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Un testo che nasce da una conversazione avuta con Roberto Carradore, Università degli Studi di Milano-Bicocca.


Nelle Lezioni americane, una delle dimensioni affrontate da Calvino è la Leggerezza, evocata attraverso il mito di Perseo che, calzando sandali alati, era in grado di assumere un punto di vista di ordine superiore, nuovo, uscendo dal doppio vincolo pietrificante dello sguardo di Medusa. Lo stesso Calvino ha interpretato la propria opera intellettuale come una “costruzione d’una nuova letteratura che a sua volta servisse alla costruzione d’una nuova società” (Calvino 1980, Una pietra sopra, Einaudi, Torino, vii): un modo di intendere la realtà caratterizzato dalla “non accettazione della situazione data”, dallo “scatto attivo e cosciente”, dalla “volontà di contrasto”, dalla “ostinazione senza illusioni” (Ivi, 45). Rispetto a questa ricerca dell’autentico, è lecito chiederci quale sia stata l’eredità di tale progetto.

Nell’epoca attuale, il cambiamento si afferma come unica certezza (“un atteggiamento non fa in tempo a consolidarsi ed è già frusto [...] e intanto le cose continuano la loro corsa a muso basso come un bufalo”) (Ivi, 99). Ma quando il cambiamento si accompagna ad una presenza sempre più pervasiva dell’intelligenza delle macchine, allora il bisogno di coordinate interpretative diventa cruciale e investire nella formazione continua, come forma di auto-controllo da contrapporre all’etero-controllo delle tecnologie, assume un ruolo decisivo. Spesso, per rendere seduttiva la propria offerta formativa in un settore altamente competitivo e a bassa concentrazione, si fa appello alla promessa di imparare “con leggerezza e divertimento”, veicolando l’idea che si possa fare formazione con il minor dispendio possibile di energie cognitive. La metafora ontologica della “leggerezza” (che associa una proprietà tipica della materia a qualcosa di immateriale) si traduce allora non già nel proporre punti di vista alternativi, efficaci, per affrontare la complessità e la turbolenza del mondo, bensì nell’“accomodarsi” dentro un punto di vista mondato da elementi che possano perturbare i discenti. Il formatore si trova così nella condizione di avere (o dover avere, o anche fingere di avere) sempre un’opinione e mai alcun dubbio (“questo è”). Egli interpreta e propone la formazione come se fosse fatta solo di certezze. Questo atteggiamento è assimilabile a ciò che Sartre chiama “malafede”: una “menzogna fatta a se stessi” pur conoscendo esattamente quella verità che si nasconde a se stessi (Sartre 2002, L’essere e il nulla, il Saggiatore, Milano, 83).

La leggerezza così intesa snatura il pensiero originario di Calvino, in quanto passa dal soggetto all’oggetto, dal planare sulle cose allo svuotare le cose dall’interno. Per recuperare la soggettività implicita nella leggerezza, Perseo, nella sua lotta contro Medusa, impiega anche un altro potente strumento: uno scudo di bronzo, la cui superficie lucidata diventa uno specchio con cui depotenziare lo sguardo pietrificante della Gorgone, resistere al fascinum che priva della propria dinamicità ogni cosa verso cui si rivolge e che rappresenta il potere del pensiero omologante. Se i sandali alati e lo specchio sono strumenti necessari per la ricerca dell’autentico, riteniamo però che non siano sufficienti. Esplorando l’altro lato della leggerezza e della lucentezza, non troviamo la “pesantezza” bensì la “scabrezza”, proprio come l’altra faccia dello specchio di Perseo è ruvida, scabra. Se leggerezza e lucentezza caratterizzano Calvino, attrito e scabrezza sono proprie di Pasolini e della sua opera. Scabra è la sua poesia; e se il poeta è, per Cicerone, “santo”, scabra è la via che conduce a questa santità. Nella ricerca dell’autentico la scabrezza rimane disincarnata per Calvino, come conseguenza del suo approccio combinatorio e probabilistico, mentre si fa carne in Pasolini, la cui consunzione del corpo egli ha condotto alle estreme conseguenze. La scabrezza, punto cieco dell’esplorazione di Calvino, diventa in Pasolini punctum da cui si riapre l’orizzonte della possibilità. Per misurare l’altezza a cui librarsi nella ricerca dell’autentico è dunque necessario aver presente il “grado zero” che Calvino riconosce all’umanità e alla scrittura di Pasolini, in cui si produce “l’attrito d’un pensiero, d’un sentimento, d’un affiorare di coscienza, d’una scelta che prende forma forzando la miseria dello strumento lessicale, elevandosi di qualche centimetro dal livello a cui scorre l’ininterrotta spinta esistenziale: di qualche centimetro soltanto, ma, raggiungendola attraverso questa via [...] dovrebb’essere coscienza vera, tagliente come una lama” (Calvino 1980, 45).


 

Pubblicato il 05 ottobre 2025

Matteo Tonoli

Matteo Tonoli / Racconto cose a chi le vuole ascoltare. Socionauta e navigatore della complessità.

matteot1970@gmail.com