Ritorno con il pensiero ai mesi a cavallo tra il 2017 e il 2018 (dicembre 2017, gennaio e febbraio 2018), il tempo in cui io e il mio maestro Enzo Pituello abbiamo lavorato ad una scultura, singolare e unica. L’opera, incominciata quasi per gioco o per sfida tra noi e senza condizionamenti di sorta e di forma, è stata realizzata nel giardino della casa di Enzo, entro le mura della cittadella storica di Venzone, in Friuli.
Il materiale principale con cui è stata realizzata è il metallo: forme varie di lamiere di acciaio, ferro, rame e alluminio e pezzi differenti recuperati da discariche o abbandonati in vari luoghi di lavoro. Ho girato a lungo nelle discariche del rottame industriale per procurare ciò che serviva.
Ogni pezzo è venuto a noi dalla raccolta personale, dalla donazione di amici o curiosi che, durante il corso dei lavori, stimolati da quanto facemmo in quel periodo ci portarono gratuitamente elementi metallici e diavolerie da buttare. Quindi il toro ha due soli autori ma molti mecenati tra i cittadini della nostra terra.
Era pieno inverno, si lavorava senza giacca, ma senza sentire freddo o fame dopo le tante ore di lavoro. Anche a distanza di anni, entrambi, prendendoci reciprocamente in giro ricordavamo distintamente di non aver sentito freddo, fame e d’aver lavorato anche con scarsità di luce.
Tanto era l’entusiasmo nel seguire l’ispirazione saltabeccando tra “quanto preesiste nel cosmo” che gli ostacoli abituali, i rallentamenti o gli imprevisti, come la pioggia o la neve, non erano minimamente in grado di influire sul corso degli eventi. Niente in quella circostanza poteva condizionare l’agire necessario a plasmare la materia: eravamo come biglie dalle traiettorie ignote in un vortice inarrestabile.
Il momento più intenso che ricordo è stato una CRISI, inevitabile durante ogni opera artistica. Uno stop necessario a “scollinare” e passare oltre. Un momento di perdita e sconforto prima di guadagnare un nuovo orizzonte.
Dopo una giornata molto intensa trascorsa a piegare lamiere e saldare ferro, entrambi non riuscivamo a definire come proseguire l’opera. Si trattava di un problema compositivo.
In quella fase di lavoro, stavamo già definendo la forma di un quadrupede ma per la verità non era chiara neanche a noi cosa “quella forma sarebbe dovuta diventare” in futuro…
Provocandoci l’un l’altro parlavamo di un cavallo, poi di un leone, o una giraffa… e forse un toro o un fantastico animale mitologico. La decisione doveva essere presa dalla materia stessa, non da noi.
Il busto tracciato lasciava intravedere tra le lamiere molti tondini di ferro, incastrati verso l’alto ma senza una conformazione precisa. Nulla era definito.
Abbiamo pensato a Dalì ma anche a Picasso e associato il suo cavallo di “Guernica” all’ipotesi su cui eravamo impegnati. Ridendo Enzo disse: “Sarà forse un “Caval Torato, o chissà, ma ora è giunto il momento di fermarci”.
Ricordi
Concentrato com’ero con la saldatrice in mano e pieno di entusiasmo ed energia, nonostante le tante ore di lavoro sulle spalle, decisi di non ascoltarlo, e di proseguire. Così da buon Maestro, fece l’unico gesto possibile quando il collaboratore si comporta come un sordo: staccò l’alimentazione elettrica dello strumento e mi urlò con voce da baritono “Adesso basta !” Fermiamoci, prendiamo un the, saliamo in casa a riposare e lasciamo sedimentare quanto fatto. Poi penseremo a come proseguire”. A qual punto non potei che seguirlo ed obbedire.
Erano le 17.00 del 13 gennaio 2018, salimmo in casa e parlammo di arte davanti ad thè per un’altra ora e mezza sino a quel fatidico momento, quello di tornare al lavoro.
