1. Il limite dell’AI nel comprendere il desiderio umano
CAB: Le macchine possono capire cosa vogliamo?
JACQUES LACAN: Capire? Il desiderio non è ciò che si capisce, ma ciò che manca, sfugge, e si sottrae proprio mentre crediamo di averlo afferrato.
Le macchine possono registrare ciò che abbiamo fatto finora, ciò che abbiamo ripetuto abbastanza da diventare prevedibile. Ma il desiderio - l’ho ricordato più volte - non appartiene al passato, è una spinta verso ciò che ancora non c’è.
L’intelligenza artificiale confonde il desiderio con il bisogno. Il bisogno si colma e riguarda il corpo. Il desiderio non si colma mai e nasce dal linguaggio, è un effetto dei significanti che ci attraversano, non una semplice preferenza o inclinazione.
L’inconscio, dicevo, “pensa sodo”, lavora incessantemente, e in modo tale da resistere a ogni classificazione. Questa attività del significante non può essere ridotta a una tabella di correlazioni o a un modello matematico.
Un algoritmo può imitare i nostri gusti, ma non può cogliere ciò che ci spinge oltre i nostri gusti, perché ciò che ci spinge non è contenuto in alcun dato; è una mancanza, un vuoto, ciò che chiamo il “mancare-a-essere”. Il desiderio non è una media statistica.
L’AI cerca la regolarità; il desiderio nasce dall’irregolarità. L’AI cerca il centro della nuvola dei dati; il desiderio abita lo scarto, il fuori-campo, la deviazione.
Per questo, no, le macchine non possono capire cosa vogliamo. Possono solo restituirci ciò che siamo già stati, mai ciò che potremmo diventare.
2. L’algoritmo non è un nuovo Altro
CAB: Gli algoritmi stanno diventando il nuovo “grande Altro” che ci osserva e ci giudica, cioè quell’insieme di poteri, regole e strutture simboliche che, secondo lei, organizzano la vita umana?
JACQUES LACAN: No. Il “grande Altro” non è un occhio che controlla, né un’autorità che punisce. Nella mia teoria, l’Altro è il luogo in cui nasce il linguaggio, è ciò che dà forma alle nostre parole, alle nostre leggi, ai nostri legami. Non è un’entità che ci sorveglia, ma la struttura che rende possibile il fatto stesso di parlare e di essere parlati.
Un algoritmo, invece, non parla, calcola. E soprattutto non conosce la mancanza, che è l’elemento decisivo dell’Altro. Nel mio insegnamento l’Altro è sempre attraversato da un vuoto, da qualcosa che non si può colmare: un significante assente, una fenditura che permette al desiderio di emergere. È proprio questa mancanza a creare lo spazio in cui il soggetto può esistere.
L’algoritmo, al contrario, si presenta come un sistema senza buchi, senza incertezze, senza opacità. Vuole apparire come un Altro “pieno”, sempre coerente, sempre disponibile a formulare una risposta.
Ma un Altro senza mancanza non è un’autorità simbolica, è una costruzione paranoica. È l’illusione di un sapere totale che pretende di prevedere tutto, classificare tutto, interpretare tutto. E una pretesa del genere non appartiene alla verità, bensì alla fantasia del controllo assoluto.
3. La ripetizione dell’inconscio non coincide con quella della macchina
CAB: L’AI impara dalla ripetizione. Assomiglia al funzionamento dell’inconscio?
JACQUES LACAN: L’inconscio non ripete ciò che funziona, ma ciò che non funziona. Ripete l’ostacolo, l’incidente, il punto in cui il soggetto inciampa. È una ripetizione che disturba, non che perfeziona. Freud la definì “pulsione di morte”, un ritorno ostinato verso ciò che sfugge al nostro controllo e che continua a farci problema.
L’intelligenza artificiale fa esattamente l’opposto. Ripete ciò che ha già dimostrato di funzionare, ciò che migliora la sua performance. La macchina apprende per convergenza e mira a ridurre l’errore, ad avvicinarsi sempre di più a un risultato stabile, prevedibile, ottimizzato.
L’inconscio, invece, non converge mai. È mosso da quello che ho chiamato “automatismo del significante”, una ripetizione che non segue la logica dell’efficienza, ma quella del desiderio e del conflitto. L’inconscio ripropone ciò che non sappiamo elaborare, mentre l’AI ripropone ciò che sappiamo già prevedere.
Per questo è fondamentale non confondere l’errore del codice con l’errore del linguaggio. Il primo è un difetto tecnico da correggere; il secondo è il luogo in cui il soggetto si rivela. La macchina sbaglia per mancanza di dati; l’essere umano sbaglia perché è attraversato da un desiderio che non coincide mai del tutto con ciò che dice o pensa.
La macchina converge mentre il soggetto devia, ed è in questa deviazione - e non nella ripetizione calcolata - che nasce l’inconscio.
4. La creatività dell’AI è solo ricombinazione
CAB: L’AI che crea immagini e testi può essere considerata creativa?
