Introduzione
Il mare e la legge perduta
Questa riflessione nasce dal fragore delle onde e dal silenzio delle leggi violate. L’intercettazione notturna della Global Sumud Flotilla da parte della forza militare israeliana in acque internazionali non è un fatto isolato di cronaca; è una ferita aperta nel corpo del Diritto. È un lampo che, per un attimo, illumina le ombre della nostra civiltà politica.
E in quest’ombra, risuona la voce di Thomas Hobbes.
Il filosofo inglese ci ha tramandato la descrizione razionale e drammatica dello “Stato di Natura”: una condizione di miseria e precarietà estrema da cui l’uomo, per sopravvivenza e autoconservazione, deve fuggire. In questo tempo senza governo e senza regole, vige la condizione perenne della “guerra di tutti contro tutti”. È in questo caos che si manifesta la natura più nuda e cruda dell’essere umano: “l’uomo è lupo per l’altro uomo” (homo homini lupus). In questa deplorevole condizione, l’obiettivo è uno solo, ossessivo: la sopravvivenza del singolo io. La paura è l’unica moneta.
Per sfuggire a questo destino bestiale, Hobbes ci dice, gli uomini stipularono un Patto Sociale: cedettero i propri diritti – tutti, tranne quello sacro e inalienabile alla vita – a un potere superiore, lo Stato, il Leviatano, affinché garantisse la pace e la vita degli individui.
Ma oggi, davanti all’immagine di uomini liberi che cercano di portare aiuto e vengono bloccati con la forza, ci dobbiamo chiedere: cosa accade quando è lo Stato stesso, il presunto custode della pace, a rimettere in scena lo “Stato di Natura”?
Il ribaltamento del Patto: la guerra legalizzata
Il dramma del nostro tempo non è il ritorno al caos primordiale. Il dramma è il ribaltamento del patto hobbesiano.
Lo Stato è nato per sopprimere la guerra dei lupi ma la tragedia del genocidio che stiamo vivendo — accanto al quale l’episodio della flottiglia è l’ennesima ferita dolorosa — suggerisce che la “guerra di tutti contro tutti” non è mai cessata, ma è stata semplicemente legalizzata. Essa ha indossato l’armatura del potere, divenendo una lotta strutturale e globale.
Hobbes aveva teorizzato che l’unico diritto che restava intoccabile era quello alla vita. Eppure, assistiamo a Stati che non solo non lo tutelano, ma se ne appropriano in modo assoluto, decidendo chi ha il diritto di vivere e chi no. Questo tradimento avviene in nome di ideali elevati, di filoni religiosi o di presunte necessità nazionali (come l’idea tossica e gravosa di “popolo eletto”).
Questi sono solo gli “stendardi” che nascondono un sistema politico ed economico imposto a partire dalla Seconda Guerra Mondiale. Un sistema che si è autoproclamato risolutore, ma che si è rivelato padrone e colono, trasformando la sopravvivenza dell’io nella sopravvivenza del sistema, anche a costo di distruggere l’altro.
Il Lupo nel DNA: quando la scelta è il bruto
Il dramma filosofico non si esaurisce nel fallimento dello Stato, ma affonda le radici nella scelta intrinseca dell’essere umano. Come ci ricorda la filosofia neoplatonica, l’essere umano ha la capacità di volgere verso le creature celesti – un cammino di elevazione etica – o di volgere verso i bruti – scegliendo la discesa nella prevaricazione. Abbiamo in noi la possibilità di esercitare questa duplice scelta. Hobbes ci ha chiarito che il lupo è una certezza insita nella nostra natura, una potenza. Lo Stato, il Leviatano, è nato proprio con il sacro dovere di incatenare e neutralizzare quel lupo. Ma quando l’istituzione fallisce, la responsabilità del volgersi al meglio ricade, in modo ineludibile, sulla coscienza di ciascuno.
Quando lo Stato non solo non tutela, ma uccide, massacra e taccia i cittadini (o chiunque navighi liberamente) di pericolosità in nome di un interesse superiore, sta disvelando una verità tremenda: il contratto sociale è stato unilateralmente stracciato.
Cosa direbbe Hobbes se fosse ancora vivo? Vedrebbe che la teoria e l’analisi da lui pronunciate – lo Stato assoluto per la pace – è divenuta, in troppi casi, la malattia stessa.
Conclusione
L’urgenza della compassione
Il fallimento etico dello Stato non ci condanna alla disperazione, ma ci impone un dovere filosofico e pratico. Se il Leviatano ha stracciato il suo contratto, spetta a noi, individui e cittadini, ricostruire l’etica.
Ribaltare Hobbes non significa tornare al caos. Significa credere che la vera salvezza non risieda nella paura ceduta a un potere esterno, ma nella scelta etica costante dell’essere umano: preferire la compassione alla sopraffazione, la cura alla tirannia, la Legge del Cuore alla fredda Ragione di Stato. È in questa scelta che il lupo può tornare ad essere, finalmente, un compagno e non un predatore.