Negli ultimi due decenni, il dibattito sulla cognitive ontology si è spostato dal problema della corrispondenza tra concetti psicologici e aree cerebrali a una questione più radicale: che cosa intendiamo per “entità cognitiva”. Non è più sufficiente chiedersi se una funzione mentale corrisponda a un’area del cervello. Occorre stabilire se la nozione stessa di “funzione mentale” abbia senso indipendentemente dai contesti in cui si manifesta.
Michael Anderson (2014) ha mostrato che una stessa regione cerebrale può partecipare a processi cognitivi molto diversi, a seconda dello stato globale del sistema neurale. La funzione, quindi, non è un attributo statico, ma una proprietà emergente, distribuita e contestuale. Simon Dewhurst (2018) ha ampliato questa prospettiva, sostenendo che ogni caratterizzazione funzionale dipende dall’interazione dinamica tra regioni cerebrali e compiti cognitivi. Ne deriva l’impossibilità di mantenere una tassonomia fissa delle funzioni mentali: la mente appare come un sistema di processi interconnessi, continuamente riconfigurati dalle condizioni del corpo e dell’ambiente.
Questa visione è coerente con la filosofia della mente contemporanea e con la 4E Cognition — embodied, embedded, enactive, extended — sviluppata da autori come Anthony Chemero (2009) e Daniel Hutto e Erik Myin (2017). Secondo questa prospettiva, la cognizione non è confinata nel cervello, ma si estende al corpo e al mondo: pensare non è elaborare simboli interni, ma agire in un ambiente che offre affordances, cioè possibilità d’azione. La mente è, in questo senso, un processo situato, non un’entità isolata.
Ne consegue una trasformazione profonda del concetto di cognitive ontology. Non si tratta più di classificare stati mentali come “memoria”, “attenzione” o “linguaggio”, ma di comprendere i processi relazionali che generano tali funzioni nei diversi contesti. Il risultato è un’ontologia di tipo processuale: dinamica, flessibile e aperta alla variabilità.
Questo pluralismo ontologico ha un precedente nella filosofia della scienza. Già John Dupré, in The Disorder of Things(1993), mostrava come la biologia non possa essere ridotta a un’unica tassonomia: le specie, le popolazioni e le linee evolutive coesistono come sistemi classificatori diversi ma complementari. Allo stesso modo, nella scienza cognitiva, categorie differenti — moduli, reti, dinamiche di attivazione — possono descrivere aspetti differenti della mente senza necessariamente escludersi.
Una posizione analoga è stata proposta da Dale, Dietrich e Chemero (2009), che hanno interpretato la molteplicità delle ontologie cognitive come espressione della complessità del dominio mentale. Invece di cercare una mappa definitiva, suggeriscono, dovremmo accettare mappe parziali, costruite per specifici obiettivi empirici o teorici. L’ontologia, in questa prospettiva, non è una fotografia della realtà, ma uno strumento epistemico per orientarsi in essa.
Tale impostazione ha ricadute dirette anche nell’ambito dell’intelligenza artificiale. I modelli di machine learning non derivano da categorie psicologiche, ma da pattern di dati: costruiscono ontologie statistiche, non concettuali. Tuttavia, quando queste macchine vengono applicate a compiti cognitivi — riconoscimento visivo, comprensione del linguaggio, decisione — si trovano a interagire con il patrimonio concettuale delle scienze cognitive. Da qui nasce la necessità di un linguaggio intermedio, capace di tradurre tra livelli di descrizione diversi: biologico, computazionale e fenomenologico.
Una cognitive ontology pluralista offre esattamente questo ponte: un sistema di concetti flessibile, capace di adattarsi ai diversi livelli di rappresentazione senza imporre una gerarchia rigida.
Mark A. Khalidi (2023) ha sintetizzato questa esigenza in una formula efficace: le ontologie cognitive non descrivono il mondo mentale, lo costruiscono scientificamente. La tassonomia del mentale, in altre parole, è un prodotto dell’interazione tra teoria, tecnologia e metodo. La risonanza magnetica funzionale, la modellazione computazionale, le tecniche di analisi del linguaggio modificano ciò che possiamo considerare “una funzione cognitiva”. Ogni nuova tecnologia di osservazione crea una nuova realtà osservabile.
In questo quadro, la filosofia della mente ritrova un ruolo decisivo. Se la scienza cognitiva è costretta ad ammettere la pluralità delle sue ontologie, la filosofia può interrogare il significato di questa pluralità. Non si tratta di rinunciare alla precisione, ma di riconoscere che la mente non è un’entità unica bensì un insieme di prospettive coerenti in modo locale. Come scrive Dupré, “la varietà è la forma della realtà biologica”; potremmo dire, per analogia, che la varietà è la forma della realtà mentale.
La cognitive ontology diventa così un esercizio di metascienza: non solo una classificazione del pensiero, ma una riflessione sul modo in cui la scienza stessa costruisce il proprio oggetto. La mente, più che una collezione di stati, è un campo di processi in continua traduzione tra livelli di descrizione. Comprenderla significa accettare che la conoscenza, come la cognizione, è sempre situata, incompleta e dialogica.
Fonti
- Anderson, M. L. (2014). After Phrenology: Neural Reuse and the Interactive Brain. Cambridge, MA: MIT Press. https://www.penguinrandomhouse.com/books/657007/after-phrenology-by-michael-l-anderson/9780262320689/
- Chemero, A. (2009). Radical Embodied Cognitive Science. Cambridge, MA: MIT Press. https://direct.mit.edu/books/monograph/1812/Radical-Embodied-Cognitive-Science
- Dale, R., Dietrich, E., & Chemero, A. (2009). Explanatory pluralism in cognitive science. Cognitive Science, 33(5), 739–742. DOI: https://doi.org/10.1111/j.1551-6709.2009.01042.x
- Dewhurst, S. (2018). Dynamic function and the brain: towards a mechanistic explanation of neural reuse. Synthese, 195(6), 2575–2598. DOI: https://doi.org/10.1007/s11229-016-1277-5
- Dupré, J. (1993). The Disorder of Things: Metaphysical Foundations of the Disunity of Science. Cambridge, MA: Harvard University Press.
- Hutto, D. D., & Myin, E. (2017). Evolving Enactivism: Basic Minds Meet Content. Cambridge, MA: MIT Press.
- Khalidi, M. A. (2023). Cognitive Ontology: Taxonomic Practices in the Mind–Brain Sciences. Cambridge: Cambridge University Press. DOI: https://doi.org/10.1017/9781009223645
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