A parlare di spazzatura su Internet è stato per primo il filosofo Arthur Kroker con il suo libro Data Trash nel quale negli anni 90 fornì una riflessione su una società dominata dalla tecnologia digitale e dalle sue élite, definite classi virtuali (immateriali), composte da tecnocrati, capitalisti della conoscenza, proprietari di piattaforme e di infrastrutture tecnologiche. Una classe virtuale elitaria in grado di controllare reti digitali e flussi di dati, con l’obiettivo di consolidare il proprio potere, escludendo tutti coloro che non hanno accesso alle risorse della Rete o competenze digitali.
Il filosofo canadese criticava (1996 il libro nell’edizione italiana URRA che sto consultando) la retorica utopica della rivoluzione digitale sostenendo che dietro le promesse di libertà e di democrazia si nascondeva una nuova forma di dominio. Per Kroker questo dominio generava Data Trash (spazzatura di dati: inutili, duplicati, obsoleti, creati come tali e molto altro) ma nello scarto, nell’immondizia venivano generato un altro tipo di spazzatura, fatta di persone, corpi (disincarnati), relazioni non mediate dalla tecnologia.
Quel libro anticipava, in modo preciso e profetico, molte preoccupazioni contemporanee su sorveglianza digitale, disuguaglianza tecnologica e concentrazione del potere nelle mani delle élite delle società High Tech.
A distanza di trent’anni non solo facciamo tutti esperienza di quanta spazzatura online ci sia, ma anche di quanto essa si sia diffusa e di quanto stia inquinando il nostro stare al mondo, sia esso virtuale e online o fattuale e offline. Di Data Trash sono pieni anche i nostri corpi virtuali con i quali ci muoviamo nei meandri e nei labirinti digitali che frequentiamo.
La diffusione esponenziale delle IA in questi ultimi anni sta contribuendo all’aumento della spazzatura online e all’inquinamento (delle fonti) della Rete da cui dovremmo trarre informazioni e conoscenze utili al nostro vivere civile, come comunità di esseri viventi. L’inquinamento è dato in particolare da una brodaglia crescente, inutile e pericolosa di dati, dati sintetici e informazioni, che stanno determinando effetti reali sulle persone che le IA le utilizzano, ma anche sullo sviluppo futuro degli stessi modelli di IA. L’aumento della spazzatura rischia infatti di offuscare le creazioni umane da cui questi modelli dipendono e di generare un circolo vizioso nel quale l’apprendimento delle IA avviene attraverso dati spazzatura e creazioni puramente artificiali (spazzatura sintetica) surrogate da esse prodotte.
Con la diffusione e (auto)produzione di sempre nuova spazzatura, la qualità dei dati e delle informazioni diminuisce, si offusca fino a scomparire la capacità critica e riflessiva nel valutare la validità dei dati. In una parola si diventa sempre più ignoranti e più stupidi.
Con un problema in più.
Le IA e i loro Chatbot sanno di avere bisogno dei dati prodotti su Internet prima del loro arrivo e utilizzo diffuso da parte di moltitudini di persone, ma non sanno distinguere tra questi dati ciò che è spazzatura da ciò che non lo è. In questo modo contribuiscono a un inquinamento crescente riportando a galla e (ri)distribuendo (infiltrando ovunque) online particelle malate, perché inquinate, con conseguenze e effetti sensibili, reali, imprevedibili.
L’inquinamento o Data Trash del passato alimenta quello attuale. A nulla vale la pretesa di considerare quei dati come puliti, sicuri e integri. Questa pretesa, che poggia su false credenze e illusorie convinzioni, può essere fonte dei problemi futuri che molti modelli di IA, tra loro competitivi, potrebbero manifestare, per colpa di un inquinamento diffuso crescente che impedirebbe qualsiasi azione di pulizia e potrebbe portarli al collasso.
Il collasso potrebbe essere un esito reso possibile dalle stesse IA, intente come sono a utilizzare, anche manomettendoli, tutti i dati in circolazione, compresi quelli qui associati, in questo articolo, a Data Trash. Se i dati sono inquinati, lo saranno anche gli esiti, le risposte saranno meno valide, meno affidabili e pertinenti, ingannevoli e meno sicure. L’inquinamento dei contenuti generato dalle IA è determinato dalla proliferazione di contenuti generati da AI di bassa qualità, dal crescente spam e dalla relativa disinformazione prodotta automaticamente, dalla saturazione dei risultati di ricerca con contenuti sintetici.
Ritornando al libro di Arthur Kroker, Internet si sta trasformando anche in una immensa discarica per i corpi nelle quali le informazioni, nel senso semiologico del termine, ma anche le esperienze umane “vengono dissimulate nella funzionalità binaria dei dati”. Sono corpi virtualizzati, disincarnati, vampirizzati e salassati, senza pelle, privi dei loro fluidi vivificanti ormai prosciugati, con carni (flesh) alleggerite dal peso della loro storia, con ricordi memorizzati sul cloud, con memorie azzerate dalla cablatura digitale, con ossa e tessuti trasformati in una spirale telemetrica di semplici dati, da mietere e usare, che annichiliscono altre componenti umane quali i sogni e i progetti e la responsabilità di portarsi appresso la propria carne.
Disincarnati, privati del corpo, trasformati in sequenze di bit e di dati, resi isterici dall’incomprensione dei costi umani che si stanno pagando, il rischio vero è di scoprire che componenti crescenti di questi dati siano semplice spazzatura, il risultato di costruzioni ed elaborazioni digitali, da parte di cosiddette intelligenze artificiali che non hanno saputo riconoscere i dati puliti da quelli sporchi, finendo per inquinare non soltanto l’ambiente nel quale i corpi virtuali si muovono ma i corpi virtuali stessi.
“Noi siamo dati spazzatura, e ci va bene così! [Con i] dati spazzatura [che] escono strisciando dai resti bruciate del corpo spiaccicato sull’autostrada dell’informazione, comincia il difficile compito di rimettere insieme i pezzi del corpo (elettronico) [e non solo]!” (Arthur Kroker, Data Trash, pag. 213)