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Prima di iniziare una premessa e una rassicurazione. La premessa necessaria è che ciò che state leggendo null’altro è che un divertissement estivo, la cui origine è da ricercare unicamente nella ferma calura di un assonnato pomeriggio d’estate e il cui scopo è soltanto quello di saggiare se e come un pensiero rilassato, lieve, tendenzialmente sbadato, forse un po’ annoiato, diremmo quasi spiaggiato - insomma quella tipologia di pensiero che promana dalla tipica postura che si assume quando si sonnecchia comodamente sotto l’ombrellone o dondolandosi amabilmente su una amaca - possa essere in grado di contenere (più per un fatto casuale che causale) anche qualche spunto interessante.


La rassicurazione, spero gradita, è che in queste poche righe[1] non si parlerà in nessun modo di questioni legate alla finanza internazionale, alle scienze economiche, ai destini dei mercati globali, delle nazioni, dei governi. Certo si parlerà dei “dazi” ma a un livello di astrazione sicuramente più… “sostenibile”.

Una delle più gettonate buzzword di questa estate 2025 è certamente “dàzio”. L’abbiamo ascoltata tanto e la ascolteremo ancora, preoccupati delle conseguenze più concrete, dirette e immediate. L’abbiamo pronunciata al mare, in montagna, in spiaggia e sotto l’ombrellone ma tutto lascia supporre che continueremo a pronunciarla anche quando ci toccherà affettare il panettone.

Ma deve esserci un modo per usare la parola “dàzio” anche in qualche altro modo, con un significato più specifico, in un diverso ambito disciplinare. Deve esserci una accezione del concetto di “dazio” di cui possiamo discutere senza scatenare risse (si spera unicamente verbali e ideologiche) tra le tifoserie appartenenti ai vari credo. Proviamoci partendo, come di consueto, dalle definizioni.

Il lemma “dàzio” – il “dare”, il “consegnare” - nella sua accezione più generale (e più comune) fa riferimento alla “…imposta indiretta sui consumi, di riscossione mediata, che colpisce la circolazione dei beni da uno stato all’altro[2].

Il termine è un prestito dal latino dătĭo (-ōnis) ovvero “…il dare, diritto di disporre della proprietà[3] che deriva a sua volta da dăre. Non sfuggirà certamente la radice comune tra “dàzio” e “dàto”, inteso quest’ultimo sia come ciò che “…è immediatamente presente alla conoscenza, prima di ogni forma di elaborazione” sia in quanto “…elemento, in quanto offerto o acquisito o risultante da indagini e utilizzato a determinati scopi [4].

Dunque, riassumendo, il “dàzio” è un qualcosa che viene “dato” o “consegnato” affinché sia concessa la circolazione di un qualcosa di altro (i beni). Perciò se poca (o nessuna) “circolazione”, allora pochi dazi, o nessuno. E d’altro canto se pochi (o nessun) “bene” allora pochi dazi, o nessuno. Perciò la relazione che esiste tra “dazi” e “beni” deve essere per forza una funzione che tra le sue variabili considera l’atto e il fatto del “circolare” e perciò del “…andare in giro, andare attorno” e del “…muoversi (…) passare da un luogo all’altro” e ancora del “…passare da una persona all’altra, di mano in mano[5].

Da questa lunga premessa scaturisce la “domanda sotto l’ombrellone” numero uno: un “concetto” (e, per interpretazione largamente estensiva, anche una idea o addirittura un pensiero) può essere considerato un “bene”? E ancora più precisamente: può essere considerato un “bene economico”? Ovvero come quel “…mezzo atto alla soddisfazione dei bisogni dell’uomo (…) di cui vi sia disponibilità relativamente limitata e sia quindi suscettibile di avere un prezzo[6]?

Direi proprio di sì, atteso anche il fatto che concetti, idee e pensieri (specie quelli di buona qualità…) sono certamente disponibili in quantità relativamente limitate e che - di conseguenza - spesso hanno un “prezzo” (magari non sempre adeguato…) e soprattutto anche un “costo” (questo probabilmente sempre troppo alto).

