Nell’era delle macchine ci siamo ormai virtualizzati, “vagoliamo” sperduti tra e dentro gli schermi come pura materia elettrica fatta di bit, attraverso i nostri profili disincarnati, immersi dentro un presentismo malato (ispirantesi anche a forme meditative orientali), senza passato e luoghi a cui tornare, di cui sentire nostalgia. La nostalgia come sentimento di una mancanza/assenza, nell’era delle macchine è sempre più rivolta a eventi e vite altrui che sperimentiamo nei metaversi online, dopo avere estromesso qualsiasi esperienza sensoriale incarnata.
Le nostre vite digitalizzate, asservite allo schermo e all’algoritmo, riprodotte ripetitivamente e continuamente estetizzate, hanno trasformato anche la nostalgia in un ricordo mediato che idealizza e semplifica, da consumerizzarsi (fenomeno #TBT - Throwback Thursday -, vaporware e revival dell’analogico) come prodotto da vendere.
Tutto questo succede in un periodo storico che ha assorbito nel presente il passato e il futuro, un presente nel quale la nostra identità di europei e occidentali è entrata in una profonda e per alcuni irreversibile crisi, suggerendoci di riflettere e discutere sul nostro rapporto con il passato. Farlo significa discutere dei Greci (e non solo visto gli effetti delle varie Cancel Culture di destra e di sinistra) e del nostro multiforme rapporto che ci lega a loro per trovare l’aiuto di cui abbiamo bisogno per decifrare il tempo caotico che stiamo attraversando. La modernità ha bisogno del mondo antico, l’antichità è un elemento costituente del presente. Affogata nel presentismo attuale la modernità vive una situazione di crisi, di disincanto, di nostalgia crescente che per essere soddisfatta comporta un ritorno alle origini.
Di questo e di altro ho parlato, in forma di intervista, con il Prof. Mauro Bonazzi, autore del libro “Il demone della nostalgia – L’invenzione della Grecia da Nietzsche ad Arendt.
Pur avendo letto con attenzione la sinossi e l’indice, e sfogliato il testo, il suo libro mi si è rilevato diverso rispetto a quello che pensavo, forse per questo l’ho scoperto essere molto interessante, utile e istruttivo. La prima impressione è di essermi ritrovato collocato in un periodo storico ben preciso, ma dentro la realtà attuale, con la differenza che, rispetto ai tempi storici del libro, gli intellettuali a cui fare riferimento non si sa dove siano, anche perché la filosofia di questi tempi non vive tempi felici. Il passato non è mai neutro e ogni sguardo che è rivolto all’antico è sempre uno specchio del presente. Questo vale a maggior ragione in un periodo storico che ha cancellato il passato e vive nel presente. Non si può rimuovere il passato, il rimosso ritorna sempre, il problema nasce quando il passato diventa qualcosa di comodo e di inventato, sulla base di proprie aspettative e (ri)letture della realtà, in funzione di propri bisogni e finalità. Lei ha raccontato un periodo storico nel quale in vari modi si è andati alla ricerca dei valori e degli ideali dei Greci. Questa ricerca sembra completamente assente oggi, eppure le similitudini storiche, sociali e politiche tra le due epoche storiche sono molte. Cosa ne pensa? Quanto sarebbe utile oggi una ricerca valoriale e ideale nel passato del classicismo e dell’antica Grecia? Chi dovrebbe compiere questa ricerca? I filosofi? Da soli?
Non sono sicuro che oggi non si vada più in cerca dei valori degli antichi. In un certo senso è così. In un altro, però, è il contrario e gli antichi vengono continuamente richiamati in causa per giustificare le nostre idee in modo strumentale. Accade insomma il contrario di quello che dovrebbe succedere: invece di provare a capire gli antichi nella loro distanza gli attribuiamo le nostre idee così da poterle ammantare di una autorevole conferma. Una causa di questo atteggiamento, forse la più importante, credo che sia la grande crisi identitaria che stiamo vivendo. Non è chiaro chi siamo, quale sia la nostra tradizione: e questa incertezza ci spinge a serrare i ranghi.
