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"Leggere, per come io l'intendo, vuol dire pensare profondamente" (Vittorio Alfieri).

Cosa accadrebbe se scoprissimo che stiamo vivendo in un'epoca di falsa conoscenza? Che quello che crediamo di sapere è in realtà il prodotto di algoritmi che decidono per noi cosa pensare? Siamo quotidianamente esposti a un flusso costante di contenuti che non abbiamo scelto, progettati per trattenerci ma non per arricchirci. E c'è una differenza abissale tra essere passivamente alimentati da contenuti e costruire attivamente il proprio sapere.

La verità è che la conoscenza di oggi, quella che assorbiamo ogni giorno soprattutto attraverso la rete, è una mera conoscenza indotta. Una conoscenza che ci viene proposta e suggerita dalle piattaforme digitali. È immediata, frammentaria, spesso superficiale. L'algoritmo decide cosa dovremmo sapere, basandosi sui nostri comportamenti passati, creando bolle cognitive che limitano la nostra esposizione a prospettive diverse. È una conoscenza che ci attraversa senza radicarsi profondamente in noi.

La conoscenza vera, invece, quella che nasce dal pensare autonomo, è una conoscenza dedotta. Quella che, contrariamente alla prima, nasce dal ragionamento, dalla riflessione, dal confronto con testi che sfidano il nostro pensiero. È quella che emerge quando ci immergiamo nelle pagine di un libro, quando seguiamo il filo logico di un autore, quando ci concediamo il tempo prezioso della contemplazione. È il frutto di un processo attivo, di una ricerca consapevole, di una digestione lenta e profonda delle idee.

Quando apriamo un libro, intraprendiamo un viaggio. Non sappiamo esattamente dove ci porterà, ma siamo noi a scegliere la meta. Ogni pagina è un passo che compiamo volontariamente, ogni capitolo è una tappa di crescita personale. Il libro non ci insegue, non ci distrae, non compete per la nostra attenzione: aspetta semplicemente che siamo pronti a ricevere quello che ha da offrire.

La lettura profonda ci allena a un tipo di pensiero che il digitale spesso compromette: la capacità di mantenere l'attenzione sostenuta, di seguire argomentazioni complesse, di tollerare l'ambiguità e l'incertezza. In un libro, impariamo ad aspettare le risoluzioni, a costruire significati, a stabilire connessioni che vanno oltre il momento presente.

Non si tratta di demonizzare il digitale, ma di riconoscerne i limiti.

La rete è un valido strumento di accesso all'informazione, ma non può sostituire il processo intimo e personale della costruzione del sapere. Possiamo usare entrambi i mondi, ma con consapevolezza: il digitale per esplorare, l'analogico per approfondire.

Nel tempo della connessione perpetua, in cui l'informazione ci raggiunge prima ancora che possiamo cercarla, riscoprire il valore della scelta, dell'ascolto e della lettura, significa sottrarsi alla passività del flusso e tornare a interrogare il mondo con sguardo critico. Significa, in pratica, scegliere di abitare il pensiero, invece che esserne attraversati.

Pubblicato il 11 novembre 2025

Camilla Scatena

Camilla Scatena / Direttore Aziendale (per hobby) - Bibliofila (di professione)

camilla.scatena@gmail.com