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Le abitudini sono come binari invisibili: ci guidano, spesso senza che ce ne accorgiamo. Alcune ci aiutano a crescere, altre ci tengono fermi o ci trascinano indietro. La domanda allora è: quali binari stiamo seguendo? Sono quelli che ci avvicinano alla persona che vogliamo diventare, o quelli che ci allontanano dai nostri obiettivi?

Quante azioni compiamo ogni giorno senza rendercene conto? Dal gesto di lavarsi i denti al controllare lo smartphone appena svegli... Una gran parte della nostra vita è governata da abitudini. Sono schemi ripetuti che, con il tempo, diventano automatici. Non sempre ce ne accorgiamo, eppure le abitudini definiscono chi siamo, influenzano il nostro benessere e modellano il nostro futuro.

Ma hanno un doppio volto: possono essere alleate silenziose o trappole invisibili.

Per me, un vero "abitudinario da competizione", è molto importante dedicare del tempo per approfondire e riflettere su questo tema... Ci tengo tantissimo.

Il fascino delle abitudini positive

Le abitudini semplificano la vita. Rendono automatiche azioni che, altrimenti, richiederebbero ogni volta uno sforzo di volontà. William James, considerato il padre della psicologia americana, scriveva già alla fine dell’Ottocento che “l’intera vita, tanto individuale quanto sociale, non è altro che un insieme di abitudini”.

Pensiamoci: se ogni mattina dovessimo decidere da zero come vestirci, cosa mangiare, come muoverci in città, consumeremmo una quantità enorme di energie cognitive. Le abitudini, invece, ci liberano da questo peso, lasciandoci spazio mentale per scelte più importanti.

Una routine di allenamento, un rituale di lettura serale, l’abitudine di pianificare la giornata: sono tutti esempi di come un piccolo schema comportamentale, ripetuto nel tempo, possa costruire benessere, disciplina e crescita personale. E fin qui tutto bene.

Il lato oscuro. Quando le abitudini diventano "cattive"

Il problema è che lo stesso meccanismo che ci aiuta può anche intrappolarci. Il cervello non distingue tra “buone” e “cattive” abitudini: ciò che conta è la ripetizione. Così, i comportamenti che ci danneggiano – come fumare, procrastinare, usare il telefono in modo compulsivo – diventano routine difficili da spezzare.

Charles Duhigg, nel suo celebre libro "Il potere delle abitudini", spiega che ogni abitudine si regge su un ciclo composto da tre elementi: innesco, routine, ricompensa. Se alla fine dell’azione riceviamo una gratificazione, il cervello tende a ripeterla. È lo stesso principio che sostiene tanto la dipendenza da zuccheri quanto la costanza nello sport.

Il lato oscuro è che molte delle nostre cattive abitudini offrono ricompense immediate, mentre le buone richiedono pazienza per mostrare i benefici.

Abitudini e realtà: chi stiamo diventando?

Non sono solo automatismi: le abitudini contribuiscono a definire la nostra realtà.

Quando diciamo “sono una persona puntuale” o “sono disorganizzato”, spesso stiamo descrivendo schemi abituali consolidati.

Le neuroscienze mostrano che ripetere un comportamento rafforza connessioni neuronali: ciò che facciamo regolarmente finisce per modellare il nostro cervello. In altre parole, le abitudini non solo riflettono chi siamo, ma ci trasformano continuamente.

Per questo motivo, cambiare una cattiva abitudine non è solo una questione pratica: significa ridefinire la propria immagine, costruire una nuova versione di sé. E' faticoso ma possibile.

Come coltivare abitudini migliori

La buona notizia è che le abitudini si possono allenare.

Gli studi ci dicono che non serve forza di volontà infinita, ma piuttosto strategie mirate:

  • Piccoli passi: iniziare con cambiamenti minimi, sostenibili, che col tempo generano un effetto cumulativo.
  • Sostituzione: non basta eliminare una cattiva abitudine, occorre rimpiazzarla con una più utile (ad esempio, camminare dieci minuti invece di accendere una sigaretta).
  • Consapevolezza degli inneschi: osservare quali situazioni, emozioni o luoghi attivano il comportamento abituale.
  • Ricompense mirate: premiare se stessi per consolidare il nuovo schema.

Il messaggio è chiaro: se siamo i prodotti delle nostre abitudini, allora possiamo scegliere quali “semi” piantare nel nostro quotidiano.

Il confine tra routine e libertà

C’è un ultimo punto di riflessione: le abitudini danno stabilità, ma rischiano anche di soffocare la libertà. Una vita interamente scandita da automatismi può diventare monotona, impoverita di spontaneità.

A volte, rompere la routine – cambiare strada, sperimentare un’attività diversa, mettersi volutamente fuori dal consueto – diventa un atto liberatorio. È un promemoria del fatto che non siamo macchine programmate, ma esseri umani capaci di creatività.

Il bello e il brutto delle abitudini, dunque, sta proprio qui: da un lato ci sostengono, dall’altro possono imprigionarci. Sta a noi trovare il giusto equilibrio.

Conclusione

“Le catene dell’abitudine sono troppo leggere per essere avvertite finché non diventano troppo pesanti per essere spezzate”, scriveva Samuel Johnson.

La sfida è non lasciare che siano gli automatismi a guidare la nostra vita, ma imparare a prendere noi il timone. Le abitudini sono strumenti: nelle nostre mani possono diventare scale per salire o zavorre che ci trascinano giù.

E allora, la domanda che oggi, ciascuno di noi, può portarsi via è questa: quali abitudini sto coltivando oggi e quale persona sto diventando grazie (per mezzo di) ad esse?

Pubblicato il 04 settembre 2025

Giuseppe Sferrazzo

Giuseppe Sferrazzo / Formatore e docente di Comunicazione efficace, Soft Skills, Personal branding ed Etica Digitale | È necessario essere disposti ad imparare prima di insegnare - Amo creare un "clima" costruttivo con la Comunicazione

gi.sferrazzo@gmail.com