“Scrivere non è più scrivere. È chiedere a qualcun altro di scrivere quello che non avevamo intenzione di dire.” — Dal Trattatello apocrifo sulla scrittura a distanza
Nel principio era il Verbo. Poi vennero i tag, i token, i tweaks. Infine, la wrAIting. L’umano, stanco di sbagliare da solo, decise di sbagliare in compagnia di un LLM, delegando all’intelligenza artificiale non la fatica del pensiero, ma la responsabilità del testo. Era nato il meta-autore, figura ibrida a metà tra un architetto narrativo e un ghostwriter digitale con la sindrome dell’estensione illimitata.
Il distant writing, ci dice Floridi, è come disegnare uno spartito sapendo che l’orchestra suonerà Bach, ma potrebbe improvvisare i Queen. L’importante è aver specificato bene il mood. Il risultato? Una nuova specie di scrivente, armata non di penna, ma di prompt. L’autore non lavora più “sul testo”: lavora “sull’intento” — poi si allontana lentamente, come un illusionista che fa sparire la propria calligrafia.
L’autore è morto. Evviva il promptista.
Barthes non immaginava che, nel secolo successivo, la morte dell’autore sarebbe stata accompagnata dal rientro in scena del tecnico del testo: un ex UX writer ora “experience designer della sintassi modulare”, vestito come un sociologo, con lo sguardo dell’architetto che ha appena chiesto a Midjourney di disegnare un nuovo Calvino.
Floridi chiama questa figura “meta-autore”. In azienda ha già un altro nome: capoprogetto.
Definisce vincoli, stila requisiti, chiede “una cosa agile ma profonda” e poi si lamenta perché il risultato è esattamente quello che aveva chiesto. L’LLM obbedisce: è il sogno realizzato del dipendente silenzioso e instancabile. Che però, come ogni genio docile, ha una tendenza pericolosa: farci credere che siamo noi a pensare bene.
La minaccia è la coerenza
La vera insidia del distant writing non è il plagio, né l’allucinazione. È la coerenza senza contenuto. Una prosa perfettamente liscia, esatta, misurata. Che non dice niente di imprevisto, anche se lo dice benissimo. La forma trionfa sulla sorpresa. L’estetica sostituisce l’intuizione. Il meta-autore si specchia compiaciuto nel riflesso di un testo che gli somiglia, ma che non lo interroga.
La scrittura a distanza è comoda, elegante, a volte addirittura commovente: è una casa di design in cui ogni oggetto è al posto giusto, eppure manca il profumo del caffè.
Conclusione (che non conclude)
Scrivere con un LLM è come chiedere a un domestico invisibile di leggere nella nostra testa, riordinare i pensieri, aggiustare la grammatica e produrre un testo “che suoni umano, ma non troppo emotivo”. Il pericolo non è l’errore. È la mediocrità perfetta. Il distant writing ci salva dalla fatica di scrivere male. Ma ci espone al rischio di non avere più nulla da dire.
Ecco, forse conviene scrivere ancora — male, sì, ma pericolosamente.