L’ingresso della casa di Enzo è al primo piano ed ha una vista privilegiata sul giardino da una scala di accesso esterna.
Questa scala fu realizzata con un arco rampante recuperando pietre degli edifici distrutti dal terremoto del 1976 in Friuli. Ricordo ora che quella tragedia, richiamò Enzo da Milano nella sua terra d’origine in quello sventurato maggio. Alla guida di un’auto carica di aiuti offerti da amici e clienti, insieme alla moglie Morena ebbero modo di spendersi e donare soccorso ai primi sopravvissuti.
Ebbene, avvicinandoci io per primo alla porta vetrata e pronti quindi per scendere le scale, di sobbalzo mi fermai: bloccai Enzo con un forte colpo del mio braccio sul suo petto e questa volta fui io ad impedirgli di proseguire il suo cammino. Gli urlai “Guarda fuori, guarda!”
“Guarda cosa” mi fece Enzo…. “Là, sulle mura! Guarda!” risposi al Maestro.
E li arrivò la sua esclamazione tipica che preferisco non ripetere e lasciare immaginare a tutti i suoi tanti amici. Poi lo stupore di entrambi ci lasciò vivere un momento di profondo silenzio. Contemplazione. Accoglienza della manifestazione della Materia Viva e sempre libera, che chiede di essere definita.
Sguardi
Immaginateci in rispettoso silenzio e grati per quanto ricevuto.
Di fronte a noi, una volta diradata la nostra distrazione, come fa la nebbia quando svanendo rivela il panorama in una fredda giornata d’inverno, apparì sulle mura una grande ombra.
Infatti, sempre a causa della mia disattenzione, mista alla grande stanchezza causata dal creare artistico, avevo lasciato un faretto di cantiere acceso e appoggiato per terra in una posizione assolutamente casuale. Ciò comportò la proiezione di un’ombra sulle mura d’angolo nord/est della Cittadella, mura che di fatto delimitano ancor oggi il giardino su cui abbiamo lavorato durante quell’inverno.
E qui la magia: entrambi percepimmo la forma distinta di un TORO.
A quel punto sapevamo, non solo come risolvere il problema di forma che ci aveva bloccato poco prima, ma anche come completare il lavoro. La Materia si era rivelata e aveva sussurrato cosa voleva diventare.
Sorpresa e consapevolezza
Consapevoli d’aver assistito a qualcosa di sacro, finita l’opera, abbiamo poi ripetuto l’un l’altro: “Chi l’ha fatta? L’ho fatta IO o l’hai fatta TU? NO. NESSUNO di noi due l’ha fatta…TUTTO PREESISTE NEL COSMO.” L’opera ci aveva semplicemente usato come mezzi e strumenti per essere creata.
La Materia aveva sussurrato alla nostra umanità finita e limitata i passi da percorrere per poter diventare ed essere, per poter liberarsi nel cosmo in una nuova vita fatta di infinto che supererà le nostre esistenze.
In questa circostanza abbiamo forse servito bene il “Nostro Padrone”: per citare i versi di Walt Whitman: “Il premio che cercavamo è ottenuto”!
L’opera si è svelata. Attraverso il simbolo che rappresenta rivela il messaggio da trasmettere a chi avrà il coraggio di cercare.
Questo messaggio, ora, è affidato a tutti noi.
Perché l’arte in realtà è proprio in ognuno di noi e se è vero che “l’arte salverà il mondo”, questo potrà avvenire solo quando ciascuno di noi farà la propria parte. E magari, nel farlo, avrà anche aiutato “qualcun altro” a fare passi coraggiosi, come Enzo ha generosamente fatto con me.
Nota
Le ultime opere di Enzo Pituello saranno in mostra a Verona, presso la sede della Fondazione Spazio Vitale, via San Vitale 5, dal 4 ottobre al 4 novembre 2025. Mostra a cura di Andrea Martini e Francesco Varanini.