Un manifesto che girava per le strade di Milano recita “Lavorare meno, lavorate voi!”. Una provocazione lanciata in un mondo precarizzato fatto di lavoretti, GIG economy, strategie politiche finalizzate a ridurre la settimana lavorativa e le ore lavorate.
La ricerca di maggiore tempo libero è legata a bisogni e rivendicazioni, alla percezione che, nel vissuto della realtà accelerata dell’era tecnologica, il tempo sia diventato risorsa limitata, un lusso. Maggiore tempo libero[1] dovrebbe permettere di rallentare, trovare più tempo per sé stessi e per gli altri. Nella realtà il tempo determinato tecnologicamente riempie quello libero, lo riduce a sequenze temporali istantanee, fatte di un presente continuo che si è mangiato passato, futuro e l’esperienza stessa del tempo.
Eppure, non è il tempo che ci manca, e neppure l’età!
Il tempo accelerato è frutto di scelte e pratiche quotidiane, di abitudini e dalla incapacità a cambiarle.
La colpa non è della tecnologia!
Se si abbandona il display e si sceglie la lentezza, “ogni mattina si potrebbe ascoltare l’alba e la sera il tramonto e tutto il rumore che fa, si potrebbe lasciare segni sui muri, lasciare le porte aperte perché qualcuno poi verrà” (Gianmaria Testa[2]).
Qualcuno con cui parlare, anche di tempo libero!
Note
[1] Testo scritto prima che tutto si fermasse per il Coronavirus regalando tempo libero a tutti, anche se dentro casa.
[2] Gianmaria Testa, nato nel 1958 e morto nel 2016, è un cantautore italiano. Ha vissuto nelle Langhe in Piemonte, ma deve la sua famma alla Francia che lo ha scoperto per prima. Dal 1993/94 ha pubblicato nove dischi – Montgolfières (1995), Extra-Muros (1996), Lampo (1999), Il valzer di un giorno (2000), Altre Latitudini (2003), Da questa parte del mare (2006), il live “SOLO – dal vivo” (2009), Vitamia (2011) e l’ultimo il live Men at work (2013).
Tratto dal libro di Carlo Mazzucchelli La civiltà del vento al tempo del coronavirus pubblicato nella collana Technovisions di Delos Digital.