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C'è un punto del mondo in cui il confine non è solo una linea sulla mappa, ma una ferita ancora aperta. Camminare lungo il 38° parallelo significa entrare in contatto con storie che nessun libro di storia potrà mai restituire davvero. La Corea del Sud mi ha mostrato che la pace non è mai scontata e che la vera forza si nasconde spesso negli occhi di chi ha perso tutto, ma continua a sperare. Questo non è un diario di viaggio, ma un pezzo di umanità raccolto tra le pieghe di un confine che non dovrebbe più esistere.

Non scriverò delle bellezze di Seoul o dei templi antichi. Voglio raccontarvi di un popolo che porta nel cuore una ferita ancora aperta, di storie che nessun libro di storia potrà mai restituire con la stessa intensità di uno sguardo o di una voce che trema mentre racconta.

Ho camminato lungo la linea demilitarizzata, quel confine invisibile che divide non solo due nazioni, ma famiglie intere.

Ho ascoltato anziani che ancora aspettano di riabbracciare fratelli, parenti e amici rimasti dall'altra parte di un mondo che un giorno si è spezzato in due. Le loro lacrime non erano solo ricordi: erano presente vivo, dolore quotidiano, speranza che si rinnova ogni mattina nonostante tutto.

Nei loro occhi ho visto la paura silenziosa, quella che si nasconde dietro sorrisi gentili e ospitalità infinita. La paura che la storia possa ripetersi, che quel fragile equilibrio possa rompersi di nuovo. Eppure, accanto a questa paura, ho trovato una forza straordinaria: la determinazione di un popolo che ha scelto di ricostruire e di guardare avanti senza dimenticare.

Ho conosciuto persone umili, discrete, che non amano i riflettori ma che custodiscono storie immense. Venditori al mercato che ti raccontano della fuga precipitosa verso sud, giovani che crescono con la consapevolezza di essere una nazione divisa, famiglie che tengono vive tradizioni come fili invisibili verso un futuro di riunificazione che forse vedranno, o forse no.

La Corea del Sud non è solo il miracolo economico che conosciamo. È un popolo che ogni giorno fa i conti con l'incompiuto, con l'assenza, con il dolore dell'essere metà di qualcosa che dovrebbe essere intero. Eppure continua a vivere, a sperare, a costruire con una resilienza che commuove e ispira.

Visitare questi luoghi, toccare con mano queste realtà, cambia qualcosa dentro.

Ti fa capire che il mondo è pieno di storie che meritano di essere vissute, non solo lette. Che dietro ogni notizia di cronaca internazionale ci sono volti, nomi e cuori che battono.

Tornare a casa dopo aver vissuto questa esperienza significa portare con sé non solo ricordi, ma una consapevolezza nuova: che la pace non è mai scontata, che l'amore per la propria terra e per la propria famiglia può resistere a qualsiasi divisione, e che l'umanità, nella sua fragilità, sa essere straordinariamente forte.

Questo paese mi ha insegnato che viaggiare davvero significa lasciare che le storie degli altri diventino parte della nostra storia.

E ora, ogni volta che sento parlare di quella penisola divisa, non penso più a confini geopolitici, ma a volti, a sorrisi, a lacrime e ad una speranza che non si arrende mai.

Perché quando torni a casa portando nel cuore il dolore e la speranza di un intero popolo, realizzi in un istante che l'umanità non ha confini:

siamo tutti figli della stessa terra spezzata, tutti in attesa che qualcuno, da qualche parte, ricomponga i pezzi del nostro mondo.

Pubblicato il 29 settembre 2025

Camilla Scatena

Camilla Scatena / Direttore Aziendale (per hobby) - Bibliofila (di professione)

camilla.scatena@gmail.com