Dunque se concetti, idee e pensieri sono dei “beni” (e qualche volta dei “beni economici”) e se concetti, idee e pensieri sono soggetti – come lo sono - anche alla “circolazione” è ipotizzabile che anche per loro possa essere applicato il concetto di “dàzio”? Ma ci siamo avvicinati troppo a discipline che non volevamo evocare perciò lasciamo l’economia bene da parte una volta tanto.

Si è detto che il “dàzio” è qualcosa che si dà, che si consegna (e che viene richiesta) con lo scopo – o la speranza – di garantirsi una certa chance di “circolazione”, ovvero un certo grado di libertà di muoversi, di spostarsi all’interno di un determinato ambito.

Se ci pensiamo bene la stessa cosa vale per i concetti, per le idee e per i pensieri nel momento in cui cerchiamo di farli “muovere” all’interno di un ragionamento, di una argomentazione o di una narrazione.

Provo a spiegarmi: quando partecipiamo a una discussione, a un dibattito, a un confronto quanto – delle nostre idee, dei nostri pensieri, delle nostre argomentazioni - siamo disposti a “dare” (a concedere) alla controparte affinché questa permetta che le nostre idee, i nostri pensieri, le nostre argomentazioni si muovano liberamente verso (e all’interno) le proprie?

E poi reciprocamente: quanto noi ci aspettiamo che la nostra controparte sia disposta a concedere affinché noi accettiamo che quelle idee, quei pensieri, quelle argomentazioni si muovano liberamente verso le nostre?

ogni ragionamento, ogni argomentazione, ogni confronto si basa sulla accettazione della necessità di accordarsi su una specie di “dazio concettuale” reciproco

Probabilmente ogni ragionamento, ogni argomentazione, ogni confronto (sincrono o asincrono che sia) si basa sulla accettazione della necessità di accordarsi su una specie di “dazio concettuale” reciproco: cedere qualcosa affinché un’idea, un pensiero, una argomentazione abbia la chance di muoversi, di spostarsi da chi la possiede verso gli altri (in termini di Teoria Generale per l’Intelligence delle Fonti Aperte si potrebbe dire: “dalla Fonte verso il Network delle Fonti”).

Ma dopotutto funziona allo stesso modo anche in contesti più individuali: probabilmente anche quando – all’interno di uno stesso singolo ragionamento - cerchiamo di trovare la quadra tra due ipotesi tra loro in contrasto stiamo ragionando in termini di “quanto” - concettualmente parlando - una ipotesi “ceda e conceda” all’altra (e viceversa) affinché vi siano maggiori chance di arrivare a soluzione bilanciata.

Ed è qui che, come si suol dire, nasce spontanea la “domanda sotto l’ombrellone” numero “zero”: se fossimo (molto) più bravi ad accordarci reciprocamente sui “dazi concettuali” potremmo sperare, un giorno, di alleviare il peso e gli effetti di quelli “commerciali”?

Quel che è certo è che l’estate, più che di risposte certe, è sempre stata foriera di interrogativi e perplessità. Talvolta anche di cocenti delusioni. Ma non siamo più adolescenti, quindi speriamo proprio non sia questo il caso.


Note

[1] Anche (soprattutto) a causa di palese deficit di competenza da parte dell’Autore!

[2] https://www.treccani.it/vocabolario/dazio/

[3] Nocentini, A., con la collaborazione di Parenti, A., l’Etimologico. Vocabolario della lingua italiana, Le Monnier, 2010

[4] https://www.treccani.it/vocabolario/dato/

[5] https://www.treccani.it/vocabolario/circolare2/

[6] https://www.treccani.it/vocabolario/bene2/

Pubblicato il 15 agosto 2025

Giovanni Nacci

Giovanni Nacci / Autore - Ufficiale della Marina Militare in Congedo - Coordinatore presso Osservatorio per le Fonti Aperte - Intelligence Lab, Unical

giovanninacci@giovanninacci.net