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Ad aprile di quest’anno, in occasione del salone del mobile di Milano, sono state aperte delle location chiuse da decenni, nello specifico mi riferisco all’ex fabbrica SNIA di Varedo, inattiva dalla fine degli anni 80 del secolo scorso. Non entro nel merito dell’evento in sé, né delle mostre allestite al suo interno, quanto piuttosto di una scritta, ripetuta in ogni campata di quelle enormi sale dove si producevano filati artificiali e dove la tossicità dell’ambiente era significativa.

“E’ severamente vietato fumare.  I trasgressori verranno licenziati in tronco”

Al momento ho sorriso, pensando al danno del fumo e al danno delle sostanze che i poveretti respiravano quotidianamente. Suonava come una beffa. Poi ho pensato che, in effetti, il rischio che ci potessero generare esplosioni e/o conseguenti incendi era reale. Ovvio, quindi, vietare il fumo. In realtà, quello su cui riflettere era la conseguenza minacciata ed il “tono” perentorio usato.

Negli anni ’80 io lavoravo già e la mia carriera, guarda caso, era iniziata in un’azienda chimica, dove il rapporto tra impiegati e “colletti bianchi” era forse di uno a cento. C’erano oltre 1500 operai, la mensa separata che si intravvedeva, i menù diversi, i turni, le tute a volte sporche di vernice, i sindacati, la paura dei licenziamenti, la certezza che qualcuno li proteggesse e poi? Poi fu comprata da una multinazionale, poi partirono i licenziamenti, poi fu ridotta la produzione, qualche anno dopo non esisteva più.Ero rimasta là poco più di un anno, non feci in tempo, fortunatamente per me, a vederne la fine. Non ebbi il tempo di guardare i visi di chi “fu licenziato in tronco”, senza neppure la giustificazione di “aver acceso una sigaretta”.

 Eh si, una visita alla SNIA, un ricordo del mio primo lavoro: flash.  La consapevolezza che il mondo del lavoro per molti di noi è cambiato, i problemi di cui si discute oggi sono diversi. Il numero di addetti alla produzione drasticamente diminuito.

La società è cambiata di conseguenza. I cartelli, come quello scoperto in un assolato pomeriggio di aprile,archeologia industriale.

Ogni tanto penso che quelle storie siano ormai lontane anni luce da noi e che la lotta sindacale di quegli anni, trasportata nel nostro “elegante” quotidiano, sia anacronistica. Anch’io come tanti manager ho dovuto gestire ristrutturazioni. Guardare in faccia chi era entrato con un lavoro al mattino e ne sarebbe uscito senza, qualche ora dopo.

Allora, no. Non è anacronistica la lotta se è per il rispetto dell’uomo, del suo presente e del futuro che ognuno spera di avere, lungo e felice. Certo, tutto andrebbe ripensato. Le modalità, i contenuti, gli obiettivi….

Troppo lungo per una riflessione estemporanea. La mia.

Mi piace pensare e condividere che, perché ci sia una vera democrazia in azienda, in fabbrica, nell’eco sistema produttivo, è fondamentale fermarci a riflettere sul valore delle nostre opinioni e dei nostri gesti, su quanto sia indispensabile per “questo” presente e per “quel” futuro”, esserci.

 Rifiutiamoci di ritenere inutile l’unico gesto veramente democratico di cui possiamo ancora vantarci: la potenza di un voto. Sentiamoci attori e costruttori della storia come inaspettatamente ci ha raccontato Paola Cortellesi in “C‘è ancora domani”.


Pubblicato il 25 maggio 2025

Enza Fumarola

Enza Fumarola / Experienced Executive, Information Technology expert, Digital advisor, M&A advisor, No profit activity

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