Secondo Foucault, «non esiste probabilmente cultura al mondo che non produca eterotopie. È una costante di ogni gruppo umano» (1984–2011, p. 25). Questi spazi, pur inseriti nella struttura sociale, seguono logiche proprie e rappresentano al tempo stesso una forma di contestazione e di riproduzione dell’ordine esistente. Foucault ne propone una classificazione in due grandi categorie, illustrando esempi come lo specchio, la nave o i cosiddetti “non-luoghi”. Nelle società cosiddette “primitive”, il filosofo individua una forma di eterotopia di crisi, ovvero spazi riservati a soggetti in transizione rispetto alla norma sociale: adolescenti, donne durante il ciclo mestruale, partorienti, anziani, ecc.
Le eterotopie sono luoghi concreti, ma funzionano come "altrove" rispetto agli spazi comuni della vita sociale.
Tra le eterotopie più emblematiche, Foucault identifica i cimiteri: luoghi ambigui, in quanto separano i morti dai vivi ma, al contempo, accolgono e riorganizzano il senso di comunità attorno alla memoria e al rito. L’analisi delle pratiche cimiteriali e del modo in cui ogni cultura elabora la memoria collettiva permette di cogliere visioni differenti della finitezza, dell’eredità e del futuro. Come ogni società affronta la morte e il passaggio tra generazioni rivela molto della sua struttura e del modo in cui percepisce il tempo, il cambiamento e la progettualità.
Nel caso del cimitero Assistens di Copenaghen, diventato recentemente oggetto di attenzione sui social, la morte è vissuta come parte integrante della quotidianità. Integrato nel tessuto urbano, il cimitero non monumentalizza la fine della vita, ma la accoglie in modo discreto e naturale nel paesaggio, riflettendo una visione ciclica dell’esistenza. La memoria individuale non assume un carattere eccezionale o solenne, ma si disperde dolcemente nella memoria collettiva, senza necessità di simboli imposti.
In Italia, al contrario, la morte è affrontata con solennità e formalità. I cimiteri sono spazi separati e monumentali, destinati a custodire in modo duraturo la memoria dei singoli. La morte è percepita come una frattura, e il rito funebre rappresenta uno strumento per contenere ed elaborare il trauma. La memoria collettiva si costruisce attraverso forme simboliche e durature, che cercano di prolungare l’influenza del defunto attraverso segni tangibili.
le eterotopie hanno la capacità di sovrapporre in un unico spazio reale diversi luoghi incompatibili tra loro
Questa separazione tra vita e morte si riflette anche nelle pratiche commemorative italiane, che non solo ricordano, ma ribadiscono una continuità simbolica tra passato e presente. L’eredità assume così il carattere di un dovere morale: un legame da mantenere vivo e onorare, vincolando le generazioni future al rispetto e alla conservazione della memoria.
Le differenze tra il modello danese e quello italiano si riflettono anche nella concezione dell’eredità e nella relazione tra memoria individuale e collettiva. Nei cimiteri danesi, la memoria personale tende a dissolversi nel flusso collettivo, integrandosi nel paesaggio urbano come traccia quotidiana della vita. Non esiste un’idea di eredità come obbligo, ma piuttosto una continuità leggera, che non grava sul futuro con un peso simbolico. La memoria è parte di un ciclo naturale che accetta il cambiamento.
In Italia, invece, la memoria collettiva è più istituzionalizzata e selettiva. Monumenti, mausolei e rituali sanciscono una netta separazione tra la vita e la scomparsa. L’eredità assume un valore di custodia e riconoscimento: non solo conservare il passato, ma giustificare la sua influenza sul presente. Questo modello costruisce un futuro fortemente vincolato alla memoria del passato, dove ogni cambiamento deve essere legittimato da una continuità simbolica.
Nel contesto danese, la memoria non essendo gravata da obblighi monumentali, permette di immaginare un futuro fluido e aperto alla trasformazione. Il passato si fonde con il presente e il futuro in un processo che non ostacola l’innovazione. In Italia, invece, il futuro è condizionato da un’eredità pesante, che rende ogni passo potenzialmente conflittuale con la tradizione. La progettualità è così pervasa da una tensione tra conservazione e rinnovamento. Le pratiche funerarie italiane esprimono questo contrasto, tentando di esorcizzare la morte ma trattandola sempre come una frattura irrisolta.
