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La Storia come Bussola: Dal Sogno di Turing alla Realtà dei Dati Se vogliamo capire dove stiamo andando, dobbiamo prima capire da dove veniamo. Il viaggio nel mondo dell’IA inizia con un sogno, quello di un uomo visionario: Alan Turing. Nel 1950, pose la prima pietra, chiedendosi se le macchine potessero pensare. Questo non era solo un quesito tecnico, ma una profonda domanda filosofica. Pochi anni dopo, John McCarthy diede un nome a questo sogno: “Intelligenza Artificiale”. Era l’alba di un’era, un’epoca in cui si pensava di poter insegnare alle macchine a ragionare usando la logica matematica. I primi risultati furono agrodolci: l’IA poteva batterci a dama, ma faticava con gli scacchi senza un database immenso di partite . Proprio come un bambino prodigio che eccelle in una materia ma non ha il senso comune. Esempi come la vittoria di Deep Blue sul campione mondiale di scacchi, che McCarthy stesso definì una “forma di imbroglio” e non vera intelligenza, ci insegnano che il successo di un’IA è spesso legato a un contesto molto specifico.

Il Grande Balzo: Quando la Logica Incontra l’Oceano dei Dati

Ma l’intelligenza artificiale di oggi non è più quella degli anni ’50. Ha fatto un “grande balzo”, abbandonando la pura logica per abbracciare un approccio statistico, alimentato da un’abbondanza di dati. Pensateci: il 99% di tutti i dati digitali che conosciamo sono stati generati negli ultimi 20 anni . Un vero e proprio oceano, che fornisce il carburante per i motori dell’IA moderna, come i Large Language Models (LLM) alla base di strumenti come GPT . A mio parere, questo è il punto di svolta. Non si tratta più di “pensare” in senso umano, ma di trovare schemi, di elaborare probabilità e di prevedere la prossima parola, proprio come il completamento automatico di un motore di ricerca . È un tipo di intelligenza funzionale, non autocosciente.

L’Intelligenza che Risolve Problemi, non che “Sente”

È qui che il mio lato da umanista digitale si esprime con più forza. Il grande filosofo Luciano Floridi ci invita a non cadere nella trappola di personificare l’IA. Egli la definisce come un’eccellenza nel “problem-solving” in condizioni specifiche, non come un’intelligenza vera e propria . Pensate a un’auto a guida autonoma: funziona perfettamente in un ambiente strutturato, come una città ben mappata. Ma portatela nel deserto, e sarà inutile . La nostra “intelligenza” come esseri umani è, invece, adattabile e capace di navigare nell’ignoto. L’IA, al contrario, necessita di un “ambiente amichevole” che noi stessi abbiamo costruito per lei . Il nostro compito è assicurarci che, costruendo questo ambiente, non ci dimentichiamo delle nostre esigenze umane. 

Il Futuro dell’IA: Un’Alleata, non un Sostituto

La paura che l’IA ci sostituisca è, a mio avviso, mal riposta. Il vero rischio, come sottolinea Floridi, è che potremmo finire per creare un mondo che è “friendly” per le macchine, ma non per gli esseri umani. Progettare città per i veicoli autonomi a discapito delle nostre passeggiate è un esempio calzante. Come ingegnere informatico e umanista digitale, la mia missione è proprio questa: usare la tecnologia per democratizzare il sapere e togliere la paura verso l’IA. Dobbiamo guidare questa rivoluzione scientifica, non subirla. E forse, un giorno, il termine “Intelligenza Artificiale” diventerà obsoleto, come lo è oggi la “potenza a cavalli” , e la vedremo semplicemente per quello che è: un potente strumento nelle mani dell’umanità, per migliorarsi e crescere.

Pubblicato il 03 settembre 2025

Franco Bagaglia

Franco Bagaglia / Docente Universitario. Umanesimo Digitale. Specialista formazione e sviluppo AI e competenze digitali presso Acsi Associazione Di Cultura Sport E Tempo Libero

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