Ma ecco il problema: ridurre la moralità al benessere è un errore di categoria, un malinteso metafisico che appiattisce la nostra immaginazione etica in un foglio di calcolo di piacere e dolore. Fingendo che il significato possa essere ingegnerizzato da algoritmi, app o "audit del benessere", rischiamo di dimenticare ciò che ci rende effettivamente umani: il giudizio, il conflitto, l'aspirazione e il duro lavoro della saggezza.
L'odierna "scienza del benessere sociale" non è una svolta; è un'ideologia. Armati di scansioni cerebrali, indagini psicometriche e un'ondata di psicologia positiva, i suoi sostenitori promettono che il benessere è solo una questione di dati migliori, se solo riuscissimo a progettare l'ambiente giusto, modificare le variabili giuste e spingere le persone verso il corretto "stato di salute mentale". Il problema del valore dei fatti svanisce e tutto ciò che rimane è la gestione degli stati d'animo. Ma la moralità non è riducibile alle neuroscienze, e la fioritura non può essere programmata.
Cosa si perde in questo riduzionismo?
- La realtà disordinata e tragica della vita morale, irriducibile al "benessere soggettivo".
- Il lavoro di giudizio e il coraggio della critica, sostituiti dalla conformità e dall'ottimizzazione.
- La possibilità di una vera trasformazione, ridotta a "soddisfazione delle preferenze" ed equilibrio neurochimico.
Al di sotto dei cruscotti e delle spinte si nasconde una minaccia più profonda: l'esclusione del vero ragionamento morale da parte di una politica di controllo. Non stiamo solo misurando il benessere, stiamo esternalizzando l'etica.
Il "benessere" diventa il guanto di velluto della governance neoliberista: trasforma il dolore esistenziale in diagnosi medica, l'ambiguità morale in "fattori di rischio" e il dissenso in "subottimalità".
Come avvertiva Aristotele, l'etica non è un algoritmo. La saggezza non può essere codificata.
Il futuro della moralità dipende dal recupero del coraggio di giudicare, di mettere in discussione, di lottare per ciò che è buono, non solo per ciò che ci fa sentire bene o che si correla bene in un'analisi di regressione.
Engish original text
Flourishing By Numbers: Well-Being As The New Science Of Morality
Today, “well-being” has become the answer to everything: measured, tracked, dashboarded, and sold as the new gospel—by governments, HR, Silicon Valley, even academic ethics. Subjective Happiness scores stand in for justice, life satisfaction surveys for social policy, and “flourishing” becomes just another metric on a CEO’s dashboard.
But here’s the problem: Reducing morality to well-being is a category error—a metaphysical misunderstanding that flattens our ethical imagination into a spreadsheet of pleasure and pain. By pretending that meaning can be engineered by algorithms, apps, or “well-being audits,” we risk forgetting what actually makes us human: judgment, conflict, aspiration, and the hard work of wisdom.
Today’s "social wellbeing science” is not a breakthrough; it’s an ideology. Armed with brain scans, psychometric surveys, and a tidal wave of positive psychology, its champions promise that wellbeing is just a matter of better data—if only we can engineer the right environment, tweak the right variables, and nudge people into the correct “mental health state.” The fact-value problem vanishes, and all that’s left is the management of moods. But morality is not reducible to neuroscience, and flourishing cannot be programmed.
What gets lost in this reductionism?
- The messy, tragic reality of moral life—irreducible to “subjective well-being.”
- The work of judgment and the courage of critique—replaced by compliance and optimization.
- The possibility of genuine transformation—reduced to “preference satisfaction” and neurochemical balance.
Beneath the dashboards and nudges lurks a deeper threat: the crowding out of real moral reasoning by a politics of control. We’re not just measuring wellbeing—we’re outsourcing ethics.
“Well-being” becomes the velvet glove of neoliberal governance: turning existential pain into medical diagnosis, moral ambiguity into “risk factors,” and dissent into “suboptimality.”
As Aristotle warned, ethics is not an algorithm. Wisdom cannot be coded.
The future of morality depends on reclaiming the courage to judge, to question, to strive for what is good—not just what feels good or correlates nicely in a regression analysis.