Del resto, vale la pena di osservare che questo modo di appropriarsi degli antichi non è del nostro tempo soltanto. La maggioranza dei pensatori di cui mi sono occupato del libro – il caso di Heidegger è forse il più eclatante, ma di certo non il solo – hanno più o meno fatto lo stesso (in modo infinitamente più raffinato). Per non parlare dei politici e ideologi vari (penso in particolare a quelli fascisti o nazisti) o al loro uso smaccatamente strumentale dell’antichità (latina per gli italiani, greca per i tedeschi).
In un mondo dominato dall’informazione la conoscenza sembra essere diventata merce rara, anche la conoscenza di sé. Considerandoci sapienti perché sempre connessi a dati e informazioni (oggi anche grazie all’IA) pensiamo di sapere, anche se in realtà non sappiamo, siamo dentro bolle informative (camere dell’Eco) che agiscono cognitivamente, sul nostro inconscio e sui nostri comportamenti, impedendoci di por(re)ci domande, di elaborare pensiero critico e di tornare a pensare (con la mente – logos – e con il corpo - metis). In un mondo dominato da narrazioni conformistiche e omologate della realtà, da false notizie e false verità, non siamo più capaci di capire che le cose non sono come appaiono. Mai come oggi ci sarebbe bisogno di filosofi, non più isolati nelle loro residenze (torri) a elaborare teorie, ma capaci di tradurle, condividerle, metterle in pratica e di comunicarle con ciò che oggi sembra il valore meno praticato, il coraggio. Il suo libro racconta il coraggio (la forza) che animava tanti pensatori del passato (di cui bisognerebbe avere nostalgia), filosofi, poeti e letterati che hanno vissuto sulla loro pelle le conseguenze delle loro idee, in un periodo in cui l’Occidente era alla ricerca delle sue origini per capire il presente e costruire il suo futuro. Ci può contestualizzare questo periodo e raccontarci qualcosa sui (sulle) protagonisti da lei eletti a testimoni (alcuni noti e altri molto meno, seppure dall’elevata rilevanza storica e filosofica) della sua riflessione?
Nel libro ci sono in effetti molti esempi di pensatori capaci di andare contro il loro tempo. Quello che rende interessanti queste storie è un dettaglio solo in apparenza secondario. I pensatori di cui parlo, da Husserl a Adorno, da Bespaloff a Arendt, da Auerbach a Strauss e oltre, sono stati costretti a prendere posizione contro il loro tempo, per i motivi più diversi (anche se poi tutti riconducibili al problema dell’antisemitismo). I casi come quello di Husserl o Auerbach sono forse i più illuminanti: due professori, affermato il primo destinato a una luminosa carriera l’altro, che improvvisamente vengono esclusi da un sistema in cui si erano perfettamente integrati. Ed è questo sconvolgimento che li spinge a riflettere in modo così acuto sulla crisi di valori che sta imperversando in Europa – una crisi che in precedenza non avevano voluto vedere. Paradossalmente, invece, quei filosofi che non sono voluti rimanere nella loro torre d’avorio, ma hanno voluto occupare il centro della scena pubblica (penso ad esempio a Heidegger, Jaeger, o Wilamowitz) sono quelli che più arbitrariamente hanno abusato del mondo antico.
Diceva bene Panofsky, citando Goethe, in un bellissimo elogio della torre d’avorio: prendere le distanze dal proprio tempo, a volte, serve a vedere le cose in modo più chiaro (che poi non è diverso dal messaggio di Italo Calvino nel Barone rampante).