Le eterotopie sono spesso associate a momenti di crisi o deviazione rispetto alla norma sociale
Nella prospettiva di Foucault, la memoria e l’eredità possono essere intese come dispositivi di potere e conoscenza, che operano in modo diverso nelle due culture. In Italia, memoria e commemorazione sono spesso strumenti di regolazione simbolica e sociale. La costruzione e la conservazione della memoria collettiva assumono la forma di una gestione del tempo e della storia, che legittima il potere politico e culturale delle istituzioni. La progettualità collettiva si lega così alla tutela e alla sacralizzazione del passato, che non può essere dimenticato, ma deve essere costantemente rinnovato e trasmesso.
Nel cimitero Assistens, invece, la memoria individuale è riconosciuta, ma non subordinata a un meccanismo di controllo sociale. Come osserva Foucault in La storia della sessualità (1976), le pratiche quotidiane e il modo in cui vengono integrate nella vita civile sono essenziali nella formazione del soggetto. In questo contesto, il ricordo non è monumentalizzato, ma inserito nel paesaggio urbano in modo da permettere un confronto naturale con il passato, senza obblighi rituali o commemorativi. La memoria è fluida, non vincolante, e lascia spazio alla trasformazione.
La percezione del futuro si inserisce in questi due modelli culturali in modo diametralmente opposto. In Danimarca, dove la memoria non è vissuta come vincolo, il futuro appare come uno spazio aperto, modellabile, in cui è possibile rinnovarsi senza tradire il passato. Il tempo scorre come una continuità adattiva, libera da obblighi commemorativi, in cui la morte non rappresenta un’interruzione traumatica, ma una fase naturale dell’esistenza.
In Italia, al contrario, il futuro è segnato dal peso della memoria, che Foucault avrebbe definito un dispositivo di governo della vita e della morte. La commemorazione diventa un atto necessario di rispetto e conservazione, e l’eredità, un vincolo morale e culturale che grava non solo sull’individuo, ma sull’intera comunità. Il futuro si trasforma così in un campo minato: ogni passo rischia di infrangere un ordine simbolico che pretende di essere custodito.
Le eterotopie possono essere spazi di isolamento, esclusione o resistenza, ma anche di compensazione, perfezione o illusione rispetto al mondo esterno
Questo confronto rivela quanto il rapporto con la finitezza, la memoria e l’eredità influenzi profondamente la capacità di progettare. Dove la memoria è un vincolo da perpetuare, il futuro è qualcosa da difendere, da gestire, da proteggere. Dove, invece, la memoria è parte integrante del quotidiano, il futuro diventa uno spazio di trasformazione, in cui la morte è accolta e non temuta, e la continuità si fonda sull’adattamento, non sulla conservazione.
In quest’ottica, la governamentalità – altro concetto chiave di Foucault – si manifesta nei modi in cui le società organizzano la vita, la morte e il tempo. È in queste dinamiche che si gioca la direzione dell’evoluzione collettiva e la qualità del rapporto che ogni cultura intrattiene con il proprio passato e con il proprio avvenire.
Il confronto tra i modelli funerari danese e italiano evidenzia come il rapporto con la memoria e con la morte non sia mai neutro, ma rifletta precise strutture culturali e politiche. Se da un lato l’integrazione discreta del passato nel quotidiano, come accade nel caso danese, apre spazi per una progettualità più fluida e adattiva, dall’altro la monumentalizzazione del ricordo, tipica del contesto italiano, insiste sulla continuità simbolica e sulla preservazione dell’ordine. Entrambi i modelli mostrano limiti e potenzialità, ma soprattutto indicano quanto il modo di organizzare il tempo – tra ciò che è stato e ciò che verrà – sia una scelta culturale che definisce profondamente il modo in cui una società pensa se stessa. In questo senso, l’eterotopia cimiteriale non è solo un luogo “altro”, ma un osservatorio privilegiato per comprendere la forma che assume il presente nel suo dialogo con il passato e la sua apertura al futuro.