JACQUES LACAN: Creativa? Solo se accettiamo un’idea molto ridotta di creazione. L’intelligenza artificiale non inventa dal nulla, rimescola ciò che ha già visto, proprio come uno specchio che riflette infinite variazioni della stessa immagine.
Nel mio insegnamento chiamo immaginario tutto ciò che nasce dal gioco delle immagini e delle somiglianze. È una dimensione affascinante, certo, ma priva di corpo, di esperienza vissuta. E l’AI lavora precisamente lì, genera forme che seducono, ma che non sono sostenute da alcun desiderio.
Per questo dico che la macchina vi restituisce voi stessi, un po’ più lucidi, più levigati, come uno specchio troppo zelante. E il vostro io - quel moi narcisistico, sempre pronto a riconoscersi e compiacersi - si affretta subito a identificarsi con ciò che vede.
Ma perché ci sia vera creazione occorre un gesto che venga da un soggetto, da un taglio nel linguaggio, da ciò che resiste alla pura imitazione. La macchina, invece, non desidera, non risponde.
Ecco perché la sua creatività è come un Narciso senza acqua in cui specchiarsi, un’immagine che si specchia da sola, senza profondità.
5. La domanda che l’AI non può sostenere
CAB: Se oggi potessimo porle una sola domanda sull’AI, quale ci inviterebbe a fare?
JACQUES LACAN: Le suggerirei di porle la stessa domanda che, in analisi, prima o poi ogni essere umano rivolge all’Altro: “Che vuoi da me?”
Questa domanda apre uno spazio fondamentale, ci costringe a confrontarci con ciò che l’altro - persona o istituzione - proietta su di noi, pretende da noi, o ci fa credere di volere. È il cuore del desiderio, non ciò che sappiamo, ma ciò che ci sfugge e tuttavia ci muove.
Ma, se la rivolge a una macchina, scoprirà che questa domanda non trova risposta. Non perché l’AI non dica nulla, ma perché non desidera. Non ha un vuoto interno, una mancanza, un punto cieco da cui possa nascere un desiderio.
E senza desiderio non c’è vero Altro, c’è solo un dispositivo che funziona, calcola, restituisce. Un Altro che non può essere interrogato davvero, perché nulla lo inquieta, nulla lo interroga a sua volta.
Per questo la domanda resta sospesa, e nel suo restare sospesa ci dice qualcosa di noi, molto più che della macchina.
Breve bibliografia di Jacques Lacan
https://it.wikipedia.org/wiki/Jacques_Lacan
Jacques Lacan (1901–1981) fu uno psichiatra e psicoanalista francese, rappresentò una figura importante e controversa nel movimento psicoanalitico e fu una delle personalità di spicco della corrente filosofico-antropologica strutturalista e post-strutturalista tra la fine degli anni Cinquanta e i primissimi anni Ottanta.
Lacan studiò medicina e si specializzò in psichiatria, laureandosi nel 1932 con una tesi su "La psicosi paranoica nei suoi rapporti con la personalità". Fu anche allievo del filosofo Alexandre Kojève, che lo influenzò soprattutto nella prima parte della sua elaborazione teorica. Nel 1938 entrò nella Société psychanalytique de Paris (SPP), ma l'abbandonò nel 1953. In seguito, fu "praticamente scomunicato" dall'International Psychoanalytical Association (IPA) e per tutta risposta fondò la sua scuola, l'École Freudienne de Paris, che poi sciolse per adottare l'École de la Cause freudienne.
L'insegnamento di Lacan, che si concentrava sul ritorno a Freud, fu trasmesso principalmente oralmente attraverso i suoi famosi seminari del mercoledì, tenuti dal 1953 fino al 1980. Le sue opere principali scritte furono pubblicate nel 1966 con il titolo Scritti. Le sue idee innovative hanno esercitato una notevole influenza sullo sviluppo della clinica psicoanalitica, della linguistica, della teoria critica e della filosofia europea del XX secolo. Il suo approccio includeva il ricorso a due strategie: approfondire i casi clinici di Freud e leggere l'inconscio - che per lui è "strutturato come un linguaggio" - attraverso altri saperi come la linguistica, l'antropologia e la topologia.
IIP nasce da una curiosità: cosa direbbero oggi i grandi pensatori del passato di fronte alle sfide dell’intelligenza artificiale? L’idea è di intervistarli come in un esercizio critico, un atto di memoria e, insieme, un esperimento di immaginazione.
Ho scelto autori e intellettuali scomparsi, di cui ho letto e studiato alcune opere, caricando i testi in PDF su NotebookLM. Da queste fonti ho elaborato una scaletta di domande su temi generali legati all’AI, confrontandole con i concetti e le intuizioni presenti nei loro scritti. Con l’aiuto di GPT ho poi generato un testo che immagina le loro risposte, rispettandone stile, citazioni e logica argomentativa.
L’obiettivo è riattivare il pensiero di questi autori, farli dialogare con il presente e mostrare come le loro categorie possano ancora sollecitarci. Non per ripetere il passato, ma per scoprire nuove domande e prospettive, utili alla nostra ricerca di senso.