Il tema centrale del suo libro è il rapporto che l’Europa, nella cultura filosofica e intellettuale tedesca e Occidentale, ha con la Grecia antica. Una Grecia mai oggettivamente storica e sempre idealizzata, attraverso interpretazioni, mitologie, nostalgie, invenzioni, forzature ideologiche, ecc. Il tutto usato quasi sempre per costruire modelli di riferimento o elaborare una critica, sempre alla ricerca di conferme o conforto nei momenti di crisi della modernità. Scandito in cinque momenti storici, il suo libro ha esplorato il lavoro intellettuale di pensatori che al pensiero greco si sono ispirati per indicare origini, modelli morali, canoni estetici, forme di vita, ideali ecc., utili ad affrontare le tensioni, le crisi e i drammi della modernità. Pensatori come Nietzsche, Arendt, Heidegger, Husserl, Adorno, Auerbach, Weil e molti altri. Gli elementi critici emergenti dalla sua riflessione sono molteplici. Ne indico alcuni: per la Grecia c’è (stata) vera nostalgia o molta invenzione e quanto queste invenzioni sono/furono consapevoli o inconsce? La Grecia è stata usata come simbolo politico, non pensa che possa essere usata sia per idealizzare posizioni liberali sia nazionalistiche, autoritarie e/o razziste? La nostalgia di cui parla non è cosa del passato, ha un peso anche nel nostro presente, con quale ruolo? Non è che in tutte queste operazioni nostalgiche si finisca per semplificare, idealizzare e far rivivere una Grecia che non c’è mai stata?
È in effetti la tesi del libro, come si ricava anche dal sottotitolo (L’invenzione della Grecia da Nietzsche a Arendt). Ognuno di questi grandi pensatori (e non solo loro) ha in fondo ricreato una Grecia per molti versi immaginaria, come strumento ermeneutico, per poter fare chiarezza nel proprio tempo. In questo senso parlare di ‘invenzione’ della Grecia non è così negativo come potrebbe sembrare di primo acchito. In fondo si tratta di un’operazione consapevole – e non partiamo solo di costruzioni fittizie, ma anche di tagli prospettici diversi, del fatto che si scelgono alcuni aspetti e non altri.
Un caso interessante è quello di Hannah Arendt, che era solita citare un verso di un poeta francese, René Char, per spiegare il suo rapporto con gli antichi: «la nostra eredità non è preceduta da nessun testamento». Voleva intendere che dopo la catastrofe del totalitarismo e delle guerre mondiali la nostra tradizione non poteva più rivendicare alcuna superiorità culturale o morale, e questo apriva nuovi modi di ritornare al passato, non più vincolati dalle chiavi di lettura tradizionali. Come una «pescatrice di perle» (per riprendere una definizione che aveva usato per il suo amico Walter Benjamin) Hannah Arendt era così stata capace di evidenziare alcuni aspetti del mondo antico (in particolare la difesa di una vita politica) che fino a quel momento non avevano goduto di grande considerazione.
Ma è anche vero che queste operazioni possono anche dare adito a fenomeni di ipersemplificazione, che non aiutano a capire proprio nulla. Di nuovo, il caso di fascisti e nazisti è tragicamente esemplare.
Guardare all’umanesimo, alla cultura classica, al ruolo assegnato alla scuola centrata sul predominio delle lingue classiche che si impose in tutta Europa, suggerisce il tentativo di tenere insieme l’Europa occidentale, superando frammentazioni politiche, in nome dell’unità culturale e spirituale. Il progetto non sembra essere esaurito, il suo rilancio è diventato urgente, ma quale Grecia potrebbe oggi emergere come punto di riferimento? La Grecia ellenica di Atene, Platone e Socrate, del Logos, o la Grecia arcaica, primitiva, dominata da pulsioni, violenza, istinti, ecc. che piaceva tanto a Nierzsche? Se si guarda ai fatti di oggi a prevalere non può essere che la seconda. E se, per uscire fuori dalla crisi occidentale ed Europea, la Grecia non bastasse più, ma servisse allargare lo sguardo a culture millenarie diverse dalla nostra ma forse oggi più in sintonia con la realtà di un mondo (geo)globalizzato, multiculturale, attento alle fenomenologie del Sud del mondo? Per fare questo bisognerebbe riuscire a liberarsi dai nostri pregiudizi sulla superiorità della nostra cultura (greca) e rivalutare il ruolo che sempre i Barbari (oi βάρβαροι), hanno avuto nella nostra storia europea. In fondo anche i Dorici ai Tedeschi dovevano apparire Barbari prima che fossero descritti come ariani e biondi. Cosa ne pensa e che ruolo dovrebbero avere oggi i filosofi Europei in questo potenziale abbraccio extra-europeo?
