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Ridere è una di quelle azioni che facciamo senza pensarci troppo. Un gesto semplice, spontaneo, quasi automatico. Ma dietro quella leggerezza si nasconde qualcosa di più complesso. Perché non tutte le risate sono uguali, e non tutte ci portano nello stesso posto. C’è la risata che ci distrae e quella che ci rivela qualcosa. La differenza? Sempre la stessa: il significato che scegliamo di darle.


A ricordarci quanto l’umorismo possa essere una questione seria è stato Viktor Frankl, psichiatra, filosofo e sopravvissuto all’Olocausto, che tra le baracche di un campo di concentramento scoprì che ridere poteva essere una forma di libertà. Non quella che cancella il dolore, ma quella che ti permette di guardarlo con uno sguardo diverso. Per Frankl, l’umorismo era una passeggiata dalla sofferenza, un modo per non perdere se stessi quando tutto intorno crolla. L’umorismo non sempre è evasione: può essere una forma di resistenza. 

L’umorismo non sempre è evasione: può essere una forma di resistenza. 

Ma non tutte le risate hanno lo stesso “peso specifico”, e questo lo spiega perfettamente Pirandello, con la sua distinzione tra il comico e l’umoristico. Il comico ci fa ridere di ciò che appare buffo. L’umorismo vero inizia quando, dopo aver riso, arriva quella riflessione che cambia tutto. È la risata che scava sotto la superficie, che ci fa intuire la fragilità dietro l’apparenza. Alcune risate finiscono subito, altre lasciano il segno. 

C’è la risata che nasce dal superamento della tragedia di Nietzsche, che ci porta ancora più in profondità. Per lui, ridere non è un diversivo, ma un atto di coraggio: l’ultima parola di chi ha guardato in faccia l’abisso e ha scelto comunque di sorridere. Una risata tragica, consapevole, ben distante dalla leggerezza inconsapevole. 

La risata che, con ironia, diventa strumento di indagine di Socrate. Non serve solo a sopravvivere, ma a scoprire. Col sorriso di chi “non sa nulla”, Socrate smonta certezze con una semplicità disarmante. La sua ironia non fa ridere per divertire, ma per aprire spazi di verità. 

Infine, con Aristofane, esiste la risata che esce dalle case e dai pensieri individuali per salire sul palco e diventare satira sociale. Una risata pubblica, collettiva, capace di far riflettere un’intera polis sulle proprie contraddizioni. 

E oggi?

La nostra risata è diventata digitale, veloce, globale. I meme sono la nuova forma di commedia collettiva. Non c’è più il palco di Aristofane: tutti partecipano, tutti creano, tutti condividono. È la democratizzazione della risata. 

Curioso pensare che il termine “meme” sia nato lontano da internet, quando nel 1976 Richard Dawkins lo usò per descrivere le idee che si diffondono culturalmente come i geni si trasmettono biologicamente. Nessuno immaginava che quella parola sarebbe diventata sinonimo di immagini ironiche e battute lampo. 

I meme digitali sono l’incarnazione perfetta di quella teoria: idee che si replicano, si adattano e viaggiano a una velocità mai vista prima. E tra tutti i veicoli culturali, l’umorismo si è rivelato il più efficace. Perché nulla si diffonde meglio di una risata. 

C’è qualcosa di straordinario in questo: mai nella storia l’umorismo è stato così accessibile e universale. La battuta non è più appannaggio di pochi, ma circola libera, senza confini, in una commedia collettiva continua. 

Ma è proprio questa forza che porta con sé il rischio più grande: la velocità e la sintesi svuotano la risata del suo potenziale riflessivo. I meme vivono di frammenti, di intuizioni rapide, di pensiero ridotto all’osso. Dove una volta la risata era un invito a fermarsi, oggi è un segnale per scorrere oltre. 

Come scriveva Italo Calvino: “La leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto”. Ecco, i meme ci fanno planare, sì, ma spesso senza mai atterrare. Una leggerezza che rischia di non essere scelta consapevole, ma semplice abitudine a non approfondire. 

Non è una condanna ai meme. È solo il riconoscimento del loro doppio volto: possono essere scintille di intelligenza collettiva o diventare una collezione infinita di sorrisi senza memoria. 

Alla fine, anche la risata – quella cosa leggera per eccellenza – esiste solo per il significato che le diamo. 

Può essere un riflesso, una fuga o uno sguardo profondo sul mondo. Non cambia la risata. Cambia lo sguardo di chi la vive. 

E forse è proprio questo il paradosso più affascinante: che la leggerezza più autentica nasce solo quando sappiamo darle peso.


Pubblicato il 30 aprile 2025

Matteo Giarrizzo

Matteo Giarrizzo / Head of Media & Digital Italy & Greece | Marketing Communications, New Media

mgiarrizzo@gmail.com