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Il sentimento del reale: con quest’espressione Donald Winnicott – lo psicoanalista che ha cambiato il nostro modo di pensare che cos’è un bambino, il significato della violenza delle emozioni, come diventare sé stessi – apre a una dimensione dell’esperienza che riguarda il sentirsi vivi. Il volume contiene scritti inediti di Winnicott, scelti tra quelli più in sintonia con le inquietudini del nostro tempo. Ne emerge un Winnicott determinato a proporre le novità che ritiene di avere introdotto nella psicoanalisi: il “primitivo” nella formazione della psiche, l’inconscio come inesauribile riserva di energie, le affinità con il lavoro degli artisti che attingono all’immaginazione per conquistare il sentimento del reale.


C’è un leone dentro ognuno di noi. Non è una metafora edificante, né un invito a credere di essere forti: è una constatazione biologica e psichica. Istinto, fame, rabbia, bisogno. Donald Winnicott, medico e psicoanalista dalla mente libera, sapeva vederlo e non si affrettava a mettergli una museruola.

Ma – differenza non banale – sapeva anche che, a differenza del leone, l’essere umano possiede immaginazione. E proprio lì, nel divario tra il morso e il sogno, si apre quello che Winnicott chiamava “il sentimento del reale”.

Il sentimento del reale è anche il titolo del volume curato da Sara Boffito e Anna Ferruta, che raccoglie testi inediti del grande clinico inglese. Non si tratta di scritti limati o compendiati: sono trascrizioni vive, non ancora levigate dalla sistemazione teorica. Seminari improvvisati, registrazioni radiofoniche, lampi aforistici, clinica parlata. Winnicott qui non insegna: dialoga. Pensa mentre respira, mentre cerca parole che non addomesticano il pensiero.

Al centro della sua visione, come un cuore pulsante, c’è il gioco.

Ma il gioco – ammonisce Winnicott – non è evasione. Non è un lusso. È una necessità biologica. È il luogo psichico dove il bambino decide se può esistere davvero o se dovrà, invece, costruirsi un falso Sé per sopravvivere agli altri.

Nel gioco libero il bambino può odiare simbolicamente chi ama davvero. Può distruggere nella fantasia ciò che nella realtà desidera proteggere. Può mordere, nel sogno, senza divorare. Solo così, sperimentando nella finzione la ferocia del desiderio, impara a vivere senza dover distruggere per davvero.

Il gioco, dunque, non è solo la palestra della creatività: è la culla della realtà soggettiva.
Winnicott ci avverte: senza gioco, senza questo spazio terzo in cui reale e immaginato si sfiorano senza confondersi, non nasce il sentimento del reale. Nascono conformismo e maschere: il vuoto.

L'amore spietatoruthless love – è l’altro asse invisibile su cui ruota questa esplorazione.
Perché l’amore autentico, agli inizi, è crudele. Non conosce ancora la pietà: il neonato ama la madre senza sapere di poterle fare male. Azzanna, stritola, possiede. È, semplicemente, vivo.

E Winnicott non condanna questa spietatezza: la riconosce come sana, originaria, necessaria.
Il problema non è il morso: il problema è se il morso deve essere negato, represso, reso indicibile.
Se il bambino viene autorizzato a giocare con la sua forza, a provarla, a sognarla, allora potrà integrarvi la tenerezza. Se invece viene obbligato a saltare subito alla morale, la sua forza resterà nascosta e diventerà veleno.

Per Winnicott, il grande rischio è creare adulti che non sanno più giocare e che confondono l'aggressività immaginaria con l'aggressione reale. E allora – lo diceva nel cuore del Novecento e lo vediamo ancora oggi – l'umanità che non sa simbolizzare l'aggressività la agisce.
Non più nel sogno o nel teatro. Ma nelle piazze, nelle guerre, nei tribunali. Sui social network.

In uno dei testi più affascinanti raccolti nel volume, Incontrarsi per essere derubati, Winnicott riflette sul possesso come “furto” inconscio. La madre che ha latte e amore è, senza volerlo, una tentazione per il bisogno predatorio del neonato. Allo stesso modo, chi possiede beni o ricchezze nel mondo sociale diventa, inconsciamente, bersaglio di avidità e risentimento.

In un’acrobazia di pensiero, Winnicott collega la psicologia all’economia, la psiche individuale ai sistemi coloniali: l’Inghilterra imperiale che esponeva le sue colonie come trofei era come una madre che “lascia la borsa in giro” e si stupisce di essere derubata. Un pensiero spietato.
E profetico.

Oggi, in un tempo in cui la superficie ha divorato la profondità, il pensiero di Winnicott ci costringe a una domanda radicale: sappiamo ancora giocare?
Abbiamo ancora spazi in cui l’aggressività possa essere messa in scena senza devastare?
Abbiamo ancora luoghi dove l'immaginazione possa salvarci dalla violenza?
O abbiamo perso l’arte di abitare quello spazio potenziale, quel territorio fragile in cui si può amare senza sbranare?

Winnicott non ci dà soluzioni e non propone educazioni morali.
Propone qualcosa di più scandaloso: accogliere dentro di noi il leone. Non addomesticarlo, non negarlo. Imparare a lasciarlo ruggire nei sogni, nelle parole, nei giochi, nei gesti creativi.
Perché solo chi ha potuto distruggere nel pensiero potrà proteggere nella realtà.

In un mondo che confonde continuamente forza e violenza, disciplina e repressione, Winnicott ci offre una via antica e attuale: ritrovare il coraggio di giocare seriamente.
Di sognare senza censura e di essere vivi senza doverci giustificare.

E forse, in fondo, è tutto qui: non servono nuove morali.
Serve un orsetto da mordere. E una mano sicura che ci lasci farlo, mentre il nostro leone impara, a piccoli ruggiti, la difficile arte della libertà.


 

 

Pubblicato il 29 aprile 2025

Andrea Berneri

Andrea Berneri / Head of Architecture and ICT Governance Fideuram ISPB. I turn complex systems into strategies, bridging law, tech, and organization—with method, irony, and precision

aberneri@fideuram.it