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Una libera trasposizione del mito della caverna di Platone

E continuai:

  • Paragona la nostra natura, per ciò che riguarda le cose e il numerarle, a un’immagine come questa. Dentro una culla soffice, ampia e panciuta come un piccolo vascello, considera di vedere un uomo che vi stia adagiato fin da fanciullo, tenuto da forze invincibili all’interno dell’orlo morbido che tutt’intorno il suo sguardo circoscrive, sì da non potere scorger nulla oltre ad esso, eccetto il cielo. Immagina che quest’uomo non sia un neonato, né un vecchio, non giovane né adulto, né maschio né femmina: solo un uomo, sdraiato in una culla. Un corpo che giace, ventre in su. Per tutta la vita non ha fatto che rimirare la cupola azzurra. Nei suoi occhi hanno abitato il sole di giorno e di notte la luna lucente in un orbe di fredde scintille, unico astro alla sua immaginazione. E anche altro: le nuvole. Cumuli e cirri, lattiginose scie versicolori, scure criniere di cavalli e velli grigiastri d’ariete, greggi veleggianti fra altissime torri, grumi che sfilacciano e s’addensano, s’ingrossano, si fondono, incombono, poi scorrono, sfioccano, sfumano, si disfano nel blu incorrotto, e più avanti riappariranno tutt’affatto diverse.
  • Vedo – rispose.
  • Pensa a quest’uomo, alla venerazione con cui sta sotto il cielo che gli dà la vita, il calore, il respiro, che gli toglie la sete e la fame.
  • Strana immagine è la tua, e strano è quest’uomo.
  • Somiglia a noi – risposi. – Pensa alla sua devozione per il fuoco divino che gli ruota intorno nello spazio, e nella cadenza di luce e buio che si ripete dà il principio dell’ordine elementare. Pensa alla curiosità del suo intelletto per le geometrie immutabili delle stelle. Pure, cosa credi ch’egli possa attendere con più febbrile passione per l’inesauribile meraviglia? Forse il soleluna e le stelle fisse che sempre ritornano puntuali e identici?
  • No di certo, per Zeus! – replicò. – Di sicuro egli più desidera il manifestarsi dei nembi, incostanti compagni d’avventura del suo animo.

L’uomo brama le nuvole, curioso con ansia le attende. 

  • Dici bene. L’uomo brama le nuvole, curioso con ansia le attende. E quando finalmente giungono non può fissarsi su questa o su quella, ché si legano e sciolgono in un moto continuo e nulla di stabile che dia appiglio alla tentazione. Non può distinguerne un animale o un volto assai a lungo da pensare di conoscerlo, ché poco dopo già in tutt’altre sembianze ha preso il volo. Mai potrà dare un nome a qualchessia. Come Proteo è il bianco vapore, Mnemosine non lo cattura, né lo stesso padre Zeus. A tratti l’uomo nella culla crederà di ravvisare una figura che si ripete, due strie attraversate da una terza o un branco che galoppa rapido da nord, e quando si evoca qualche reminiscenza l’uomo proverà un tuffo al cuore, spalancherà gli occhi illusi d’aver trovato la Legge. Ma tosto tutto cederà di nuovo al mutamento, la regola cadrà, il desiderio inesausto riprenderà le redini. Dunque non credi tu che per l’uomo nella culla che ama e insegue le nuvole nessuna cosa di forma compiuta che si può contare abbia importanza?
  • Certo, nessuno – rispose. – Perfino i giorni scanditi dall’astro si perdono nel ricordo come la pioggia nel mare.
  • Esamina ora quanto i sentimenti degli esseri umani siano simili a quelle nubi, flussi cangianti ognora, figure vaghe dai fluidi confini, e quanto vano sia, come per quelle, ogni sforzo di fissare, imprigionare, misurare.
  • Dici il vero.
  • E considera come una nube e un’altra incontrandosi siano meno di due, e come il corpo del maschio e quello della femmina possano diventare più di due, e quanto altro sulla nostra strada sia del pari ambiguo e inafferrabile, di confini irrispettoso, sconosciuto al numero.
  • Così penso anch’io – rispose.
  • Che cosa credi succederebbe a quell’uomo se dagli dèi gli fosse donata l’occasione di valicare il ciglio e viaggiare nelle nostre terre, dove apprendesse gli insegnamenti di Pitagora, le figure d’Euclide, la congruenza, l’algebra, l’identità, e tornato alla sua scoperta dimora egli intendesse applicare tali lezioni alle sue aeree complici, a tutti i costi intenzionato a dedurre dal corso del vento leggi e costanti per vaticinare il futuro, ossessionato dalla ricerca di un ordine dove ordine non può esistere? Non credi che così facendo egli si voterebbe a un compito irrealizzabile e perciò a una sicura infelicità?
  • Sì, certo.
  • E allora, se noi siamo come quell’uomo, e delle nuvole è gemello il mondo fuori e dentro il nostro petto, non è evidente che appena tracciamo in esso rigidi confini quest’atto arbitrario segna l’inizio di una sofferenza, la condizione di un maggior dolore, una semina di delusioni, vani controlli e attese scoraggianti, e il sogno della perfezione eterna genera una prole nefasta di scarti e d’errori che fra loro oscuramente si moltiplicano congiurando la nostra rovina? Non vedi tu altrimenti che ovunque pullula di nutrimento e d’amore, in cielo, in mare e in terra, ma che nessuno di noi uomini distratti, assorti in ideali di assoluto, sappiamo riconoscere questo nutrimento ed accogliere questo amore, e così facciamo per sempre inquieti e miseri noi stessi e gli altri?
  • Certamente, io lo vedo.

Stefano Diana

Stefano Diana / Researcher | writer | creative | comp-sci // CCO, Mnemonica

stefanodiana.inc@gmail.com