Da un certo punto di vista è proprio quello che sta succedendo, se guardiamo al campo degli studi di antichistica. Si stanno allargando gli orizzonti e sempre meno persone credono al mito del «miracolo greco» – all’idea che la civiltà greco-romana si fosse sviluppata indipendentemente da quello che stava accadendo nel resto del bacino mediterraneo. Emerge così una storia di scambi e prestiti, e non solo di guerre. Questo da un punto di vista storico.
Dal punto di vista filosofico, la questione è più delicata. Una delle ambizioni principali della civiltà europea e occidentale è la sua vocazione universalista – l’ambizione di delineare una serie di valori che possano valere per tutti, al di là dei condizionamenti storici. È una sfida interessante, e per certi versi condivisibile, che però rischia anche di prestare il fianco all’accusa di colonialismo. Husserl è un caso interessante, tra quelli discussi nel libro. Nel 1935 si oppone al nazismo insistendo sul valore universale della filosofia europea. Oggi, però, queste affermazioni rischiano di risultare problematiche, nella misura in cui celebrano una presunta superiorità dell’occidente. Ma davvero dobbiamo rinunciare alla ricerca di valori e principi universali? Vedremo come andrà a finire…
Infine, se ha tempo per un’altra domanda, mi piacerebbe che lei potesse condividere con i naviganti della STULTIFERANAVIS una sua prima impressione sul progetto. Stanchi delle piattaforme, nostalgici del WEB dei suoi inizi, convinti del disincanto crescente verso la tecnologia (e non solo), noi siamo convinti che la soluzione sia nell’investire sulla lettura e sulla scrittura, sulla conoscenza (basta con la semplice informazione!), sulla (tecno)consapevolezza e sulla responsabilità, senza visioni apocalittiche ma puntando sul principio speranza (Hans Jonas). Per noi un modo per contrastare l’individualismo e l’egoismo imperanti sta nel riscoprire, non la Grecia ma la comunità, la cooperazione e la solidarietà. A oggi la nave contiene già mille contributi. Se della nave ha una buona percezione, la invito a salire a bordo. Grazie per questa opportunità offertami per questa intervista.
Onorato di fare parte di questa comunità! Non potrei essere maggiormente d’accordo (e mi permetterei in aggiunta di sottolineare l’importanza della lentezza come antidoto a quella sensazione di emergenza permanente che impedisce di pensare serenamente ai problemi).
L’autore
Mauro Bonazzi insegna Storia della filosofia antica presso l'Università di Bologna, dopo aver insegnato presso l’Università statale di Milano. Ha insegnato anche a Clermont-Ferrand, Bordeaux, Lille e all'École Pratique des Hautes Études di Parigi. Specialista del pensiero politico antico, di Platone e del platonismo, tra le sue pubblicazioni ricordiamo: I sofisti (Carocci, 2010), Platone, Menone e Fedro (Einaudi, 2010 e 2011), À la recherche des Idées. Platonisme et philosophie hellénistique (Vrin, 2015), Il platonismo (Einaudi, 2015), Atene, La città inquieta (Einaudi, 2017), Piccola filosofia per tempi agitati (Ponte alle grazie 2019) e Creature di un sol giorno. I greci e il mistero dell'esistenza (Einaudi, 2020), Passato (Il mulino 2024).