in una condizione anteriore al peccato originale, il che comporta, fra l’altro, la totale signoria sugli animali e la facoltà d’intenderli e di convivere con essi in armonia», come lo stesso Cardini scrive.  

[7] Cfr. Paolo Giannoni (a cura di): “La creazione. Oltre l’antropocentrismo?” – Padova, 1993.

[8] La Tōrāh, com’è noto, è il riferimento centrale della cultura religiosa ebraica, rappresentando specificamente i primi cinque libri dei trentanove complessivi del Tanakh.

[9] “L’essenza del cristianesimo” – Lipsia, 1841-1883; trad. it. Firenze, 1994.

[10] Nel libro “Per la critica della filosofia del diritto di Hegel”, risalente agli anni 1842-1843 ma che fu pubblicato dopo la sua morte, Marx scriveva: «L'uomo fa la religione, e non la religione l’uomo. Infatti, la religione è coscienza di sé e il sentimento di sé dell'uomo che non ha ancora conquistato o ha già di nuovo perduto se stesso. Ma l'uomo non è un'entità astratta posta fuori dal mondo. L'uomo è il mondo dell'uomo, lo Stato, la società. Questo Stato, questa società producono la religione, una coscienza capovolta del mondo, poiché essi sono un mondo capovolto. La religione è la teoria generale di questo mondo, il suo compendio enciclopedico, la sua logica in forma popolare».

[11] “La gaia scienza” – Lipsia, 1882 – trad. it. Milano, 1977.

[12] Cfr. Ludwig Feuerbach: “L’essenza del cristianesimo”, op. cit..

[13] “Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici)” – Milano, 2007.

[14] Giovanni Filoramo - Marcello Massenzio - Massimo Raveri - Paolo Scarpi: “Manuale di storia delle religioni” – Bari, 2003.

[15] Ibidem.

[16] Introduzione a “Breve storia delle religioni” di A.C. Bouquet – Parigi, 1941; trad. it. Milano, 1961.

[17] Pensate a quale opportunità potrebbe esserci per un antropologo nell’immaginare in futuro la centralità della sua specializzazione nella conduzione dell’esplorazione umana dello spazio o nell’incontro fra l’umanità e una civiltà extraterrestre che sbarca sulla Terra! Interessante, al riguardo, è un articolo di Logan Kirkland e Joshua Rivers dal titolo “Star Trek: dove l’antropologia non è mai arrivata prima”, pubblicato su “Antropologia urbana” nel febbraio 2022.

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Pubblicato il 22 settembre 2025